qui per la parte I

Magari il calcio fosse l’oppio del popolo. E’ invece una macchina per produrre nazionalismo, xenofobia e pensiero autoritario
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(Orhan Pamuk, scrittore turco, Premio Nobel Letteratura nel 2006)

Qualcuno ha scritto che le città che si distendono su due sponde hanno un fascino particolare. Vero. Istanbul ne è la riprova. Si adagia su due continenti, l’Asia e l’Europa con lo Stretto del Bosforo che fa da suggestivo trait d’union tra Il Mar Nero e il Mar di Marmara. E’ una città al femminile. Incanta e seduce misteriosamente. E’ una femme fatale che fa perdere la testa ai suoi amanti. Conduce, con malizia, l’eterno gioco seduttivo e, con  abilità, si mostra  a volte schiva, altre disponibile. Mi viene in mente che Gustave Flaubert proprio a Istanbul concepì l’idea di Madame Bovary. 

In quella che fu prima Bisanzio e poi Costantinopoli, il 26 febbraio del 1954 è nato Recep Tayyip Erdogan. Dal 2014 è il Presidente della Repubblica di Turchia, dopo essere stato per tre mandati consecutivi anche il Primo Ministro del paese. Nasce nel quartiere di Kasimpasa nel distretto di Beyoglu che si trova, in collina, nella zona europea di Istanbul, che domina la riva sinistra del Corno d’Oro, l’estuario che divide in due la città. Beyoglu, oggi, è il quartiere più cool di Istanbul dove scorrono frenetiche  le ore della movida stambuliota e si trovano gli alberghi di lusso.
La famiglia Erdogan non è ricca. E’ originaria della provincia di Rize, località sul Mar Nero. Recep trascorre la sua infanzia nelle vie e viuzze del quartiere. Raccatta qualche spicciolo vendendo il simit , il pane al sesamo, tipico di Istanbul. Come tutti i ragazzi della sua età ha un sogno in testa: ama il calcio e vuole diventare un grande calciatore. Una passione che non lo abbandonerà mai. Erdogan è un leader politico controverso e discusso. Sta giocando un ruolo di primissimo piano come ago della bilancia nel sanguinoso conflitto tra Russia e Ucraina.
L’Occidente gli rimprovera la sua brutale azione repressiva nei confronti della minoranza curda. I leader europei hanno chiesto sanzioni a carico della Turchia e tra queste compare la richiesta di privarla di qualsiasi evento sportivo. Erdogan ha brigato per avere gli Europei di Calcio, ma si è dovuto accontentare della finale di Champions League svoltasi nella sua Istanbul.
In Turchia il calcio conta parecchio. E’ un formidabile catalizzatore sociale. Erdogan ne è consapevole. Sa che se usato bene è un potente strumento di consenso politico.
Ma, non è solo questo. La sua storia personale s’interseca con il calcio. E’ - come accennato prima - una passione dominante nella vita di questo carismatico, quanto ambiguo, leader politico.
Proviamo adesso a tracciarne un breve profilo accanto a quello del paese che guida.

LA SVOLTA LAICA DI ATATURK
Il Trattato di Losanna, nel 1923, istituì la Repubblica di Turchia così come la conosciamo oggi. Mustafa Kemal, passato alla Storia come Ataturk ( letteralmente il padre dei turchi) varò importanti e imponenti  riforme volte a cambiare radicalmente il paese. La sua fu un’opera di modernizzazione e i modelli ispiratori furono i principi e le convenzioni del mondo occidentale. La Turchia divenne membro della Nato nel 1952 e si associò al Mercato Comune Europeo nel 1963. Ma, la vera impronta modernizzatrice,Ataturk la impresse nell’assetto legislativo, ovvero nella Costituzione le cui norme furono elaborate al preciso scopo di incoraggiare il laicismo. Impresa notevole e decisamente coraggiosa in un paese dove il 96% della popolazione era musulmana. La nuova Costituzione recava  una normativa fortemente tollerante nei confronti delle altre confessioni religiose presenti in Turchia, come quella ebraica e la greco-ortodossa. Ataturk, con fermezza, impose l’abbandono di elementi dell’abbigliamento come il velo per le donne e il fez per gli uomini. L’Islam non condizionava la vita quotidiana dei turchi quanto quella delle nazioni arabe. Anche se, tra le pieghe della società turca, esisteva un movimento politico che puntava a trasformare il paese in una teocrazia come quella dell’Iran o di altre nazioni arabe. La svolta laicista, voluta e perseguita da Ataturk, impose trasformazioni radicali in altri ambiti legislativi. Ad esempio, la Giustizia. Fu abbandonato il codice islamico e adottato quello europeo. Chiusura di scuole e logge religiose. Adozione del calendario occidentale al posto di quello islamico. Con la fine della 2 Guerra Mondiale la Turchia assunse un nuovo ruolo sullo scacchiere occidentale. Durante la  guerra fredda divenne membro a tutti gli effetti dell’alleanza occidentale. Vennero installati missili e basi americane come parte della barriera difensiva che circondava le frontiere sovietiche dal Baltico al Pacifico. I governi occidentali, non solo fornirono al paese ingenti finanziamenti, ma chiusero un occhio a fronte dell’insediamento di regimi dittatoriali spesso nati a seguito di colpi di stato militari. Nel frattempo la società turca registrava l’ascesa dell’islamismo radicale  e cresceva anche il timore, da parte dei  governi occidentali, che lo stato laico, fortemente imposto e voluto da Ataturk, cominciasse a rivelarsi fragile a fronte della sfida delle nuove generazioni che contestavano la secolarizzazione dei genitori e cercavano le proprie radici nel retaggio dell’Islam ottomano.

CALCIO E POLITICA
Fra i giovani che chiedevano, con veemenza, un ritorno ai precetti dell’Islam politico si distinse il giovane liceale Recep Tayyip Erdogan. Focoso e appassionato oratore che arringava i compagni sull’inderogabile necessità di un ripristino delle tradizioni sia religiose che politiche. Passione e impegno: indizi di una nascente personalità vocata alla leadership. Contemporaneamente, Recep, dedicava al calcio la stessa passione che riversava nella politica. Ma, giusto sottolineare che, in fatto di calcio, Erdogan accredita una carriera agonistica di tutto rispetto. Già a 15 anni giocava nell’Erokspor, squadra di Kasimpasa. Un club che sin dalla sua fondazione ha sempre puntato sui giovani. Il futuro presidente della Turchia rivelò  da subito le sue qualità. Era un attaccante con un innegabile fiuto del gol. La sua carriera calcistica fu un  elemento divisivo  che scosse l’unione dei suoi genitori. Delle sue prodezze calcistiche, la madre era orgogliosissima e si premurava a lavare, stirare, tenere in ordine la divisa di gioco. Il padre, invece, avrebbe voluto che si dedicasse  agli studi con maggiore determinazione. Amava il calcio, ma non voleva deludere il padre. La figura paterna, nella tradizione islamica, è oggetto, da parte dei figli, di un profondo rispetto che rasenta  la venerazione. Riuscì quindi a frequentare i campi di calcio e le aule universitarie e si procurò un lavoro per contribuire alle spese della famiglia.
Durante questo periodo incontrò Necmettin Erbakan, un veterano politico islamista, ed Erdoğan si prodigò nel movimento guidato da Necmettin, nonostante il divieto in Turchia, di creare partiti politici a base religiosa.

FENERBAHCHE, OCCASIONE MANCATA
Nel frattempo però la carriera calcistica del giovane Erdogan proseguiva. Dall’Erokspor passò al Camtli, formazione di una divisione  dilettantistica. Le sue prestazioni suscitarono interesse da parte di società più quotate.
Nell’ottobre del 1975 la  Iett la squadra dei trasporti di Istanbul, che disputava la 3° Divisione Nazionale,  dopo un provino, superato agevolmente, gli propose un ingaggio come calciatore e un contratto di assunzione come dipendente. Sin dalle prime partite fu palese che al pallone dava del tu. Divenne l’idolo dei tifosi della squadra.
Segnò diverse reti grazie alle quali lo Iett,  nel 1978 si aggiudicò il Campionato Amatoriale di Istanbul. Ovviamente, le sue perfomance non passarono inosservate. Gli scout del Fenerbahce, antica quanto prestigiosa società calcistica turca fondata nel 1907,gli proposero un ingaggio. La squadra era allenata dal brasiliano Didi, calciatore carioca che con Pelè e Vavà formò un magico trio nella nazionale gialloverde.  Ma, stavolta, l’opposizione del padre fu durissima. Intuì che se fosse andato a giocare per una squadra quotata, come il Fenerbahce, Recep avrebbe mollato tutto. Ancora oggi, quando gli viene chiesto di raccontare un aneddoto di gioventù, legato alla sua passione calcistica, Erdogan rammenta l’occasione mancata con la titolata compagine turca. Ma, non ha mai attribuito al padre la responsabilità del sogno svanito.
Racconta, invece, che la squadra turca cambiò la guida tecnica proprio in quell’anno e il nuovo allenatore dichiarò di non essere interessato a quel giovanotto così devoto che i compagni di squadra avevano soprannominato hoca che, in turco, significa insegnante di religione.

La rinuncia al Fenerbahce fu mitigata dal successo in politica...
Nel 1994 Erdoğan fu eletto sindaco di Istanbul con il partito del Welfare. L’elezione, in Turchia, di un politico islamista agitò l’establishment laico, ma Erdoğan si dimostrò un politico competente e astuto. Nel 1998 fu condannato per incitamento all'odio religioso dopo aver recitato una poesia che paragonava le moschee alle caserme, i minareti alle baionette e i fedeli a un esercito. Condannato a 10 mesi di prigione, Erdoğan si dimise da sindaco.
Dopo aver scontato quattro mesi di pena, Erdoğan fu rilasciato dal carcere nel 1999 e rientrò in politica. Quando il Partito della Virtù fu bandito nel 2001, Erdoğan ruppe con Erbakan e contribuì a formare il Partito Giustizia e Sviluppo (Adalet ve Kalkınma Partisi; AKP). Il suo partito vinse le elezioni parlamentari nel 2002, ma a Erdoğan fu legalmente impedito di prestare servizio in parlamento o di primo ministro a causa della sua condanna del 1998. Un emendamento costituzionale del dicembre 2002, tuttavia, ha di fatto eliminato la squalifica di Erdoğan. Il 9 marzo 2003 vinse le elezioni suppletive e giorni dopo il presidente Ahmet Necdet Sezer gli chiese di formare un nuovo governo. Erdoğan entrò in carica il 14 maggio 2003.

IMAM BECKENBAUER
Imam Beckenbauer (Imam: in arabo guida morale e spirituale ndr) è il soprannome che i compagni di squadra gli affibbiarono a un certo punto della sua carriera di calciatore. Perché? Erdogan era un attaccante, Beckenbauer un difensore centrale di celebrate capacità. L’accostamento, da un punto di vista meramente calcistico, non funziona.
Allora perché? Ci è toccato scandagliare su biografie e giornali dell’epoca. Poi ci siamo imbattuti in un servizio trasmesso anni fa da una tv francese. Pare che il nickname sia dovuto al rigore religioso di Recep, di cui peraltro abbiamo già fornito qualche prova. Insomma, per farla breve, la rigida aderenza ai precetti dell’Islam, lo obbligava a non stringere mai la mano alle donne. Un atteggiamento severo, teutonico, ma, in versione islamica... Ovviamente, noi stiamo fornendo una possibile spiegazione, supportata da un servizio televisivo diffuso qualche anno fa  da un’emittente transalpina, non abbiamo la supponenza  di  dichiarare di aver  fornito la verità rivelata.

Riprendiamo il filo del discorso. Patrick Keddie è l’autore di The Passion: Football and the Story of Modern Turkey un libro che analizza l’importanza che il calcio ha assunto nel paese. Di questo, Erdogan, ne è consapevole, nei suoi discorsi ufficiali si sofferma, con un certo compiacimento, sul suo passato di calciatore. Ovviamente, non manca di menzionare la proposta di ingaggio del Fenerbahce. 
Il forte interesse per il calcio, da parte del presidente della Turchia, è ben rappresentato da un fatto che è stato rivelato da un’inchiesta del Financial Times, ma di cui abbiamo trovato riscontri presso le altre fonti da noi scrupolosamente e doviziosamente frugate. Secondo il prestigioso giornale economico britannico, Erdogan da quando è al potere avrebbe anche avuto un ruolo nella scalata in campionato del Basakşehir, un piccolo club di Istanbul nato negli anni 90, i cui dirigenti sarebbero vicini all’AKP, il partito di governo. Sembra infatti che Erdogan avrebbe contribuito alla “costruzione” di una storia calcistica di successo della squadra per rafforzare la propria base elettorale.

IL BASAKSEHIR, LA SQUADRA DEL PRESIDENTE
Procediamo con ordine. Nel 2014, Erdogan, non poteva candidarsi, per la quarta volta, a premier. Lo statuto del suo partito –AKP – su questo punto dettava una norma chiarissima: solo tre mandati. Recep cui-  - come ormai sappiamo- le ambizioni non fanno difetto, pensò bene di candidarsi a presidente della Repubblica. E’ l’anno in cui, in base agli emendamenti costituzionali del 2007, il capo dello stato veniva eletto direttamente dal popolo e non dal parlamento. Quando si dice le coincidenze. Erdogan vinse agevolmente al primo turno. Subito dopo essere entrato in carica, Erdoğan ha iniziato a chiedere una nuova costituzione.
A seguito delle elezioni parlamentari del 2015, era opinione diffusa che avrebbe cercato di espandere i poteri della presidenza. Il nuovo prestigioso incarico non attenuò la sua passione per il calcio. Anzi, pensò bene di elaborare una strategia e cominciò a pensare al calcio come una forma di soft power. Ripeteva spesso agli uomini del suo staff: “Ricordatevi che il calcio è lo strumento ideale per entrare nella testa dell’elettorato.” Chiaro il briefing, chiarissima la mission da portare a termine.
Proprio nell’anno della sua elezione a presidente, il Ministero dello  Sport, su suo mandato, acquistò, per poco più di 5 milioni di euro, il semi-sconosciuto Basaksehir, appena promosso in Superlig ( la serie A turca ndr). Nel giro di qualche stagione, grazie al sostegno economico del governo, il club è entrato nell’élite del calcio turco chiudendo al secondo posto due degli ultimi tre campionati. Risultati inimmaginabili per una squadra che solo pochi anni fa giocava sui campi spelacchiati delle leghe minori e che riuscì ad ingaggiare vecchie star del calcio europeo come Robinho, Gaël Clichy e Martin Škrtel. La dirigenza della giovane società calcistica è, naturalmente, devotissima al presidente.Il signor Erdoğan ha vestito la nostra maglia poco prima di essere eletto 12° presidente della Repubblica turca: per quell’occasione scelse il numero 12» - ha detto il , direttore esecutivo del club-  «L’abbiamo messo nella Hall of Fame, nessun altro giocatore potrà vestire quella maglia. Lui è il nostro numero 12. Ok, lui ci piace molto, e penso che lui apprezzi noi.”Ma, lo speciale rapporto  che il presidente ha con la squadra ‘governativa’ non è mai stato accettato dalle grandi del calcio nazionale turco. Gli ultras di Galatasaray, Fenerbahce e Besiktas si unirono in un fronte comune per riversarsi nelle strade di Istanbul e contraddire le direttive politiche di Erdogan.

HAKAN SUKUR, IL GRANDE OPPOSITORE
L’opposizione, al sultano della Turchia è tutta concentrata negli stadi. Quasi una nemesi per l’uomo che ha amato e ama il calcio con grande passione. Il Galatasaray e, naturalmente, i suoi tifosi stanno, da tempo, senza se e senza ma, dalla parte di Hakan Sukur, ex-centravanti dell’Inter,del Parma e del Torino. Sukur è la bandiera della compagine turca. Si è schierato con il tenace oppositore politico di Recep, il suo grande nemico,Fethullah Gulen. La vicenda di Sukur merita un approfondimento. Nel 2011, appese le scarpette al chiodo, fu eletto all’Assemblea Nazionale della Turchia. Militava nell’AKP, lo stesso partito del presidente. Nel 2013 si dimise per divergenze interne. Come molti altri suoi colleghi cominciò a lavorare come esperto di calcio per la Turkish Radio and Television Corporation. Nel 2016, venne accusato di aver insultato il presidente Erdogan su Twitter. Fu anche accusato di essere membro del movimento guidato da Gulen considerato, dal governo turco, un’organizzazione terroristica. Sukur, capita l’antifona, fuggì dalla Turchia. Si rifugiò in America, a San Francisco in California. Aprì un ristorante a Palo Alto. Ma, il locale – come dichiarò lo stesso Sukur – cominciò ad essere frequentato da persone strane. Lasciò l’attività. Lo ritroviamo nel 2020. Un quotidiano tedesco Welt am Sonntag lo intervistò. Disse di lavorare come autista Uber e di vendere libri. Aggiunse che le  sue case, attività commerciali e conti bancari in Turchia sono stati sequestrati dal governo. Le altre compagini calcistiche turche non subiscono certo il fascino di Recep.Il Fenerbahce, la squadra che menziona spesso nei suoi ricordi, è il club delle classi popolari, vicino all’esercito turco che sin dai tempi di Ataturk è la principale forza riformista del paese. Da tempo è una spina nel fianco del regime. Infine, last but not least il Besiktas.

LE AQUILE NERE  DEL BESIKTAS
E’ la squadra più antica del campionato turco. Nasce intorno al 1903, ma fu registrata nel 1910. I suoi giocatori vengono chiamati Kara Kartallarin italiano più o meno , aquile neresoprannome che deriva dallo stemma ufficiale del club. E’ considerata la squadra del popolo. Gioca le sue partite alla “Vodafone Arena”, si trova nel quartiere Beşiktaş di Istanbul che è collocato nella parte europea della città ad ovest dello stretto del Bosforo. Il punto dolente, per Erdogan, è che tra i suoi tifosi il club annovera il Carsi, un gruppo anarchico che non si occupa solo di calcio. E’ impegnato in molteplici iniziative sociali. Le tifoserie ultras, delle tre principali squadre turche, sottoscrissero una tregua quando scoppiarono le proteste per Gezi Park. Questo parco di Istanbul ha un valore enorme per la società e la politica della Turchia. Piazza Taksim, che è adiacente al parco, è probabilmente la più importante di tutto il paese: è uno dei luoghi simbolo dell’istituzione della repubblica turca, cent’anni fa, ed è da sempre il posto degli eventi politici, delle manifestazioni pubbliche, delle grandi proteste. Il 28 maggio del 2013, tra il parco di Gezi e piazza Taksim cominciarono le più importanti proteste di massa della storia turca recente contro il governo di Recep Tayyip Erdogan, che allora era primo ministro. La protesta nacque a seguito del progetto edilizio che prevedeva, al posto del parco, un centro commerciale, appartamenti di lusso e una moschea. Fu quasi una sommossa. L’aspetto che maggiormente inasprì gli animi dei manifestanti fu l’idea di costruire una moschea in un posto fortemente legato alla tradizione repubblicana e secolare della Turchia, fu percepito come un affronto dall’opposizione contraria a Erdogan.


RIFLESSIONE
Proprio in questi giorni sto leggendo I clienti di Avrenos di Georges Simenon. La casa editrice Adelphi lo ha riproposto qualche mese fa. Si svolge a Istanbul, agli inizi degli anni ’30, avvolta “da un’aura di eccitante depravazione.”
Simenon ha letto nell’anima della città  e ha mirabilmente scritto:

“Era una tipica serata sul Bosforo, con la sua atmosfera languida, il suo sfarzo e le sue miserie, i suoi profumi e il suo sentore di marcio. La poesia, come nei paesaggi di Istanbul, era in gran parte artificiosa, ma c’era anche qualche raro momento che non dipendeva dalla volontà dell’uomo.”