Ha la forma di un pollice. Grande poco più dell’Abruzzo. Vi dimorano, all’incirca, 3 milioni di persone. Ha un PIL di oltre 192 miliardi di dollari. E’ il più grande esportatore al mondo di gas liquido grazie a un enorme giacimento al largo delle sue coste. Secondo i dati del 2015, del Fondo monetario internazionale, il Qatar è il paese con il più alto pil procapite al mondo Il pollice qatariota è dunque rivolto all’insù. Lo è  sin dalla metà degli anni ’90. Periodo in cui sembrava destinato al ruolo di emirato minore tra le monarchie petrolifere del Golfo. La svolta arrivò con l’emiro Hamad Bin Khalifa al-Thani che utilizzò le ingenti risorse finanziarie, accumulate con la vendita del gas,  per avviare una radicale trasformazione dell’immagine del paese all’estero. Negli anni il nome del Qatar fu sempre più associato al lusso, all’innovazione e allo sport. La cassaforte, per la realizzazione concreta di questo ambizioso progetto, è la Qatar Investment Authority, un fondo sovrano che ha un patrimonio stimato tra i 100 e i 200 miliardi di dollari. Ha effettuato investimenti su asset di assoluto prestigio e livello. Tanto per fare qualche nome Barclays, Shell e brand come Chanel, Valentino e Porsche.  La compagnia di bandiera del paese – Qatar Airways – è uno dei vettori più rispettati del settore e, naturalmente, è sinonimo di lusso  nella nicchia dei voli business class. Doha, la capitale, ha uno skyline punteggiato di grattacieli ispirati a un’architettura d’avanguardia che non ha nulla da invidiare a quella delle grandi città occidentali, ad esempio New York e Londra. A questa dirompente strategia d’immagine  non poteva mancare il punto di forza della comunicazione. Lo strumento di awareness del Qatar si chiama al Jazeera, canale satellitare televisivo,aperto nel 1997,  all news, panarabo  che al piccolo emirato ha portato un grande ritorno d’immagine  e di soft power. Oggi al Jazeera è il marchio di riconoscimento del Qatar nel mondo. Ma, la ciliegina su questa golosa torta qatariota, arrivò con il calcio, in particolare, e con le altre discipline sportive più in generale. Appassionato di sport, al Thani, amante del calcio, ha acquistato le squadre de Paris Saint Germain e del Malaga. La compagine parigina – amatissima da Nicolas Sarkozy, acquistata dai qatarioti nel 2010, ha fatto da viatico al vero progetto del ricco emirato: i mondiali del 2022. Un’assegnazione che non ricevette un gradimento ecumenico e, per la prima volta, si parlò di sport washing ovvero quella subdola pratica, di stati e governi, che utilizzano  lo sport per ripulire la loro immagine macchiata da negazione di diritti umani e da comportamenti anti-democratici. In buona sostanza danno una’ risciacquata’  alla loro coscienza con il pallone.

SPORT WASHING
Sport washing è un termine recente, ma la pratica esiste da più di dieci anni.
Alan McDougall, insegna Storia all’università di Guelph, Ontario in Canada, studia e analizza il lavaggio tramite lo  sport.Usare lo sport per riciclare la reputazione di una nazione o per distogliere- ha detto McDougall-  l’attenzione dalle cose brutte commesse da un governo non è roba di oggi, dietro c’è una lunga storia. "Penso che sia qualcosa che non vogliamo affrontare, ma la storia ci dice che è vero." Il Qatar è stato probabilmente sottoposto al progetto di lavaggio sportivo più costoso della storia.” Una ricerca della BBC ha rilevato che il costo della Coppa del Mondo 2022 ha raggiunto i 220 miliardi di dollari prima che il torneo iniziasse a novembre, un totale oltre tre volte superiore rispetto alle precedenti otto Coppe del Mondo messe insieme. Il risultato di questa ingente spesa sono sette stadi nuovi di zecca, più uno stadio completamente rinnovato, innumerevoli hotel, un sistema di trasporto pubblico, strade e altre infrastrutture.
Per quanto riguarda i diritti umani, palesemente violati,  il ricchissimo emirato, per sbiancare la sua  coscienza, punteggiata da vistose macchie, ha dovuto fare ricorso ai detergenti più potenti. Nel paese, a forma di pollice, la situazione dei diritti umani ha suscitato e suscita fortissime preoccupazioni. C’è una dura limitazione alla libertà d’espressione che, come afferma Amnesty International, arriva fino alla repressione e criminalizzazione delle persone appartenenti alla comunità LGBTI. Secondo Human Rights Watch, membri della di questa comunità sono stati arrestati e picchiati "arbitrariamente" dalle forze di sicurezza del Qatar nel periodo precedente la Coppa del Mondo, e ci sono testimonianze  di spettatori a cui è stato negato l'ingresso negli stadi perché indossavano abiti o portavano con sé oggetti personali caratterizzati da disegni che ricordavano vagamente la bandiera arcobaleno. Ma, l’aspetto più grave è quello dei morti sul lavoro. Le autorità, nonostante i legami evidenti  tra morti premature e condizioni di lavoro insicuro e ingiuste, non hanno proceduto a nessuna indagine. Per realizzare le imponenti infrastrutture dei Mondiali 2022 è stata utilizzata una massa ingente di lavoratori migranti. La coppa FIFA 2022, esposta,stilizzata e ammirata dagli appassionati di calcio di tutto il mondo, contiene una buona dose di sangue, versato, negli ultimi dieci anni,  dalle migliaia di morti sul lavoro. Si parla di 6.500 morti, un tragico conto finale che il lussuoso e spensierato mondo creato nell’emirato ha ritenuto opportuno non pagare. Le critiche, all’indirizzo della FIFA, sono state numerose. Il governo del calcio mondiale avrebbe dovuto indurre il Qatar a procedere a un profondo cambiamento nel suo modo di governare. L’azione di governo dell’emirato  stride fortemente con le fragranze di Chanel, gli abiti da sogno di Valentino e le prodezze di Neymar e Messi. Gli ambienti liberali del mondo occidentale hanno accusato il Qatar di aver utilizzato, deliberatemene, un grande evento sportivo internazionale per coprire la negazione dei diritti e le medievali condizioni di lavoro. Ma, rispetto agli sport washing del passato, il piano qatariota è proiettato nel futuro.
La Coppa del Mondo non è uno strumento rudimentale progettato per rafforzare un regime ambiguo: è solo una parte di un obiettivo a lungo termine volto a migliorare la reputazione e le ambizioni di un piccolo stato ricco di petrolio.. “I primi esempi di lavaggio dello sport si sono verificati durante  regimi autoritari che usarono gli eventi sportivi  come foglia di fico per coprire una brutta dittatura - l'Italia fascista , la Germania nazista, la dittatura militare argentina"- ha spiegato  McDougall-  riferendosi alla Coppa del Mondo del 1934 vinta dall’Italia durante il fascismo,  alle Olimpiadi di Berlino,” del 1936 e ai Mondiali  del 1978 dei generali argentini.

LA POLITICA ESTERA
Se dovessimo trovare un parametro di riferimento storico, per spiegare la politica estera del ricchissimo emirato, ci affideremmo al motto del re spagnolo Ferdinando VI:”pace con tutti, guerra con nessuno”. Una regola semplice che portò la Spagna a un periodo di prosperità economica e tutti i conflitti, in cui era coinvolta, furono risolti attraverso amichevoli accordi. Certo, tra  la Spagna di Ferdinando VI e il Qatar Hamad bin Khalif Al-Thani c’è una differenza abissale, non solo temporale, ma anche geopolitica. Ad ogni buon conto, con questa politica estera, ispirata al compromesso, agli accordi sottobanco, il Qatar si è ritagliato uno spazio che lo ha portato ad occupare una posizione di rilievo nel nuovo ordine geopolitico globale. Comunque, allo scopo di capirci bene, ma proprio bene, noi italiani, che veniamo da secoli di dominazioni, qualificheremmo la politica estera qatariota con il vecchio – ma sempre valido motto – del colpo al cerchio e uno alla botte.
E vi spieghiamo anche perché. Il Qatar ospita il Combined Air Operations Center, la più importante base aerea americana nel Medio Oriente. Le relazioni con gli USA sono eccellenti,non solo, ma l’emirato, con il suo esercito, ha sempre preso parte alle più importanti operazioni militari della NATO. Nell’area di al –Udeid, si trova la più lunga pista di cui l’esercito USA possa usufruire in Medio Oriente,. Doha ha inoltre concesso agli Stati Uniti il permesso di utilizzare le proprie infrastrutture militari come basi logistiche per la guerra in Iraq del 2003.Ora è facile intuire che l’esercito di questo ricco stato non è granché. Ne fanno parte prevalentemente stranieri. La sua difesa è garantita da, in primis, Stati Uniti, Regno Unito e Francia. L’emirato – ed ecco il colpo alla botte –paga gli stipendi dei dirigenti di Hamas. Circa 30 milioni di dollari al mese. Non solo, gli uffici di Hamas sono ospitati in una  confortevole  sede a Doha. Da qui il capo di Hamas Ismail Haniyeh ha esultato, guardando in Tv, le immagini dei missili lanciati su Israele. L’emirato del Golfo, come forse avrete appreso dalle cronache di questi giorni, fedele al suo ruolo di ago della bilancia,  che regola, da sempre,  la  sua politica estera si è attivato per aprire un canale di trattative tra Israele e Hamas per la liberazione degli ostaggi israeliani catturati nel blitz del 7 ottobre scorso.  
Che cosa ha in comune con Hamas il ricco e lussuoso emirato? Semplice: le radici ideologiche integraliste dei Fratelli Musulmani. Doha ha versato miliardi di dollari nelle casse dei gruppi politici rivoluzionari vicini alla Fratellanza musulmana in Tunisia e in Egitto ponendosi come grande sostenitore dei Fratelli musulmani in tutto il mondo arabo. Durante il periodo di svolgimento dei Mondiali, i leader di Hamas decisero di non restare a Doha, ma di trasferirsi in Algeria e in Turchia, paesi con i quali Haniyel intrattiene rapporti più che amichevoli. La decisione di andare altrove fu presa  per motivi di sicurezza. Il Qatar, ovviamente, in occasione dei Mondiali, ha dovuto aprire le porte a tutti i paesi del mondo, israeliani compresi e il timore di Haniyeh e compagni era la possibile presenza delle intelligence degli altri paesi che avrebbero potuto agire contro di loro. Un’organizzazione come il Mossad israeliano se avesse potuto mettere le mani sui leader di Hamas non avrebbe esitato un solo attimo.

PSG, IL SOFT POWER
Joseph Samuel Nye, decano della John F.Kennedy School of Government, della Harvard University, è il professore americano, d’ispirazione liberale, cui si deve la creazione, nel 1990,. dell’espressione soft power. E’ un’espressione in cui c’imbattiamo spesso, leggendo i giornali, guardando la Tv, soprattutto in questi ultimi anni che vedono molti stati sprofondare nel crepaccio della Storia. Il concetto si è parecchio affermato nella teoria delle relazioni internazionali e nella pratica del linguaggio politico quotidiano.  Che cos’è in buona sostanza questo soft power? In italiano diventa difficile tradurlo, o, meglio, tradotto significa potere morbido. Non rende l’idea.
Proviamo a capire meglio. Il soft power è la capacità di influenzare gli altri per ottenere, attraverso l’attrazione, piuttosto che con la coercizione o il pagamento, i risultati desiderati L’attuale lotta contro il terrorismo transnazionale è una lotta per conquistare cuore e menti e l’attuale eccessivo affidamento solo sull’hard power non è strada verso il successo.
In buone parole, la potenza di un soggetto internazionale – uno stato – non è fatta solo di risorse economiche o militari, ma anche di elementi immateriali, come ad esempio la cultura, gli ideali che da essa scaturiscono e, naturalmente, anche dallo sport e, in particolare, del vecchio, amatissimo foot ball. Il soft power cui ha fatto ricorso Doha si chiama Paris Saint Germain e, con questo biglietto da visita, si è presentato ai governi di tutto il mondo. La squadra per cui spasima Sarkozy è stata acquistata dal Qatar Investment Authority, fondo sovrano cui abbiamo accennato prima, attraverso il suo braccio operativo nel mondo dello sport il Qatar Sport Investments. Lo ha pagato 100 milioni di dollari, sull’unghia come diciamo dalle nostre parti. Al vertice della squadra parigina fu insediato, nel maggio del 2011, Nasser al –Khelafi. Un tipo che ha capito subito come funziona la strategia vincente nel mondo del calcio. Ha comprato il meglio, di tanto e anche di più, in fatto di assi del pallone. Hanno calcato le scene – pardon il prato – del Parc des Princes, calciatori come Pastore, Beckham, Lavezzi , Verratti, Thiago Silva, Ibrahimovic, Di Maria, Neymar e Messi. Quasi 2 miliardi! Acquisti che hanno catapultato il PSG ai vertici del calcio europeo. Una frenetica attività di calciomercato che ha cambiato – e non in meglio – il sistema calcio. La strategia della società francese è stata – per dirla con un elegante  termine anglosassone – disruptive ovvero dirompente, ma forse è meglio tradurre con devastante. I  quatarioti, insediati sotto la Tour Eiffel, hanno rivoluzionato un modello di business preesistente, hanno spostato, e di parecchio, i paletti che delimitavano l’arena competitiva e hanno stravolto il modo in cui i consumatori erano abituati a utilizzare prodotti e servizi.

QNV 2030, UN HUB GLOBALE PER LO SPORT
Come abbiamo accennato prima, parlando degli studi del prof. McDougall- le  strategie dello sport washing praticate oggi dagli stati sono diverse rispetto a quelle adottate dai regimi autoritari del passato. “Oggi ci sono queste ricche monarchiespiega ancora McDougall -che usano lo sport in modo molto strategico e molto astuto, direi, per costruire davvero il marchio di una nazione.”Il Qatar National Vision 2030 è un piano di sviluppo, lanciato nel 2008, dal Segretariato Generale per lo Sviluppo nello Stato del Qatar. L’obiettivo è quello di trasformare l’emirato del Golfo in una società avanzata in grado di raggiungere uno sviluppo sostenibile entro il 2030. Scorrendo le pagine di questo ambiziosissimo piano, scritto in un inglese raffinato, colpisce il programma volto alla costruzione di un’economia diversificata che riduca gradualmente la dipendenza dagli idrocarburi e si punta a investire su un’economia basata sulla conoscenza e contemporaneamente a rafforzare il ruolo del settore privato. Ovviamente, ca va sans dire, il QNV 2030 riserva allo sport un posto d’eccellenza. La lettura di questo libro dei sogni sebbene, come detto prima, scritto in un inglese up-to-date, non manca di richiami letterari di conio mediorientale. Frequente, ad esempio, il ricorso alla metafora aulica. Ve ne forniamo uno stralcio eloquente: “Il Qatar è appassionato di sport. Come ogni atleta di successo, siamo determinati a migliorare noi stessi, a superare i nostri limiti e ad abbattere le barriere. Per dare consistenza a questo proposito è stata indetta la Giornata Nazionale dello Sport : Si svolge il secondo martedì di ogni febbraio. La prima si è svolta nel 2012.” La giornata dello sport riflette di anno in anno – ha commentato Salah bin Ghanem Al Ali, Ministro della Cultura e dello Sport- l’impegno del popolo del Qatar, grazie ai risultati ottenuti dallo Stato che gli hanno conferito una posizione privilegiata sulla mappa dello sport nel mondo. Il Qatar ha una solida esperienza nell’ospitare eventi sportivi internazionali, nello sviluppo di talenti sportivi e negli investimenti in strutture di formazione di livello mondiale. L’ambizione è diventare un leader globale nello sport e unire il mondo attraverso lo sviluppo sportivo sostenibile, sulla scorta dei  risultati raggiunti fino ad oggi. Un hub globale per lo sport Il Qatar ha ospitato più di 500 eventi sportivi internazionali negli ultimi 15 anni, di tutti gli sport e di tutte le fasce d’età.I tornei internazionali annuali che si tengono in Qatar includono l'ExxonMobil Qatar Open (tennis), il Commercial Bank Qatar Masters (golf) e il Campionato MotoGP Superbike. Il Paese intero è incredibilmente orgoglioso per essere stato scelto come sede della Coppa del Mondo 2022 di calcio,  la prima nel mondo arabo, che ha cambiato le percezioni e ha stimolato lo sviluppo dell’intera regione. Il Qatar ha vinto anche la candidatura ai Giochi Asiatici di Doha 2030..Questo evento è diventato una priorità nazionale. Gode del pieno sostegno dell’Emiro dello Stato. Il Comitato, nella presentazione della candidatura, ha attinto alla vasta esperienza di hosting di eventi sportivi di Doha e ha sfruttato la sua ricchezza di sedi e infrastrutture all’avanguardia per sviluppare questo piano leader a livello mondiale. Con tutti gli impianti sportivi permanenti esistenti o già pianificati, Doha 2030 può concentrarsi sulla realizzazione di Giochi che portino benefici a tutta l’Asia prima e dopo il 2030.

QATAR SPORTS INVESTMENTS
Si chiama così l’arma strategica – in termini finanziari, ovviamente – con la quale il ricco emirato domina, in lungo e in largo, il mondo dello sport. QSI è un fondo azionario chiuso fondato nel 2005. Ha sede a Doha. E’ una filiale della Qatar Investment Authority. La proprietà appartiene al Ministero delle Finanze e al Comitato Olimpico. I ricavi, provenienti dalle iniziative del fondo, vengono reinvestiti nei settori dello sport, del tempo libero e dell’intrattenimento. Alla guida ci sono Nasser Al-Khelaifi, presidente, che, ricordiamo, è anche il deux ex machina del Paris Saint Germain  e Adel Mohammed Tayyeb Mustafawi, vicepresidente. Khelaifi è anche presidente di beIN Media Group ( network Tv del Qatar). E’ un ex –giocatore professionista di tennis pertanto ricopre anche la carica di presidente del Qatar Tennis Federation. Il Portafoglio QSi è diventato sempre più coinvolto nello sport internazionale e nel settore dell'intrattenimento, soprattutto come attore chiave nel mercato sportivo francese con l'acquisizione completata del Paris Saint-Germain e delle sue affiliate nel 2011. Il portafoglio di QSi comprende anche Burda, un marchio sportivo del Qatar e fornitore di abbigliamento sportivo e per il tempo libero specializzato nello sviluppo e nella personalizzazione di azioni fondato nel 2007, e NextStep Marketing, una società specializzata nella rappresentanza dei clienti, nel merchandising diretto. Nel 2022 ha acquisito il 21, 5% delle azioni della SC Braga, terza società calcistica della massima divisione portoghese. Nel gennaio del 2023 il QSI aveva chiesto informazioni per il preacquisto del West Ham United. Nel 2023, Qatar Sports Investments ha acquisito il World Padel Tour per creare un nuovo circuito globale a partire dal 2024.
A questo punto è giusto sottolineare come la testa d’ariete con la quale il Qatar si è accreditato presso le cancellerie del mondo occidentale, non vi è alcun dubbio è stata l’acquisizione del Paris Saint Germain. Quando il QSI lo ha rilevato è stata subito sollevata la questione della strategia d’intervento dei nuovi proprietari. Insomma,. avrebbero scelto di costruire gradualmente una squadra intorno a un progetto oppure avrebbero optato per un ricorso smodato e immediato alle ingenti risorse economiche di cui disponevano? Hanno scelto la seconda opzione, ovvero  hanno scelto la logica di una politica di marca e puntato sul ‘feticismo’ del nome. Tanto per capirci facciamo riferimento a un episodio concreto. Quando arrivò Beckham il  presidente del PSG Nasser Al-Khelaifi dichiarò a L'Equipe: "Beckham è un marchio".
La stampa francese, che è poco indulgente, commentò: “certo, è anche un ottimo giocatore, ma anche se ammettiamo che a trentasei anni, diciotto mesi dopo le sue ultime presenze con il Milan, ha ancora un rendimento degno di una squadra ai vertici della Ligue 1, le sue prestazioni in campo non potranno mai giustificare uno stipendio che raddoppia il precedente record nazionale. Beckham, fu ingaggiato solo per scopi di marketing: un  investimento d'immagine il cui futuro ritorno sportivo ed economico era secondario. Il suo arrivo a Parigi fu prima di tutto un modo per fare scalpore organizzando lo spettacolo intorno alla stella e per dire che il PSG sta assumendo un'altra dimensione.
Sono strategie che rischiano di trasformare il PSG in una sorta di Barnum in un paese che ha poca indulgenza con i potenti quando falliscono.

(SEGUE)