«Quel poco che so della morale l’ho appreso sui campi di calcio e le scene di teatro – le mie vere università».
Albert Camus

Nel cuore di Napoli, tra i suggestivi vicoli del Decumano Superiore, in via Pisanelli 8, c’è il convento di clausura delle clarisse cappuccine, meglio conosciuto come Monastero delle trentatré così chiamato perché questo era il numero delle suore che, sotto la guida di Maria Longo, fondarono, nel 1506, il convento. C’è da precisare, a proposito del nome, -trentatré -che le religiose diedero questo nome, al loro monastero, in riferimento agli anni vissuti di Cristo. Il nome ufficiale, diciamo così, è Santa Maria di Gerusalemme.
Maria Longo era una nobildonna catalana che arrivò a Napoli nel 1506 e si impegnò in molteplici opere di carità. Sotto il Vesuvio ci sono almeno 500 chiese e numerosissimi conventi. Tutti custodiscono storie. D’altronde Napoli, come sappiamo bene, è come un appassionante libro che a sfogliarlo, a ogni pagina, ci fa scoprire sempre qualcosa di magico  e di speciale.
Come questa storia che ci accingiamo a raccontarvi.

LE ‘FEDI’ DI SUOR ROSA
Suor Rosa Lupoli, Madre Abbadessa del Convento di Santa Maria in Gerusalemme, è una clarissa le cui giornate, come tutte le altre consorelle, sono scandite dalla fede e dalla preghiera. Ma, suor Rosa, alla Fede, con la maiuscola, ne ha aggiunta un’altra, decisamente con la minuscola, che noi peccatori chiamiamo tifo. Dovete sapere che la nostra Madre Abbadessa è attivissima sui social. Usa Tweet e FGacebbok con la stessa intensità spirituale con la quale sgrana il rosario.
La nostra Rosa, in gioventù, è stata una promettente campionessa di pallavolo. Ma, nel cuore, della nostra Madre Abbadessa, il posto d’onore è riservato al Napoli. E’ – come si dice dalle sue parti – na’ passione – e sembra di sentire le note melodiche, sussurrate di quella bella canzone di Libero Bovio che s’intitola Passione.

Te voglio, te penso, te chiammo te veco, te sento, te sonno è 'n'anno, ce piense ca è 'n'anno ca 'st'uocchie nun ponno cchiù pace truvà?

Suor Rosa, conosce bene cosa diceva il filosofo francese Pascal, a proposito di cuore e ragione, ovvero che Il cuore ha delle ragioni che la ragione non conosce. Le ragioni del suo cuore sono colorate di azzurro. Lo sono sin dai tempi di Diego Armando Maradona. Quando il “Pibe de oro” morì, salì sui tetti del convento e scrisse su Tweet “Omaggio ad un fenomeno irreplicabile”.
Suor Rosa è nata a Ischia. Si è laureata in Lettere Moderne e scoprì la vocazione, quella religiosa, non fraintendiamo, quando un giorno accompagnò un’amica che si accingeva al postulato in monastero ( è il periodo in cui ancora laici  si sperimenta concretamente la vita quotidiana dei frati ndr). Ma fu lei a porsi delle domande Qual era il senso vero dell’esistenza? La vita sulla bella isola, la laurea in lettere? No, scoprì che forse l’essenza del passaggio terreno era nella clausura.
La nostra madre abbadessa, per tornare alla sua passione, quella secolare diciamo, fu protagonista di un clamoroso episodio che, in qualche modo, ci rivela quanto forte è quell’altra fede, quella colorata di azzurro.
Bene, per farvela breve, un giorno si giocava Juve –Napoli e le clarisse piemontesi, tutte juventine, punzecchiavano, via Facebook. Rosa Gli smartphone sostituirono gli striscioni e le urla degli ultrà. Suor Rosa, il giorno dopo, confessò: ”Ho sospeso la comunicazione perché si sarebbe arrivati ad un terribile scontro con le consorelle.”

LO SCUDETTO? CI HA PENSATO IL MIO ‘CAPO’
Lo scudetto al Napoli? Ma, è chiaro due più due fa quattro. Ci ha pensato il mio ‘capo’. Insomma, cosa volete che vi dica… è chiaro che c’è stato un intervento dall’alto.”

Così rispose ai giornalisti, che conoscevano la straordinaria passione di Suor Rosa, e andarono ad intervistarla all’indomani della conquista azzurra dello scudetto. Siamo al cospetto di un contesto di vita che solo il genio di Eduardo De Filippo oggi saprebbe raccontare. La Madre Abbadessa ischitana ha raccontato anche che con l’aiuto delle sorelle della Chiesa di Regina Coeli, non distante dal monastro delle trentatré, nel 1990 dipinsero tutta la strada di azzurro.
Ricevo regolarmente un invito per lo stadio – ha aggiunto –ma non mi fido di me. Quando esulto perdo il controllo e allora meglio perderlo in convento
. Sono sempre una monaca di clausura, non vorrei fare brutte figure. Scherzo ovviamente, ma lo stadio preferisco evitarlo.
E cosa pensa di Spalletti?“ Lui non vince solo per se stesso, ma anche per Napoli e i napoletani. Qui la squadra è parte integrante del territorio. A Roma, Milano e Torino hanno due squadre. Noi napoletani ne abbiamo una sola. Tutti per uno.
Ma, come segue il calcio Suor Rosa?Alla radio e poi racconto. Certo, gli orari non ci favoriscono. Ad esempio  quando si gioca alle 18 siamo in preghiera. Alle 21 è tardi, siamo in camera… Poi sorride maliziosamente e aggiunge: ”Ma se il Napoli è in campo… tutte sveglie fino al fischio finale. Ordine dell’Abbadessa!”

NON FATE LE ZITELLONE!
Il monito di Papa Francesco, anche se pronunciato con un largo sorriso, lasciò sbigottite le suore radunate nel grande salone dell’istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice. Il Santo Padre, rivolto alle suore di ogni congregazione, le ha esortate ad aprirsi al mondo. “ Non comportatevi mai come bigottone – aggiunse Messaggio forte e chiaro ricevuto dal Sister Football Team. Che cos’è? Tenetevi forte: è la prima nazionale di calcio al mondo interamente composta da suore e religiose.” L’idea, prima ancora dell’esortazione del pontefice, era già in itinere nella mente – meglio dire la fervida mente – di Moreno Buccianti.
Doveroso soffermarci su questo personaggio che ha in dote una grande abilità organizzativa unita a una grande passione per il calcio. Buccianti è un ex-calciatore. Ne l 2005 fondò la Selecao dei sacerdoti. Disputò almeno 500 partite di beneficenza a sostegno di progetti di solidarietà anche all’estero.
Encomiabile quello a favore dei bambini di Betlemme: la prima amichevole di una selezione cristiana contro la nazionale palestinese di calcio. Nel 2010, Buccianti, si trovava su un campo a Ostia. La sua attenzione fu attirata da una suora che palleggiava. La guardava incredulo La religiosa esibiva una straordinaria abilità. Moreno, che di calcio e di calciatori se ne intende, intuì di trovarsi davanti a una calciatrice nata. Le parlò e la mise al corrente del suo progetto. La incaricò, addirittura, di fare scouting presso i vari conventi e istituti. La suora, che palleggiava come Maradona, si chiama Daniela Cancilia. Accettò la mission e si fece aiutare da un’altra consorella Ornella Maggioni, grande tifosa interista,  che si entusiasmò subito al progetto di Moreno. Perché sarebbe stata un’opportunità unica per creare momenti di incontro tra suore e religiose sparse in tutta Italia.

IL DEBUTTO DEL SISTER TEAM
Dopo tre mesi di scouting e assemblata la formazione arrivò il giorno del debutto a Roma. Ad accogliere la nazionale delle suore suor Paola d’Auria, tifosissima della Lazio. Ospitò le ‘convocate’ nella foresteria della So.Spe che significa Solidarietà e Speranza.Organizzazione che  opera a favore di ragazze madri, bambini e adolescenti e si impegna nel sostegno e nel recupero di persone vittime di violenze e povertà, detenuti e famiglie disagiate.Per iniziativa di Suor Paola e grazie anche alla generosità di benefattori e volontari, dal 1998 l’Associazione cerca di donare assistenza sociale e sanitaria a persone bisognose, tentando di favorirne le condizioni sociali ed ambientali con il fine di raggiungere una loro rieducazione ed il reinserimento nella società.Fu Claudio Lotito, presidente della Lazio, a fornire le maglie alle sisters. La prima amichevole la disputarono contro una formazione di madri, vittime di violenza, ospiti della So.Spe. Giusto citare a questo punta la lista delle convocate. Scesero, in campo, in quella storica prima volta:Suor Daniela Cancilla (Gubbio), suor Annika Fabbian ( Vicenza), suor Marta Ronzani (Roma), suor Francesca Avanzo e suor Gilberta Ugeito (San Giovanni Valdarno), suor Silvia Carboni (Cagliari), suor Marianna Segneri (Roma), suor Celeste Berardi (Roma) suor Regina Muscat (Roma), suor Livia Angelilli (Roma) e le due romene, suor Emilia Jitaru e suor Corneli Magbici (Roma). Seguirono poi gli impegni ufficiali. Presero parte al quadrangolare “Un pallone, un sorriso”. Organizzato in occasione della giornata internazionale contro la violenza sulle donne.
Vinse il torneo la squadra femminile del Vaticano che, ovviamente, aveva una più solida esperienza e naturalmente delle abilità tecniche decisamente a quelle delle debuttanti del  Sister Team. Intanto, molte suore, sparse nei vai conventi d’Italia, appresa l’esistenza della nazionale delle consorelle, facevano ‘pressing’ – è proprio il caso di dirlo – sulle madri superiori perché rilasciassero il benestare per rispondere alla ‘chiamata’ di Buccianti. A Desio disputarono partite di calcio a cinque contro una formazione di artisti della Tv, una selezione femminile del Vaticano e la squadra delle “Farfalle” le ragazze della nazionale della ginnastica ritmica allenate da Emanuela Maccarani, moglie di mister Buccianti.

CALCIO E VOCAZIONE
Nello scrivere questo post ho rintracciato scritti e testimonianze di queste ragazze che hanno scelto una vita diversa. Non nascondo che alcune affermazioni mi hanno indotto a riflettere e a interrogarmi sulla mia esistenza. Per una straordinaria coincidenza mi è capitato di leggere quanto ha scritto un poeta proprio sulle domande che ci poniamo sul senso della nostra vita.
Dio è una virgola, non un punto fermo – ha scritto – la virgola rimanda a qualcosa in più, manda avanti il discorso, lascia aperta la possibilità di comunicazione. Il punto chiude il discorso. Dio ama le domande. Suor Celeste Berardi di Roma ha detto di sé che non ha una storia straordinaria, fatta di effetti speciali. Dio l’ha resa straordinaria attraverso le piccole cose di ogni giorno. Ho lasciato la mia passione per il calcio, avevo il sogno di far parte di una vera squadra ed ecco che arriva la chiamata a rimettere gli scarpini, i pantaloncini e tornare su un campo di calcio per partecipare a questa bellissima iniziativa. Suor Celeste dice che questa è la conferma della grandezza di Dio e aggiunge una frase bellissima: Lui non toglie nulla, ma ti ama, ti sceglie, ti cerca così come sei con le tue passioni e i tuoi talenti, trova sempre il modo di farli fruttificare.
Giocare per la Nazionale è anche un originale modo per trasmettere il Vangelo. Lo sport – dice Suor Celeste – è uno spazio meraviglioso per parlare attraverso il divertimento, la gioia, il sorriso, il gioco di squadra, l’altruismo che Dio è nella gioia, è nell’amicizia, nella costanza e non arrendersi mai quando si è stanchi, perché ci sarà sempre qualcuno che ci sosterrà. L’obiettivo di Sister Football è sensibilizzare, concretamente attraverso la nostra passione per il calcio progetti di solidarietà e beneficenza di vario genere; come per esempio quando all’Olimpico lo scorso maggio con la Nazionale calcio attori abbiamo sostenuto un ospedale pediatrico in Ucraina.”

SPORT E ETICA
Ci sono tematiche affiorate nel corso di questo post, grazie alle testimonianze delle suore che con passione giocano al calcio, sulle quali vale la pena di soffermarsi.  
La passione di queste giovani suore  è anche il modo di sensibilizzare coscienze, sollecitare solidarietà, porre domande, quelle domande che Dio ama come abbiamo accennato prima. Sul significato profondo dello Sport, lo scomparso papa Ratzinger si è soffermato spesso nella sua opera pastorale, ma soprattutto in veste di filosofo e di teologo. Per Benedetto XVI, l’attività sportiva, il calcio in particolare, non è semplicemente un momento di svago e nemmeno l’occasione per mantenersi in buona salute, è un’anticipazione della vita beata. Joseph Ratzinger, nel corso dei primi due anni del suo pontificato, ha parlato di sport almeno 53 volte.
Ma, quello che è importante sottolineare, non è quanto ne ha parlato, ma come ne ha parlato. Per Benedetto XVI lo sport è etica.
Era consapevole della crisi dei valori in occidente e riteneva che lo sport poteva recare un aiuto alla tradizione. Nel gioco si formavano la crescita intellettuale e spirituale della persona. Era straordinariamente in linea con il pensiero di  Albert Camus che scrisse Quel poco che so della morale l’ho appreso sui campi di calcio e le scene di teatro – le mie vere università”. Camus giocava in porta nel Racing Universitario di Algeri. Dovette lasciare perché risultò affetto da tubercolosi. Il suo sogno era fare il calciatore.
Il giovane Joseph Ratzinger emerge nel panorama filosofico e teologico delle università
, negli stessi anni del dominio calcistico del Bayern di Monaco. Tanto per capirci sono gli anni ( 1965-1979) in cui emergono talenti come Sepp Maier, Franz Beckenbauer, Gerd Muller.
La Baviera roccaforte cattolica del Seicento è terra di contadini, di uomini di fede e di tifosi del Bayern di Monaco.”
Ratzinger è tifoso del Bayern, non lo ha mai nascosto. Se lo studio della filosofia e della teologia lo appassionava  e lo teneva  impegnato, nulla però gli impedì di continuare a seguire il Bayern Monaco, di cui diventerà socio onorario diciassette anni più tardi.
Ma il suo tifo non somiglia affatto a quello più passionale di Papa Francesco. Sono altri gli aspetti del calcio che attraggono e forse affascinano Benedetto XVI. In particolare quel legame che c’è tra teologia e calcio.
Alla vigilia dei Mondiali di Calcio del 1986 scrisse un testo che poi sarà inserito nel suo libro Cercate le cose di lassù, in cui analizza, con estrema lucidità, l’importanza sociale del calcio. Testimonianza di grande importanza proprio della concezione che lo scomparso pontefice emerito aveva del calcio.

(SEGUE )