«Palla al centro per Müller, ferma Scirea, Bergomi, Gentile, è finito! Campioni del mondo, Campioni del mondo, Campioni del mondo!!!»

Era una giornata di luglio di 41anni fa – torrida come quelle che ci stanno arrostendo in questi giorni – e Nando Martellini, telecronista tra i meno enfatici della storia televisiva nazionale, si lasciò andare in un accorato e triplice Campioni del Mondo, interpretando lo stato d’animo di un paese che in quell’infuocato pomeriggio dell’11 luglio 1982, grazie alla vittoria degli azzurri a Madrid, contro la Germania Ovest, i rivali di sempre, riuscì a dimenticare l’incerto cammino di una che lo vedeva  alle prese con terrorismo, anni di piombo, ma anche di fango per via dell’estesa tela corruttiva tessuta dalla P2 e il calcio era uscito solo da qualche anno da quella angosciosa pagina buia del Totonero.
Non intendo imbarcarmi in una sterile cronaca di formazioni, tattiche e altre astruserie tecniche perché questi sono appunti sparsi della memoria, post it nostalgici legati a emozioni e non ai tecnicismi della dottrina pedatoria.

A VIGO SOFFIA LA BREZZA E LE POLEMICHE
L’avventura azzurra in terra di Spagna, appena emancipata dal franchismo, comincia da Vigo, dove ad ogni angolo si sente la leggera brezza del mare. Ne ho un ricordo gradevolissimo. L’Atlantico è vicinissimo e, come dicono, da quelle parti, avvolge i sensi. Si racconta che dai tempi dei romani molte persone sono arrivate in questo gioiello della Galizia. Sulla Puerta del Atlantico comincia il cammino della pattuglia di Bearzot, dove deve vedersela con Perù, Polonia e Camerun.
L’aria fresca e rivitalizzante del bel paese galiziano non ci fu di grande aiuto. Pareggiammo tutti e tre i matches e passammo alla successiva fase grazie alla differenza reti. Lasciammo Vigo con questo viatico poco confortante: pareggio, discreto, con la Polonia; pareggio, brutto e affannoso, con il Perù; pareggio, opaco e calcolato, con il Camerun.
Risul­tato: secondo posto nel girone e passaggio alla seconda fase per differenza reti, ai danni del Camerun. A Vigo, comunque, oltre alla brezza atlantica soffiarono le polemiche.
Con la stampa si era ai ferri corti. I commenti furono spietati. Critiche feroci al difensivismo, alla mancanza di preparazione fisica e, soprattutto fu particolarmente preso di mira Bearzot  per la sua scelta di  schierare Paolo Rossi che, oltre a rivelarsi inconcludente sul campo, si portava dietro quel pesante coinvolgimento nello scandalo scommesse che gli costò una lunga squalifica dalla quale uscì proprio alla vigilia del Mondiale. I giornalisti romani rimproveravano a Bearzot la mancata convocazione di Pruzzo, quelli lombardi la rinuncia a Beccalossi.
Insomma, le solite beghe campanilistiche tra coda alla vaccinara e cassoeula. Due pietanze che trovo assolutamente indigeste e pesanti come le critiche che infilzavano Bearzot e gli azzurri. Come spesso accade, in queste circostanze e secondo un copione italico che si ripete, sempre, nelle situazioni in cui occorre compattezza e fiducia, alle critiche della stampa, che bene o male fa il suo mestiere, si unirono quelle dei dirigenti federali. Mi ricordo le dichiarazioni di Matarrese, presidente della Lega, dopo il pareggio con il Perù. Sfruculiando sulle origini pugliesi del presidente, un giornalista gli chiese se Catuzzi, allenatore del suo Bari, si sarebbe comportato come Bearzot che mandò in campo Causio al posto di una punta. Con grande senso del ruolo che ricopriva il massimo esponente della Lega rispose “Non offendiamo Catuzzi”, ma non contento aggiunse un carico da novanta: ”Al posto del presiden­te federale Sordillo non sarei sceso negli spogliatoi, perché avrei dovuto prendere tutti a calci nel sedere”.
Dall’Italia, inoltre, qualcuno ritenne opportuno farci sapere che si vergognava di appartenere alla stessa categoria di Bearzot. Firmato: Eugenio Fascetti, allora giovane e promettente allenatore.
Paolo Rossi viveva quelle giornate nelle stesse condizioni di Gregor Samsa, il personaggio della Metamorfosi di Kafka. Probabilmente pensava che era solo un incubo, solo qualcosa di irreale. Certo, non finì trasformato in uno scarafaggio come il personaggio kafkiano, ma di sicuro era un campione di calcio senza calcio sul quale pesava la condanna di essersi venduto per due milioni e un paio di goal.

I FESTINI DI VIGO
I giornali italiani, a Vigo, arrivavano con qualche giorno di ritardo. Però, mogli e fidanzate, che venivano telefonicamente raggiunte ogni sera dai giocatori azzurri, con i giornali davanti per leggere le punture di spillo più feroci, effettuavano una rassegna stampa da manuale. Cominciò tutto con una moglie, fuori dalla grazia di Dio, perché uno degli inviati, di un importante giornale sportivo, sparò in prima l’organizzazione di un festino azzurro con delle avvenenti majorettes, di puntate al casinò e di ‘amicizie intime’ tra alcuni azzurri.
Insomma, Sodoma e Gomorra. Tra la stampa italiana e gli azzurri i rapporti si complicarono e di brutto anche. Ovviamente, a guardare la vicenda con una certa oggettività e serenità d’animo, si può tranquillamente concludere, dal punto di vista del calciatore, che tu giornalista hai il diritto di criticare le mie prestazioni sul campo, puoi stigmatizzare la mia condizione atletica, non puoi però fare irruzione nella mia vita privata inventa doti peraltro cose che, a quanto si è appreso dopo, non stavano né in cielo e né in terra.
Si ritrovarono tutti d’accordo a rilasciare poche dichiarazioni alla stampa... Il rapporto s’incrinava... Ma non era ancora finita, per la serie al peggio non c’è mai fine.  Un’altra perfomance giornalistica  avvelenò  l’ambiente azzurro. Sui giornali si scrisse che in caso di qualificazione i nostri avrebbero preso un premio di qualificazione di circa 70 milioni.
Apriti cielo! Proteste dell’opinione pubblica, interrogazioni parlamentari e anche esposti alla Procura della Repubblica di Roma. Insomma, il solito teatrino all’italiana. Intervenne Sordillo, presidente della Federcalcio, precisando che ogni calciatore avrebbe ricevuto circa 20 milioni di lire e Carraro,presidente del Coni, aggiunse che il pagamento sarebbe  stato effettuato  prelevandolo dalle percentuali sugli incassi, Diciamoci la verità, fu una pagina di basso giornalismo, per non dire cronache dai bassifondi. A quel punto,l a squadra compatta, come un sol uomo, annunciò il silenzio stampa. Dino Zoff fu incaricato di rilasciare dichiarazioni di prammatica e di contenuto meramente tecnico. In questo clima, pesante psicologicamente, la comitiva azzurra lasciò Vigo per Barcellona per la seconda fase.

A BARCELLONA FACEVA CALDO
In tutti i sensi. Roventi, infatti, sono anche gli scontri che ci attendono: Argentina e Brasile, diciamocelo tranquillamente, due clienti difficili. Il compito non è dei più semplici. Chi tra queste tre – Italia, Argentina e Brasile – arriva prima va in semifinale, le altre due se ne vanno a casa. Bearzot, che, anche questo va detto senza perifrasi, non è certo il supertecnico che le circostanze richiedono, ma sicuramente è uno che ha lavorato di fino sul piano psicologico. A Vigo, nella partita con il Perù, intuì che la squadra era terrorizzata dalla paura di perdere, che si era insinuata nelle menti di Rossi e compagni e non c’era verso di mandarla mia. Agì immediatamente con l’accanimento terapeutico dell’elogio che, in alcune situazioni, apparve decisamente fuori misura. Ma, alla fine, come vedremo risultò l’arma vincente.
Ora, se proprio la verità va detta sempre e comunque, ci corre l’obbligo etico di ricordare che qualche ‘crepa’ dentro il team c’era. Massaro, ad esempio, peraltro in ottima forma, fu depennato da Bearzot perché durante l’amichevole giocata a Braga, località vicinissima a Vigo, criticò i compagni per certe giocate. Altobelli, dal canto suo, masticava amaro, per il suo ruolo di panchinaro. Dossena, che secondo alcuni osservatori doveva fare parte dell’undici titolare, si adattò di buon grado a fare il turista. Proprio a Barcellona, il presidente Sordillo, chiese a Zoff se non era il caso di interrompere l’ assurdo ‘silenzio stampa’. Zoff rispose picche.

SCINTILLE TRA MENOTTI E BEARZOT
Menotti, CT della nazionale argentina , è indubbiamente un personaggio carismatico, ma anche dotato di un ego che spazia in qualsiasi territorio. A Barcellona esternò critiche abbastanza pesanti nei riguardi della nazionale italiana che definì squilibrata e decisamente meno forte di quella vista in Argentina quattro anni prima. Bearzot, tra una soffiata di pipa e l’altra, replicò soavemente: «Anche la sua squadra, durante le amichevoli premondiali, poteva essere definita squilibrata. E poi cosa ne pensa della prestazione dei suoi contro il Belgio?».
Forse, allora, a Menotti, visto che evocò il Mundial giocato in Argentina nel 1978, andava rammentato che, vinse quel trofeo, sulle punte dei fucili dei militari del generale Videla e tra le urla dei prigionieri della Scuola Meccanica della Marina, a 500 metri dallo stadio del trionfo. Il tecnico italiano confermò la formazione che ha pareggiato con il Perù.
Un unico dilemma: chi marca MaradonaEl pibe gioca in avanti e mettergli addosso Tardelli significava sacrificare una spinta importante del nostro centrocampo. Mentre la squadra usciva  dagli spogliatoi del Sarrial’altro stadio di Barcellona – chiama Gentile e gli sussurra: “Maradona lo prendi tu, va in campo e annullalo. Il piccolo stadio era una fornace, non solo per il calore, ma anche per le passioni che vi ribollivano. Gli argentini si produssero nella loro specialità sin da subito:scontri durissimi con Passarella grande protagonista. Gli azzurri fanno vedere, all’arbitro, i segni dei tacchetti sulle caviglie, ma senza alcun effetto pratico. Maradona tenta qualche numero ma gli è addosso un’ombra azzurra che si piazza alle sue costole. L’unica volta che riuscì a sgusciare, l’impeccabile Scirea lo stese senza pensarci troppo.
Si va al riposo sullo 0 a 0. Passò una decina di minuti del secondo tempo Conti aggancia una palla a centrocampo e imbastisce un contropiede in collaborazione con Antognoni che lascia a Tardelli che insacca con un rasoterra angolatissimo 1 a 0. Poi cominciò a giochicchiare Paolo Rossi. Sua la prima seria minaccia a Fillol che respinge come può e Conti artiglia il pallone e lo serve a Cabrini che  mette dentro 2 a 0. Altobelli sostituisce Rossi e come benvenuto riceve una perfida gomitata in faccia da Passarella che su punizione, mentre Zoff sistemava la barriera,  segnerà il goal del 2 a 1. Inutili le proteste azzurre, ma quello che conta è che abbiamo vinto.

SPADOLINI A CASA ITALIA
l 2 luglio mattina, a Casa Italia, arrivò il presidente del Consiglio Spadolini. Doveva andare a Madrid, ma fece una deviazione e si recò a salutare gli eroi azzurri. 
Non era un bel momento per il paese. C'era l’inquietante vicenda della P2, l’affare Calvi, impiccato sotto un ponte a Londra. Sordillo, galvanizzato, evidentemente da una così autorevole presenza si perse in un discorso dai toni aulici e si avventurò in riferimenti alla fatale avventura di Leonida alle Termopili. Più prosaicamente, Bearzot e i suoi giocatori, nel pomeriggio, si recarono al Sarria per assistere al match tra Argentina e Brasile I cariocas vinsero  alla grande:3 a 1. Maradona, piazzò i bulloni sul fianco di Batista e concluse il suo Mundial con un’espulsione, uscita malinconica. Come attenuante della sua non brillante prestazione disse che stava ancora male per via delle botte prese contro l’Italia.
Pelè commenterà questa uscita con un severo giudizio: “Non è ancora maturo”. Ebbe invece parole di grande elogio per Bruno Conti che elesse a suo preferito.

ITALIA –BRASILE, IL TRIONFO DI ROSSI
La bella vittoria contro l’Argentina non migliorò i rapporti tra stampa e squadra. Rimasero  tesi tanto che, fra un giornalista del Messaggero e Gentile, si venne  quasi alle mani. Ai brasiliani bastava il pareggio. Vantavano una migliore differenza reti. Per noi era un problema. Ci toccava scoprirci e non era né  facile né prudente.
Santana, allenatore del Brasile, temeva tantissimo il contropiede azzurro. Indicò in Conti e Antognoni i suoi preferiti e ne elogiò le giocate. Zico era incerto. Aveva subito un pestone sul polpaccio dallo specialista Passarella. Passò la vigilia con la borsa del ghiaccio e alla fine giocherà. Bearzot chiede a Oriali di marcare Zico...
Sembrava  fatta, ma quando mancavano dieci minuti dall’inizio, Bearzot, chiamò Gentile e gli disse: “Ti ho visto molto bene su Maradona. Vai tu su Zico, Oriali va su Eder. 
Cominciò la partita e sembravamo destinati a soccombere. Una sfuriata brasilera ci mise all’angolo per 5 minuti. Poi, l’immenso Conti si avventurò in un periglioso dribbling e alla fine passò a Cabrini che si produsse in un cross che la testa di Rossi intercettò e spedì all’angolo lontano. 1 a 0 per noi.
David aveva colpito Golia che adesso reagisce alla grande, tessendo trame di gioco cui assistiamo impotenti.
Arrivò un pallone per il dott.Socrates che accennò a un cross, invece trafisse il povero Zoff sul primo palo. Ci eravamo illusi… eh.? Guardavamo incantati questo centrocampo delle meraviglie dove danzavano Falcao, Cerezo, Socrates… eh sì gente, la classe non è acqua. Zico, nonostante il polpaccio dolorante, mandò a spesso a vuoto Gentile il quale, a un certo punto, evidentemente estenuato dai giochi di prestigio del mago brasiliano, si attaccò  alla maglia e gliela ridusse in brandelli.
Ma, spesso, l’eccesso di sicurezza, la voglia di stravincere, nel calcio come nella vita, non aiutano, anzi tradiscono. Capita a Cerezo e Leandro che pasticciarono elegantemente con il pallone che Rossi agganciò, come un predator,  e si avviò spensierato nel corridoio che gli si aprì davanti: botta di destro e goal. 2 a 1.
Uscì intanto Collovati ed entrò in campo un giovanissimo Bergomi che, per via dei suoi baffoni che gli davano un’aria saggia e seria, i compagni chiamavano zio.

Nella ripresa c’è una calma piatta, per dirla alla marinara, che davanti al televisore, sbuffando per il caldo, bevendo Coca Cola e tè freddo, non sapevamo come interpretare. Falcao, accidenti, trova un buco e batte Zoff.
Siamo quasi al ’70. Ci aspettiamo il peggio. E invece al 74’ arriva il miracolo. Calcio d’ angolo, si accende una mischia, ci provò Tardelli respinta, ma ci mise il piede Pablito e insaccò per la terza volta. I brasiliani si buttarono in avanti come dei disperati.
Ci fu un colpo di testa di Cerezo, Zoff vola sulla sinistra e aggancia la palla proprio sulla linea e toglie tolse  dieci anni di vita a milioni di italiani. Finisce 3 a 2 per noi.
L’Italia recuperò, nelle soffitte, le vecchie bandiere tricolori e scese nelle piazze a urlare la sua gioia, ma anche la sua rabbia e, soprattutto, la sua voglia di vivere.

(SEGUE)