qui per la parte II

“Glielo romperei in testa questo bicchiere”.
La  frase fu pronunciata, con durezza,  da Concetto Lo Bello nello spogliatoio di San Siro il 17 gennaio 1973, alla fine di Milan-Lazio, ed era rivolta a Gianni Rivera.
Si tratta di un episodio che, in parte, spiega i difficili rapporti tra il golden boy e l’arbitro siciliano. Se ne è sempre parlato poco. E’ rimasto confinato nei ricordi dei testimoni che assistettero al fatto che - se ci è consentito un giudizio personale - consideriamo grave, e sul quale, come sempre, calò il velo dell’oblio e dell’opportunistico riserbo.
Ma, adesso, armatevi di pazienza, come abbiamo fatto noi per far emergere dalla polvere il faldone che conteneva gli ‘atti del fattaccio’, e seguiteci - se volete sia chiaro - nel racconto di un capitolo di storia calcistica che, sinceramente, ci ha sorpresi parecchio.

Campionato di Calcio 1972/73 - Mercoledì 17 gennaio 1973 a San Siro si gioca Milan-Lazio. E’ il recupero del match del 17 dicembre 1972 che fu sospeso per nebbia. Per completezza narrativa aggiungiamo  che, quando l’arbitro, il sig. Gonella, mandò tutti sotto la doccia, i rossoneri conducevano per 1 a 0 grazie a un gol di Chiarugi.
Quel mercoledì la direzione della gara fu affidata al principe dei fischietti: Concetto Lo Bello. I rossoneri vincono agevolmente nonostante l’autorete di Rosato, dopo soli 9 minuti di gioco. Rimediano Chiarugi, Bigon e Benetti. Rivera sbagliò un rigore.
Insomma, quel mercoledì, per dirla alla buona, fece tutto il Milan. A fine gara, il presidente rossonero Albino Buticchi, com’era sua consuetudine, offrì un brindisi augurale, nello stanzino dell’arbitro, erano presenti anche il presidente della Lazio Lentini, e i giocatori.
Rivera alzò il calice verso quello di Lo Bello il quale fece cin cin con un tale impeto da frantumare il proprio bicchiere. Fu a quel punto che sibilò la frase, fissando cupamente Rivera: “Glielo romperei in testa questo bicchiere”.
Il giocatore rossonero, allibito, stava per replicare, ma un’occhiata perentoria  di Buticchi lo fermò. L’episodio non ebbe seguito, ma, il presidente del Milan, che avrà avuto sicuramente tanti difetti, ma da uomo di mondo capì che bisognava in futuro evitare altri incontri fra l’arbitro siciliano e il capitano rossonero.

LEI STIA ZITTO, NON DEVE PARLARE!
Milano 20 novembre 1966. In una domenica pomeriggio, decisamente fredda e con una lieve foschia, si gioca il 147° Derby della Madonnina. 75 mila spettatori, la maggior parte rossoneri perché il Milan gioca in casa. Il primo tempo si è chiuso in perfetta parità  0 a 0.
Il Milan, allenato da Silvestri, ha disputato una buona partita e sfiorato il goal in diverse occasioni. Doveva  assolutamente vincere. I due punti gli avrebbero consentito di agganciarsi al gruppo che guida la classifica con l’Inter capolista.  
Non sarà così. Una sfortunata autorete del giovane Maddè regala il derby ai nerazzurri. L’arbitro Lo Bello è stato oggetto, più volte, nel corso della partita, della riprovazione della tifoseria rossonera. Le sue performance sono state accompagnate, a più riprese, da cori veementi di “venduto, venduto”. Molte decisioni arbitrali non sono piaciute nemmeno ai giocatori milanisti.
Rivera, alla fine dei primi 45’, mentre le squadre si avviavano verso gli spogliatoi, si avvicinò a Lo Bello per avere spiegazioni. L’arbitro siciliano era un personaggio che, quando gli si forniva l’occasione di fare la faccia feroce, non se la lasciava sfuggire.
Lineamenti induriti dall’ira, indice puntato verso l’alto, come una spada pronta a calare, con ferocia, per mozzare le teste degli infedeli e, naturalmente, urla da far accapponare la pelle. “Lei stia zitto, non deve parlare”. Il Golden Boy venne investito dal Minosse infuriato e urlante. Il capitano rossonero era tirato per un braccio da Silvestri, mentre un dirigente si frapponeva tra i due. Rivera, che non è mai stato un coniglio, per nulla intimorito, replicò con altrettanta furia: “Io sono il capitano e posso parlare invece”.

Quella domenica andò in scena uno dei primi episodi della guerra Lo Bello-Rivera. La scenettao sceneggiata – ebbe tanti testimoni. Alla fine della partita avvicinato dai giornalisti, per avere più dettagli sulla quasi-rissa. Il Golden Boy rispose: “Se finisse sui giornali ciò che penso sarei squalificato a vita”. Alla fine di quel controverso derby non fu solo Rivera a lamentarsi dell’arbitro Lo Belloma anche il brasiliano Amarildo. Giocatore cui i mezzi tecnici non facevano difetto e dotato di notevole fantasia. Il “garoto” (ragazzo ) come lo avevano soprannominato in Brasile però aveva un carattere irrequieto. Il Milan lo aveva acquistato dal Botafogo nel 1963. Giocò anche con la Fiorentina e la Roma. Comunque, l’aspetto che dobbiamo evidenziare, per meglio inquadrare il personaggio, è che al termine della sua avventura in Italia saranno 32 le giornate di stop inflittegli dalla giustizia sportiva per le sue intemperanze in campo.
Tornando a quella domenica di novembre del 1966, Amarildo, a fine gara, rivelò ai giornalisti che, poco prima l’inizio della partita, Lo Bello lo aveva avvicinato e gli raccomandò di non rispondere alle provocazioni. Il fumantino calciatore lo ringraziò e promise che avrebbe seguito il consiglio. Ma, il funambolico brasiliano, disse ancora ai giornalisti: “Io non ho replicato alle provocazioni, ma invece è stato proprio lui a provocare con le sue decisioni. E’ stata la prima volta che in un derby ho sentito gli spettatori inveire con tanta veemenza e rabbia contro un arbitro  Al  nostro capitano Rivera non  è mai stato consentito di spiegare le nostre rimostranze.”

GLI ENDORSEMENT DI BRERA
Attribuire atteggiamenti ‘partigiani’ al mito del giornalismo sportivo, significa correre il rischio di passare per iconoclasti e quindi, come per  tutti i distruttori di immagini sacre, la pena non può che essere il rogo della disapprovazione unanime. A nostra discolpa possiamo solo avanzare la fede illimitata nei fatti e una certa diffidenza per i laudatores che si spellano le mani a furia di applaudire sempre. Siamo tra quelli che non hanno mai creduto al tifo di Brera per il Genoa. Il vate del giornalismo sportivo aveva un debole per i colori nerazzurri. E, se proprio la volete sapere tutta, su come la pensiamo su Lo Bello, vi diciamo, senza tanti giri di parole, che siamo arrivati alla conclusione che anche il mitico arbitro avesse un debole per gli stessi colori.
Perché diciamo questo? L’astio dell’arbitro siciliano ha un’origine precisa. Risale ai Mondiali del 1966 in Inghilterra, dove subimmo l’onta coreana che segnò una svolta drammatica per giocatori e allenatore della spedizione azzurra. Lo Bello, pubblicamente, criticò aspramente le prestazioni della nazionale di Edmondo Fabbri  e accusò Rivera di imporre la sua formazione. Disse allora che il modulo da adottare doveva essere quello dell’Inter, non certo quello che riusciva gradito al signorino Rivera.
Brera, ovviamente, condivise il pensiero lobelliano, soprattutto sulla critica feroce alla formazione imperniata sull’abatino. Il regista rossonero non fu mai trai suoi giocatori preferiti. Sia chiaro non li biasimiamo, ma visto il ruolo che ricoprivano forse un po’ di trasparenza sarebbe stata  doverosa. Sono tante le cose che ci possono indurre alla tentazione della preferenza.
Ora, per capirci meglio, qui non è in discussione il talento dei due personaggi. Brera fu veramente uno scrittore cui capitò di scrivere di calcio o, come scrisse Gianni Mura, “uno scrittore che passava per giornalista”.
Per quanto riguarda Lo Bello invece fu sicuramente il “Von Karajan dell’arbitraggio”.
Torniamo a quel derby novembrino del 1966. Brera, a fine gara, avvicinò Lo Bello, attorniato da un gruppo di giornalisti, e riportò le risposte alle varie domande. Inserì un ‘box’ nella sua corposa cronaca della partita. Gli chiese se aveva sentito quei cori di insulti.
- Insulti? E chi hanno insolentito, di grazia? Domandò Lo Bello, con aria sorniona.
Brera scrisse: “Gli avevamo chiesto se si era risentito per quel boato scandito al 30’ del secondo tempo.
- Ma non ha udito proprio niente?
- No, davvero. Non ho udito proprio niente. Là in mezzo non si sente quello che urlano attorno.”

Concluse il ‘siparietto’ rilevando che Lo Bello, insieme ai sue due partners (guardalinee) inseparabili ha lasciato, prudentemente, San Siro da un cancello “meno  caldo”.
Brera, nella tradizionale pagella, assegnò un 8 a Lo Bello. A Rivera 6.

All’indomani della morte di Lo Bello, 10 settembre 1991, Brera scrisse un commosso ‘coccodrillo’ che concluse così: “Io lo ricorderò come un amico e soprattutto come un campione. A lui tutta la nostra riconoscenza di uomini di sport, a lui il commosso augurio che fu degli antichi: sit tibi terra levis (ti sia lieve la la terra).”

L’ONOREVOLE LO BELLO
Il 7 maggio del 1972 Concetto Lo Bello venne eletto deputato, per la Democrazia Cristiana. Partito di cui sicuramente condivideva gli ideali, ma, certamente, non i modi. Comunque, il mondo del calcio si aspettava che rassegnasse le dimissioni da arbitro. Rifiutò.
Continuo - disse - perché sono un uomo libero.” 
I vertici della Federcalcio e l’Associazione Arbitri si dichiararono molto perplessi su questa decisione dell’arbitro siciliano. Ritenevano, ed onestamente era difficile non essere d’accordo, chela funzione pubblica e politica, con grande risonanza assunta da un personaggio che, nel calcio svolgeva una mansione così delicata quale quella dell’arbitro, avrebbe  potuto turbare certi equilibri e polemiche d’imprevedibile eco.”
Ma, non accadde nulla. I vertici dei due organismi si guardarono bene dall’invitare l’arbitro siciliano a deporre il fischietto. Non avevano la ‘forza politica’ per farlo. Non era la prima volta che l’organizzazione calcistica si arrendeva a Lo Bello.
Sulla vicenda il Corriere della Sera prese una posizione netta e non a favore dell’arbitro siciliano “Prima dei Mondiali in Messico - scriveva il quotidiano di via Solferino - il ‘siracusano’ (sic) sbottò in gravi e violente accuse contro i dirigenti arbitrali. Si poteva andare dal ritiro della tessera all’obbligo di una formale smentita sul giornale che quelle accuse aveva ospitato, lo imponeva il regolamento.”
La chiusura finale dell’articolo è una staffilata destinata a lasciare un segno indelebile. ”La Federcalcio tacque e si limitò a salvare le apparenze con una smentita in privato. La potente e inflessibile Federcalcio finisce sempre per genuflettersi di fronte a Don Concetto, baciargli devotamente la mano e dirgli di si.
Tra le righe viene evocata un’immagine inquietante che, qualche anno più tardi, il regista Francis Ford Coppola porterà sugli schermi di tutto il mondo con il film “Il padrino”. Gianni Brera, nel suo famoso coccodrillo, all’indomani della morte dell’arbitro siciliano, rievocando la vicenda di Lo Bello, arbitro e deputato, scrisse “Gli bastava la stima degli onesti. Un po’ magistrato e un po’ sacerdote.

LA PASQUA DELL’IRA MILANISTA
Roma 21 aprile 1973. Sabato di Pasqua. All’Olimpico
si gioca l’anticipo di campionato tra Lazio e Milan. I rossoneri sono in testa alla classifica seguiti, a due punti, dalla LazioLa Juve è terza a 4 punti.
Piove, ma gli spalti sono gremiti, quasi 90 mila spettatori per 250 milioni di lire di incasso. Nuovo record. Arbitra l’on.le Concetto Lo Bello di Siracusa.
Rossoneri in affanno. Non sono nella formazione migliore. Nereo Rocco lamenta molti infortuni e ha dovuto schierare un undici con qualche rammendo. Autogol di Schnellinger.
Decisamente la partita è in salita per gli uomini del paron. Ne è la riprova il bolide di Chinaglia, su punizione, che procura la lussazione del mignolo di Belli che ha cercato eroicamente di intercettare. Lascia per Vecchi. Il Milan continua a biascicare calcio fino a quando Rivera - con una genialata delle sue (un diagonale basso e micidiale) - accende una piccola luce in fondo al tunnel. Un gol di fino: 2 a 1. Chiama a raccolta i compagni e li esorta: “Ce la possiamo fare ragazzi!”.
Mancano 3 minuti alla fine. Zignoli, terzino, crossa al centro dell’area, il laziale Polentes sbuccia di testa il pallone che finisce sui piedi di Chiarugi, che lesto come un felino controlla il pallone con il destro e poi lascia partire un tiro che supera Pulici. Il guardalinee rimane con la bandierina alzata e Lo Bello annulla.
Succede il finimondo in campo. Cartellini gialli a profusione. Bigon espulso per somma di ammonizioni. Rivera che cerca di farsi dare udienza da Minosse. Nereo Rocco inveisce contro l’arbitro, si lascia sfuggire la parola ‘ladri’. Il guardalinee segnala a Lo Bello l’espressione del paron. Si dirige allora, con un passo da ussaro, verso la panchina rossonera. Quella che segue potrebbe essere una gag degna del miglior avanspettacolo. L’ha raccontata, più volte, il dott.Monti, medico di allora del Milan.
"Rocco uscendo si volta verso di me e comincia a gridare con un linguaggio in dialetto veneto molto colorito, che tradotto in italiano con una sintesi più edulcorata è: 'Dottore, hai visto, ci derubano!'". 
Rocco continua sbraitare e a urlare ladri, ladri all’indirizzo del segnalinee.
Giunge trafelato Lo Bello:
“Signor Nereo Rocco, c’è qualcosa che non va?”.
“No niente, onorevole Lo Bello”.
”Allora si accomodi fuori per cortesia”.

Rocco si toglie il cappello e applaude. Lo Bello s'inchina. Una straordinaria pagina di cabaret calcistico.
Fischia la fine senza concedere un secondo di recupero. E dire che  di tempo se n’era perso...
La radiocronaca di Tutto il calcio minuto per minuto fu chiusa con una frase di Sandro Ciotti passata alla storia: «Ha arbitrato Lo Bello di Siracusa, davanti a novantamila testimoni».

BUTICCHI INFURIATO
Albino Buticchi, presidente del Milan, infiamma il dopo partita.
L’onorevole Lo Bello dovrebbe stare a Montecitorio, non a dirigere partite delicate come questa. Il designatore arbitrale conosceva la situazione. Sapeva che i rapporti tra l’arbitro Lo Bello e Rivera sono, purtroppo, quelli che sono. Ferrari Aggradi (Commissario CAN Commissione Arbitri Nazionale ndr) mi aveva dato la parola d’onore che il Milan non avrebbe più avuto Lo Bello... Invece Lo Bello è venuto ed ha compiuto l’opera.”

Buticchi, probabilmente, scosso emotivamente fece dichiarazioni che sarebbe stato meglio non fare. Il designatore arbitrale mai e poi mai poteva assicurargli che non avrebbe designato Lo Bello a dirigere le partite del Milan. Infatti, smentì con forza il giorno dopo. Buticchi, sempre più agitato, ricorda l’episodio del bicchiere e disse che l’arbitro siciliano di proposito toccò troppo forte il bicchiere di Rivera.
A Fiumicino, mentre la compagine rossonera attende il volo per Milano, Nereo Rocco parla con i giornalisti e non le manda a dire.
Sia chiaro – dice il paron – stimo Lo Bello. E’ un grande arbitro è anche un grande uomo. Non a caso è diventato deputato. Tuttavia proprio per questo non doveva più arbitrare il Milan. Tra lui e Rivera c’è un’incompatibilità caratteriale, umana che sappiamo tutti. Lo sa anche il presidente Artemio Franchi. D’altronde è difficile amare Lo Bello. In campo è poco gentile, assume pose che ormai non incantano più”.
Qualche giorno dopo a Milano Gianni Rivera incontra  i giornalistiOgni volta che mi rivolgo a Lo Bello per una protesta o una spiegazione mi sento stuzzicare. A Roma, sabato scorso, mi diceva 'forza , allora mi dica che sono un disonesto, perché non me lo dice'". Alla domanda, perché secondo lei Lo Bello la stuzzica, il capitano rossonero dice: "E chi lo sa? Forse aspetta una reazione per buttarmi fuori.”
Altra domanda, come secondo lei potrebbe riconquistare la simpatia dell’arbitro Lo Bello? “E che ne so? Forse dovrei inchinarmi, stringermi nelle spalle o farmi ancora più piccolo.”
C’è anche un episodio che fu rivelato, nel corso della trasmissione Tv Sfide, nel 2007,  dal terzino laziale Luigi Martini.
Poco prima dell'inizio della partita, l'arbitro Lo Bello entrò nei nostri spogliatoi e cominciò a fissarci uno ad uno. Poi ad un certo punto esclamò: "Oggi voglio vedere il numero 10 piangere (riferito a Rivera)". E se ne ritornò nel suo spogliatoio.
Questa frase fece capire a più di un laziale che potevano andarci giù duro sul capitano rossonero, sapendo di farla franca. E così fu. Alla fine del primo tempo, con la Lazio in vantaggio 2-0, Rivera sanguinava dalle caviglie in più punti, senza che Lo Bello avesse mosso un dito.”

EROE CAPOVOLTO
“Eroe capovolto” così lo scrittore Curzio Malaparte definiva coloro che andavano  controcorrente. Quelli che non esitavano a giocarsi fortuna e vita. Univano all’audacia la rettitudine, il gusto della sfida al piacere dell’avventura. Si gettavano nella mischia, nelle situazioni più intricate pervasi da un’esaltante fascinazione per il rischio. Il ritratto a nostro modesto avviso, di Lo Bello.
Un piccolo aneddoto per capire meglio cosa intendiamo dire.
Qualche anno dopo la decisione di deporre il fischietto, un giornalista andò a intervistarlo a Siracusa. Gli chiese se ricordava l’episodio di Firenze, quando dagli spalti partì il coro ritmato “Du-ce, Du-ce”. Lo Bello, sorridendo alla Clark Gable, cui somigliava moltissimo, invitò il giornalista a seguirlo nel soggiorno. Azionò un giradischi, pose un disco sul piatto e dopo vari frusci si senti nitidamente il coro “ Du-ce , Du-ce”. Poi disse, con un sogghigno: “Non è Piazza Venezia, ma lo stadio Comunale di Firenze”.
Quel coro irridente e beffardo lui lo considerò sempre come un grande riconoscimento, una medaglia al suo carisma autoritario.
Un ‘eroe capovolto’… appunto!