Una domenica di novembre del 1950 in Sicilia
Il treno, dalla strana silhouette, percorre velocemente  il territorio, collinare e montuoso, del versante centro-orientale dell’isola. Un comprensorio che chiamano Calatino.
La ‘littorina’, nome coniato da uno zelante giornalista, quando apparvero i primi modelli negli anni ’30, con azzeccata sintesi tra fantasia e un pizzico di piaggeria nei confronti di un regime che si era scelto il littore come simbolo.  
Nell’immaginario popolare però non evoca più l’antica arma romana portata appunto dai littori, ma solo un sinonimo di velocità e comodità di viaggio. Qualità che proseguirono anche nel dopoguerra. Correva velocemente sui binari di un‘Italia che non era più imperiale. Copriva distanze brevi in poco tempo, talvolta meno di un’ora. Neanche il tempo di un bacio. Sfreccia veloce nell’aria che odora di frutta, di miele e di uva lasciata macerare al sole. Il treno viaggia verso Caltagirone, comune siciliano, che è un po’ la ’capitale’ del Calatino.
Abbiamo indugiato nell’affresco ambientale perché memori di quanto scriveva Goethe senza capire la Sicilia non ci si può fare un’idea chiara di quello che è l’Italia.”
Torniamo sul treno. Due viaggiatori siedono uno di fronte all’altro. Sono due predestinati, in attesa di una “ chiamata” o, come si dice più compiutamente, “daimon”, quel compagno segreto dal quale dipende, quasi sempre. La nostra vita.
Scopriamo chi sono. Uno è il ragionier Concetto Lo Bello, il suo daimon gli riserva, come vedremo, un destino sui campi di calcio dove si segnalerà come il miglior arbitro del mondo. L’altro è Candido Cannavò, la sua “chiamata” è tra le rotative, il fruscio del giornale appena stampato, le pagine rosa del miglior quotidiano sportivo d’Italia: la Gazzetta dello Sport che un giorno dirigerà.
Entrambi vanno a Caltagirone. Il primo per arbitrare una partita, l’altro per scrivere cronache sportive di squadre locali. E’ un incontro che segna l’inizio di un’amicizia che non rimarrà confinata entro i rispettivi ruoli, ma si estenderà anche nell’ambito di iniziative a favore della loro terra. Sono due persone fiere, determinate a raggiungere i loro obiettivi. Sono come due antichi eroi che lottano contro il resto del mondo. Sono queste le migliori virtù dei siciliani. Il giovane Concetto, aveva il giusto physique du rôle, alto, profilo greco, baffetti sottili, portamento ieratico. Decisamente fu un’icona dal punto di vista estetico. Va a Caltagirone per dirigere Caltagirone-Drepanum (antico nome latino di Trapani ndr) partita valida per  la terza giornata del Campionato di Promozione (attuale serie D). I trapanesi hanno avuto un avvio non brillante. Un punto in due partite. Il Caltagirone è un brutto cliente, ambisce alla vittoria del campionato e pare abbia le carte in regola per riuscirci. Pressing dei calatini e la difesa trapanese si difende come può. Calcio d’angolo. Svetta la testa di Carlo Kaffenigg, attaccante triestino del Caltagirone non più giovanissimo, ma di notevole esperienza grazie ai suoi trascorsi in Serie A. Colpisce la palla di testa, ma questa finisce addosso all’arbitro che insacca. Accadde il parapiglia classico che ancora oggi vediamo sui campi di calcio. I trapanesi circondano il Sig.Lo Bello di Siracusa e gli chiedono, anche con una certa risolutezza, di annullare la rete. Ma, inflessibile, regolamento alla mano, il prestante arbitro siracusano indica  il centrocampo. Il regolamento era dalla sua parte. E Concetto lo applicò sempre alla lettera senza mai scendere a compromessi. Quella partita fu il viatico di una carriera arbitrale da hombre vertical.

COMINCIAMO DAI NUMERI
I numeri hanno il pregio di non mentire mai e di definire esattamente quello che si vuole rappresentare meglio di qualsiasi artifizio lessicale. Ma, procediamo con ordine.
Il signor Lo Bello di Siracusa è nato a Siracusa il 13 maggio del 1924 e vi morì il 9 settembre del 1991. Nella sua carriera ha arbitrato 330 partite di Serie A . Record ad oggi imbattuto. Ha diretto 93 incontri internazionali. Ricordiamone qualcuno tra i più importanti: finale Olimpiadi 1960 (Iugoslavia-Danimarca); 2 finali Coppa dei Campioni (1968: Manchester United-Benfica; 1970: Feyenoord-Celtic); finale di ritorno Coppa delle Fiere 1966 (Real Saragozza-Barcellona); Coppa Intercontinentale 1966 (ritorno, Real Madrid-Peñarol); finale Coppa delle Coppe 1967 (Bayern Monaco-Rangers), spareggio Francia-Bulgaria per la qualificazione ai Mondiali 1962; Campionato del Mondo 1966 (Inghilterra-Messico; semifinale Germania Ovest-URSS); Campionato d'Europa 1964 (finale per il 3° posto URSS-Danimarca). L’inflessibilità nell’applicazione del regolamento di gioco, la cortesia formale con i giocatori, cui dava sempre del lei e non ammetteva contestazioni contribuirono a creare un’aura quasi leggendaria.
Si racconta che il suo spogliatoio, ad ogni partita, fosse off limits e presidiato all’ingresso. Una vera disdetta per presidenti e dirigenti delle squadre che avendo ormai capito che il personaggio non era di quelli che si lascia tagliare con l’accetta, si recavano in pellegrinaggio, per ossequiarlo,  e stavano in trepida attesa della sua uscita pervasi dall’ansia dei postulanti. Qualcuno ha scritto che poiché è riuscito a dare fastidio a tutti i grandi club della serie A se ne deduce che la sua condotta fu improntata alla massima imparzialità.
La Juventus, c
he, sempre, una ne pensa e cento ne fa, cercò di sottrarsi alla severità del direttore di gara siracusano. Chiese ufficialmente che non venisse designato a dirigere le partite dove era impegnata la compagine dellavvocato. Lo Bello reagì di brutto, con una presa di posizione  pubblica piuttosto forte e Umberto Agnelli, presidente della Juventus e, per un certo periodo, della FIGC, fu costretto ad un’umiliante replica.

LA FURBATA DI SUAREZ
Dimostrò intuito nell’interpretazione delle varie circostanze di gioco. Questo gli dava sicurezza e in alcuni casi gli consentì di essere in anticipo su certi aspetti del regolamento. Nel corso di un acceso derby Milan-Inter, Suarez, faro del gioco nerazzurro, commise un brutto fallo. Per distogliere l’attenzione del direttore di gara finse di essersi fatto male e chiese di essere portato fuori. Lo scaltro giocatore spagnolo però fece male i suoi conti. La sua furbizia cozzò – e di brutto – contro la scaltrezza atavica di un siciliano Doc. Suarez non poteva sapere che i siciliani hanno la straordinaria capacità di afferrare le situazioni con rapidità fulminea e di valutare con precisione il potere rispettivo delle parti contendenti. Lo Bello attese che Suarez rientrasse in campo e subito fischiò una punizione contro i nerazzurri che naturalmente protestarono, con veemenza, ma lui seraficamente spiegò agli agitati giocatori interisti che la punizione era stata fischiata per punire un’irregolarità che ancora il regolamento non contemplava: la simulazione. Poco tempo dopo, l’International Board accolse l’interpretazione di Lo Bello e la inserì nel regolamento. Fu lui a sostenere che l’arbitro non deve solo essere preparato dal punto di vista tecnico. Conoscere il regolamento e applicarlo correttamente non basta. L’arbitro deve essere preparato anche atleticamente. Deve allenarsi durante la settimana, corsa e scatti, per seguire meglio le azioni di gioco. Lasciò un segno della sua autorità in campo in quasi tutti gli stadi italiani.
Nel’58 arbitrò, a Napoli, nel vecchio stadio del Vomero, un Napoli-Juve con cinquemila persone ai bordi del campo. A norma di regolamento, avrebbe potuto annullare l’incontro anche su insistenza di chi era preposto alla tutela dell’ordine pubblico. Lui si rifiutò. Entrò in campo e guardò verso la folla urlante a pochi metri da lui. Non abbassò lo sguardo, fischiò l’inizio del match.
Non accadde nulla. Il Napoli vinse per 4 a 3. Partita regolarissima. Uscì tra gli applausi.

GALIC E CISLENKO
Nel 1958 Lo Bello  divenne ‘internazionale’
. Il primo incontro fu al Cairo, Egitto-Germania Ovest. Vinsero gli egiziani per 2 a 1. Nel 1960, Olimpiadi di Roma, venne designato a dirigere la finale tra Jugoslavia e Danimarca. A un certo punto captò un insulto da parte dello jugoslavo Galic.  Il calciatore non si  preoccupò molto, perché convinto che l’arbitro italiano non poteva capire la sua lingua. Lo sprovveduto non sapeva invece che Lo Bello fosse amico di Bonacic, allenatore di pallanuoto dell’Ortigia (squadra siracusana) e che quindi gli avesse insegnato tutti gli insulti possibili in slavo. Soprattutto quella più comune: figlio di p***.
Espulsione di Galic e sconfitta della Jugoslavia. I dirigenti del calcio dell’Est non la presero bene e chiesero e ottennero che l’arbitro italiano venisse escluso dai Mondiali del ’62 in Cile. Gli attriti con squadre dell’Est tornarono alla ribalta ai Mondiali del 1966 in Inghilterra. Lo Bello arbitrava Germania Ovest-URSS, una semifinale che aveva i connotati di una battaglia. Giusto rammentare il contesto geo-politico in cui si svolse la partita. Siamo nella fase più dura della guerra fredda. Da cinque anni, la Germania, è divisa in due da un muro voluto dai russi. C’è dunque tensione tra le due squadre. Alla fine del primo tempo Lo Bello fischia un brutto fallo di Cislenko e subito dopo lo espelle.
I sovietici perdono la partita (2 a 1) e dicono addio alla finalissima cui per motivi politici tenevano tanto. Morazov, l’allenatore sovietico, si avventa su Lo Bello. Ma lui imperturbabile gli spiega che ha agito a norma di regolamento.

UNA PERSONALITA’ EGOCENTRICA
Chi scrive non ha nessuna inclinazione a scrivere epinici, ovvero componimenti lirici celebrativi in onore di chicchessia. Pertanto di Lo Bello, oltre a rappresentare - in una sorta di casereccia chanson de geste - le indubbie sue  perfomance arbitrali, troviamo oggettivamente giusto elencare qualche chiaroscuro della sua dirompente personalità.
Il primo che ci sovviene, sulla base di ricordi personali, di testimoni di eventi, appartenenti a un’epoca della quale ci è consentito affermare, con una certa sicurezza, lasciatecelo dire, Io c’ero, è il protagonismo lobelliano. Un protagonismo dettato da un forte egocentrismo che lo portava a conquistare l’intera scena dello spettacolo. I calciatori in campo diventano comparse.
Un aspetto della personalità che, come abbiamo già accennato qualche mese fa nel post su Rivera, fu colto, con grande acume, da Nereo Rocco. Il paron, nel corso di un’intervista, non usò giri di parole, tra l’altro il personaggio non era aduso alle mezze misure e non le mandava a dire: ”Lui non arbitra partite, ma fa di esse un palcoscenico per fare sfoggio del suo esibizionismo. La personalità ha distrutto l’arbitro”. Gli scontri tra Rocco e Lo Bello furono epici e ci torneremo.
Un altro giudizio, sulla controversa personalità dell’arbitro siciliano, lo scrisse proprio il suo grande amico Candido Cannavò.Più difficile era la partita, più si esaltava in bravura. Il rischio era la noia. Il Lo Bello annoiato diventava pericoloso. Ne inventava qualcuna delle sue per animare la scena”. L’invenzione della figura dell’arbitro-spettacolo reca in calce la firma di Concetto Lo Bello di Siracusa.

DUCE, DUCE! LA RABBIA DEL TIFOSI VIOLA
Dell’esorbitante ego di Don Concetto i tifosi, più avanti negli anni, della Fiorentina conservano, ancora oggi, un rabbioso ricordo. Sono due le ‘pieces’ – è il caso di dirlo – messe in scena sul palcoscenico fiorentino dal ‘regista ‘ siracusano. Ve le raccontiamo, così come le ricordiamo, a braccio.
La prima andò in scena, se la memoria non c’inganna, nel ’61, nella prima settimana di gennaio. Si giocava Fiorentina-Inter. I viola conducevano per  1 a 0. La Fiorentina difendeva  il risultato e Petris, ala dei gigliati, era in difesa a dar manforte ai compagni. Corner per i nerazzurri, svettarono sullo spiovente Bolchi e Petris. L’attaccante viola diede uno spintone al nerazzurro. Lo Bello implacabile, fallo in area non si scappa: rigore! Parapiglia dei fiorentini. Proteste feroci. Lo Bello si avvicina a Petris e gli spiega, a norma di regolamento, perché ha concesso il penalty. Alla fine Lindskog riesce a tirare il rigore e l’Inter pareggia.
Ma, non finì così. Altro calcio d’angolo per i nerazzurri. Petris si avvicinò a Lo Bello e, stando alle cronache di allora, pare gli abbia detto: ”Ora farò lo stesso gesto di prima e voglio vedere se lei, con il suo dannato regolamento, ha il coraggio di fischiare un altro rigore.”
Grossa ingenuità di Petris, mai sfidare il tiranno apertamente. Stesso gesto, altro rigore. Lindskog lo sbagliò.
I tifosi avevano, comunque, un diavolo per capello. Assediarono gli spogliatoi e le cronache raccontarono, con grande enfasi, che Lo Bello fu messo in salvo su un treno, diretto a Roma, a San Giovanni Valdarno. Era ancora in divisa.
Otto anni dopo, ci pare, e se la memoria ci fa ancora da ancella soccorritrice, va in scena, come si conviene alle opere ben riuscite, una replica. Dicono che la Storia non si ripete mai, ma, secondo noi, talvolta fa rima con sé stessa.
Sullo stesso palcoscenico si recitava Fiorentina-Cagliari. I viola erano campioni d’Italia e la stagione ’69-’70 l’avevano iniziata alla grande. Il Cagliari era la grande novità di quell’anno. Inseguiva i viola che erano al primo posto in classifica. Arbitro, ancora lui Concetto Lo Bello. Il Cagliari passò in vantaggio grazie a un rigore dubbio, molto dubbio. Ma, prima del penalty ai sardi, Don Concetto non concesse due rigori alla Fiorentina. Non contento annullò pure il goal del pareggio per un fuorigioco di qualche millimetro. Due espulsioni: Amarildo per i viola e un giocatore del Cagliari di cui non ci sovviene il nome.
A pochi minuti dal termine, dagli spalti, gremiti fino all’inverosimile, partì un coro ritmato: Du-ce, Du-ce, Du-ce. Oltre al coro, dalle tribune, partì un fitto lancio di bottiglie. Ci fu una terribile rissa negli spogliatoi. Lo Bello e i segnalinee rintanati nello spogliatoio. Li tirarono fuori e li imbarcarono su una camionetta della polizia e la scamparono ancora una volta.

LO BELLO HA SCRITTO LA CLASSIFICA
La partita di Firenze suscitò un vespaio di polemiche e, addirittura, qualche interrogazione parlamentare. Il Corsera titolò in apertura di pagina Lo Bello ha scritto la classifica. Il commento fu di Gino Palumbo, penna sportiva tra le più quotate e grande rivale di Gianni Brera.
Palumbo scrisse che il match era stato uno spettacolo con un solo protagonista: il sig.Lo Bello. Ma, sottolineò anche, come un arbitro, se lo vuole può diventare il padrone della gara e condurla a suo piacimento.
Questo non è il resoconto di Fiorentina-Cagliari - scrisse Palumbo - questo è il racconto dello show personale che Concetto Lo Bello ha realizzato sul terreno dello stadio di Firenze.”
Ma, ovviamente, i commenti più sapidi, li scrisse Indro Montanelli, grande tifoso viola.
Entra in campo con il passo del padrone che ispeziona il proprio podere.” Ma, il vero grande affondo, l’indimenticabile giornalista di Fucecchio, lo portò attraverso un accostamento sublime che puntava anche a sottolineare, in maniera ironica e garbata, com’era nel suo stile, la “sicilianità” dell’arbitro siracusano. “Lo Bello illustra perfettamente - scrisse Montanelli - quel proverbio siciliano che dice “cummanari è megghiu ca futtiri” (comandare è meglio che fare l’amore ndr). In realtà, se proprio vogliamo essere chiari, l’acuta osservazione di Montanelli trovava riscontro nelle posture dell’arbitro siciliano: Lo Bello emanava sia con i gesti e la sua forte possanza fisica il piacere erotico del comandare. Immancabile, come accennato, la tradizionale interrogazione parlamentare. Fu presentata da un deputato della DC. Sosteneva il parlamentare, di cui non rammentiamo il nome, che “il potere degli arbitri doveva essere ridimensionato.” Non spiegava in che modo.

Erano anni di contestazioni, di occupazioni e di autogestioni di licei e università. Insomma, probabile che quello che i filosofi tedeschi chiamano Zeitgeist - spirito del tempo - abbia influenzato l’onorevole che sicuramente auspicava partite autogestite dai giocatori in campo.

(SEGUE)