“Il Barcellona è l’esercito disarmato
della Catalogna”
(Manuel Vazquez Montalban)

Il tiro a giro lo ha inventato lui. Il tiraggiro di Insigne  - detto con rispetto - è un’altra cosa. Grazie a questa magia balistica, Kubala, sui calci piazzati, riusciva ad aggirare la barriera e mandava il portiere a farfalle e in visibilio i tifosi blaugrana.
Riprendiamo il filo della narrazione e, come al solito, andiamo con ordine.

Abbiamo lasciato Laszlo in Italia, a Busto Arsizio, con la Pro Patria di Peppino Cerana. Con la maglia dei bustocchi non riuscì mai a giocare, salvo qualche amichevole di poco conto, per via della squalifica inflittagli dalla FIFA.
In quell’anno, il 1949, a dominare il calcio italiano era il Torino, anzi il grande Torino. I piemontesi, che del talento del magiaro erano più che consapevoli, invitarono Laszlo a disputare, con la maglia granata, un’amichevole a Lisbona, contro il Benfica. Laszlo, all’ultimo momento, dovette rinunciare per via di una malattia del figlio. La vita del talento magiaro è sempre stata segnata dal destino, anche quella volta l’ala della morte lo sfiorò, ma lo lasciò indenne.
La leggenda gloriosa del Torino invece si spezzò il 4 maggio 1949, al ritorno dalla capitale lusitana, in quella che passerà alla storia come la Tragedia di Superga
. Kubala non si rassegnò alla mortificante inattività. Ci piace immaginare che il suo indomito carattere doveva, in qualche modo, somigliare a quello di  uno dei protagonisti di quel grandioso romanzo che è I ragazzi della via Paal di Ferenc Molnar. Abbiamo pensato a Janos Boka, il capo di una delle bande che si contendono il territorio.
La tempra, l’ostinazione e la fermezza ci sembrano tratti caratteriali che i due personaggi, anche se appartenenti a epoche diverse, condividono.  L’accostamento, a onor del vero, non ci pare azzardato perché come abbiamo appurato il quartiere dove Laszlo nacque e trascorse la sua adolescenza non è molto distante dalla famosa via Paal.

HUNGARIA, LA SQUADRA DI LASZLO
Certamente a Kubala lo spirito di iniziativa non gli faceva difetto. Non poteva giocare con le squadre che partecipavano a tornei ufficiali? Bene! Ne fondò una sua. La  chiamò Hungaria, compagine amatoriale che radunò esuli e rifugiati provenienti dall’Europa dell’Est. Avversavano con coraggio e fierezza i regimi totalitari che erano andati al potere nei loro paesi. Un potere brutale che li aveva privati della patria e dell’identità. Formò una squadra di campioni. Richiestissima, dai migliori club europei, per la disputa di amichevoli. Quando Hungaria si recò in Spagna, Barcellona e Real Madrid ingaggiarono il solito epico duello per acquisire il talento magiaro.
Ora, stando a qualche ricostruzione storica, che, ad onor del vero, meriterebbe un riscontro più solido, pare che Kubaka fosse ammaliato delle merengues.
Ma Laszlo avanzò delle pretese contrattuali difficili da soddisfare. Non solo, ma voleva scegliere lui l’allenatore.
Secondo alcuni la sua idea era quella di far ingaggiare come trainer il suocero Ferdinand Daucik. Kubala, però, non considerò un aspetto. Dall’altra parte del tavolo, a condurre le trattative, c’era un certo Santiago Bernabeu, uno che, certamente, non si lasciava tagliare con l’accetta. Infatti, seccatissimo, disse ai suoi di non trattare più e rinunciare all’acquisto. Come un falco, che si avventa sulla preda, Pepe Samitier, storico direttore generale dei blaugrana, un pokerista, di consolidata fama e scaltrezza, contattò subito Laszlo. Gli fece una proposta contrattuale di quelle che non si possono rifiutare. Non solo, il contratto prevedeva anche l’assunzione di Daucik come allenatore. Brigò, con la sapienza levantina dei faccendieri, per accelerare le pratiche burocratiche per la concessione di un passaporto spagnolo. Liquidò la pratica Pro Patria con un  rimborso e la promessa di un’amichevole, a Busto Arsizio, con il Barcellona. Con l’acquisizione del passaporto spagnolo Laszlo non è più un rifugiato politico. La FIFA ne prese atto e ridusse la squalifica su sollecitazione del Barca. Gli organi calcistici internazionali, rigidissimi con la Pro Patria, divennero disponibili e comprensivi  a fronte  del  peso politico del Barcellona.

NASCE IL MITO BLAUGRANA
Negli anni ’50, il calcio iberico non poteva certo definirsi evoluto. Scontava una certa arretratezza, soprattutto se confrontato con quello magiaro. La scuola ungherese ha sfornato campioni, allenatori e anche tattiche che poi sono state emulate dalle squadre di mezzo mondo. Daucik, alla guida del Barcellona, costruì un team che ruotava intorno a Kubala. Un espediente tattico che consentì ai blaugrana, nel corso dei quattro anni in cui fu in panchina, di vincere due volte il campionato (Liga) quattro volte la Coppa del Generalissimo e una Coppa Latina.(Antesignana della Coppa Uefa ndr). Al di là del rapporto di parentela che, dalle nostre parti – diciamocelo francamente – sarebbe stato giudicato come la solita pratica di familismo, questo Daucik doveva sapere il fatto suo.
Ancora, oggi, in Catalogna, si considera quella formazione decisamente più forte di quella con Messi, Iniesta e Xavi. Sono comparazioni, ovviamente, che vanno prese con il beneficio di inventario. Epoche diverse, giocatori diversi, mentalità differenti e, soprattutto, condizioni socio-economiche non confrontabili.
Ma, la leggenda, soprattutto in ambito calcistico, prevale sul razionale. La strategia del tecnico ceco, ad ogni modo, aveva il suo perno nel gioco d’attacco il cui epicentro, naturalmente, era Kubala, con la protezione, lo scudo di una difesa arcigna, compatta. In poche parole, per capirci, Daucik, coniugò la fantasia dei suoi avanti nel contesto di un razionalissimo schema tattico, funzionale e preciso. Tutto sembrava procedere per il meglio, ma, improvvisamente, il destino, toccò duro Laszlo.
A 26 anni, gli venne diagnosticata la tubercolosi. A quei tempi una malattia non da poco. Grazie a una tempra fisica eccezionale: 1,75 cm per 83 chili ne venne fuori con gran sollievo di tifosi, compagni e dirigenti della società. Tornò a giocare e, nel frattempo, la squadra si rafforzò con l’arrivo  di Kocsis e Czibor, altri due esuli. Arrivarono anche Luisito Suarez ed Evaristo, rinforzi di notevole spessore che consentirono al Barcellona di conquistare la prima e storica vittoria, in Coppa dei Campioni, battendo in finale i rivali di sempre: il Real Madrid. Dopo dieci anni, con la maglia blaugrana, Kubala conclude la sua carriera con l’arrivo di Helenio Herrera in panchina e all’età di 33 anni appende le scarpette al chiodo e diventa allenatore delle giovanili. Ha disputato 186 partite e segnato 131 gol.

NEL SEGNO DELLA STORIA
Davanti all’immenso Camp Nou, tempio delle gesta blaugrana, c’è una statua in bronzo: un calciatore colto nell’attimo in cui si accinge a calciare la sfera di cuoio. Sul piedistallo c’è una semplice scritta: Ladislau Kubala Stecz – Budapest 1927 – Barcellona 2002. Un riconoscimento a ricordo perenne di un giocatore che la tifoseria barcelonista considera tra i più grandi di sempre. La statua è stata eretta dopo un referendum, come abbiamo accennato nella puntata precedente, che ha proclamato Kubala il giocatore del Barcellona tra i più rappresentativi del Pantheon blaugrana. Il magiaro, con la sua vita avventurosa, con le sue fughe per guadagnare la libertà e affrancarsi da regimi totalitari, ha colpito l’immaginario della tifoseria del Barcellona. Secondo alcuni studiosi i supporter blaugrana hanno un forte senso della storia. La Catalogna ha come festa nazionale il giorno di una sconfitta. L’11 settembre 1714 quando fu conquistata dalla Spagna. Se vi capita di andare al Camp Nou, per assistere a una partita dei blaugrana, fate attenzione al minuto 17 e 14 secondi.
Dalle viscere dell’immenso stadio si alza un grido, forte, rabbioso, orgoglioso: Indipendenza! E’ il ruggito della libertà.

(P.S.)
Per onestà intellettuale ci sentiamo obbligati a fare una precisazione. All’inizio di questa trilogia, sulle due Spagne, abbiamo riportato il verso di Antonio Machado: “Una delle due Spagne ti gelerà il cuore”.
Crediamo non sia difficile capire quale delle due Spagne abbia gelato il cuore di Pereira.
Si… avete capito bene!

FINE

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Due Spagne tra storia, politica e calcio (parte I) 
Due Spagne tra storia, politica e calcio (parte II) 
Due Spagne tra storia, politica e calcio: La leggenda del Barça e il mito Kubala (III)