(qui per la parte I)

Una vocazione può essere rimandata, elusa, a tratti perduta di vista. Oppure può possederci totalmente. Non importa: alla fine verrà fuori. Il daimon non ci abbandona
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(Da Il codice dell’anima di James Hillman)

Solo l’universo narrativo e la capacità di descrizione di Cesare Zavattini saprebbero rendere vivide, sulla pagina, le atmosfere di questo dedalo di viuzze e di negozietti del centro storico di Castellammare di Stabia, che sembrano congelati nel tempo, dove si trova l’oratorio di San Giovanni Bosco Fino a qualche anno fa si diceva, tra i vicoli e le abitazioni con i panni stesi ad asciugare, che i “santi protettori” dell’Istituto fossero Insigne e Hamsik. Il centrocampista slovacco, nelle narrazioni che si rincorrono tra i vicoli, come nelle novelle incantate di Isac Singer, è ricordato con il soprannome di Marekiaro. Tra questi antichi palazzi e nel labirinto di questi vicoli, dove è nato Raffaele Viviani, mostro sacro del teatro napoletano, c’è un altro personaggio che sicuramente sarebbe finito dentro l’antologia creativa e sognante di Zavattini. Magari, in coppia con De Sica, ne avrebbero fatto un suggestivo film, d’impronta neorealista, dal titolo “a suora”, come la chiamano affettuosamente da queste parti.
A questo punto, però, prima di fare la conoscenza con “a’suora’ De Sica avrebbe puntato l’obiettivo sul luogo. Ci farebbe immergere nell’atmosfera di questo luogo che una imperscrutabile magia ha fermato nel tempo.
Campo lungo all’inizio… poi veloci zoommate sui palazzi, che recano ancora gli sfregi del terremoto del 1980 e obiettivo fermo su alcuni cartelli che in dicano la direzione del posto dove si trova l’oratorio. Uno dice “andiamo a pariare” (andiamo a divertirci) e poi un lunghissimo piano sequenza su uno spazio rettangolare in terra battuta, miracolosamente ricavato tra i palazzi del centro storico. Un campo di calcio. Adesso, decisamente.
La camera zoomma sul centro del campo e inquadra una cinquantina di ragazzi che si allenano.
Poi c’è lei, con il suo saio marrone, che avvolge il suo metro e mezzo di altezza. E’ la mister, suor Lucia Benedetta.

CHEST’E’ A SUORA
Suor Lucia Benedetta Rabbito è una siciliana di Ispica, suggestivo paese siciliano in provincia di Ragusa. E’ un posto amato dal cinema di ieri e di oggi.  Pietro Germi  scelse Ispica per girare Divorzio all’italiana nel 1960. Poi De Sica che vi girò alcune scene de Il Viaggio, interpreti Sophia Loren e Richard Burton nel 1974. Dieci anni più tardi furono i fratelli Taviani a scegliere il paese come location di Kaos. Diverse le serie televisive tra le quali primeggia Il Commissario Montalbano. Suor Lucia, dunque, porta con sé, nella sua missione, il ricordo di un luogo fortemente evocativo. Arrivò a Castellammare cinque anni fa. Quando la videro scendere in campo non mancarono risatine e commenti sopra le righe. Poi catturò un pallone e cominciò a palleggiare. Smisero di ridacchiare. Finì la perfomance e ordinò quali esercizi effettuare nella seduta di allenamento. Esercizi ma anche lezioni di tattica. “ a’ suora” sapeva il fatto suo. Se ne accorsero anche gli avversari della sua squadretta. Quando la vedevano scendere dal pulmino che guida lei stessa cominciavano a sghignazzare. A fine partita, quando andavano  in rete 6 o 7 volte, i suoi giocatori con un certo sussiego dicevano agli avversari, che avevano smesso di sghignazzare, «Chest’è a suora…»Suor Lucia, già sin da piccola, non amava dilettarsi con le bambole, come le sue coetanee. Preferiva andare in piazza a tirare calci a un pallone con i ‘maschiacci’ del paese.
Poi la ‘scelta’: accadde in un campo in Albania dove era andata come volontaria. Venne in contatto con la Congregazione delle Alcantarine nate 150 anni fa nel centro di storico di Castellammare. E qui cominciò la sua opera. Un quartiere afflitto da usura, prostituzione,analfabetismo. I ragazzi crescono per strada e corrono rischi serissimi. In un contesto sociale, così lacerato, non era sufficiente fare la tradizionale azione educativa e il solito catechismo.
Occorreva qualcosa di diverso. Facciamo interventi prima di tutto di amicizia: c’è il doposcuola e poi gli allenamenti, tre volte a settimana», dice Lucia. Sono oltre 200 i ragazzi, dai 6 ai 18 anni, che tre volte a settimana si alternano nei turni per fasce di età. «Durante l’anno cerchiamo anche di fare laboratori, con i presepi nel periodo natalizio». I ragazzi di Lucia hanno imparato ad aiutarsi a vicenda. Tra di loro si chiamano fratemu. Come dice Lucia “sanno fare squadra”.

L’ALZATA DI PELE’
“Se domani sai fare l’alzata di Pelè, il tunnel e segni puoi giocare con noi.”
Annika, 13 anni,
smilza ragazzina, dal visetto vispo e intelligente, guardò perplessa il fratello che gli aveva posto le condizioni per giocare al calcio con i ragazzi. Gli voltò le spalle e se ne andò senza dire una parola. Mentre furiosa si allontanava dal campetto della Parrocchia di Sant’Agostino di Vicenza, cominciò a rimuginare le parole del fratello. “Ma, cosa sarà mai sta alzata de Pelè ciò…xe na roba gho nomai sentio….ghe domando al papà.”
Papà, naturalmente, spiegò ogni cosa alla sua piccola che poi trascorse l’intero pomeriggio ad allenarsi. Ritornò qualche giorno dopo al campetto. Mossa di Pelè, doppio passo, tunnel e goal. Era fatta e aveva strabiliato i maschietti. Cominciò così la passione per il calcio di Annika Fabbian. Oggi ha 34 anni, insegna Storia dell’Arte, ma soprattutto è una Suora delle Maestre di Santa Dorotea Figlie dei Sacri Cuori e , soprattutto ancora, attaccante, anzi bomber del Sister Football Team, la nazionale delle suore. Quando racconta degli esordi calcistici dice che ha segnato tanti goal, ma ne ricorda uno in particolare di tacco a mezz’aria. Poi aggiunge: “Ti viene una volta ogni morte di Papa… si porta la mano alla bocca e imbarazzata dice: Ops!”

DAL TUTU’ AGLI SCARPINI
Già a 4 anni, Annika, faceva danza classica. Lo ha fatto per 13 anni. Poi, improvvisamente, l’amore per il rude calcio, sudore e qualche volta sangue. Certo, aver fatto danza le lasciò in eredità regole e disciplina, che, diciamocela tutta, nel calcio servono. Giocò  nel Vicenza femminile. Dopo un infortunio passò al calcio a 5 e qui trovò la giusta dimensione. Occorrono, comunque, tecnica, precisione, tattica e gioco di squadra. Giocò nel Marano e dopo nella Thienese che gioca in Serie A.
Poi la grande scelta. Come accadde? Cominciò a pensarci intorno ai 18 anni. Si faceva grandi domande, le risposte non erano facili. Mise in stand by la faccenda. Nel frattempo si laureò in Belle Arti, indirizzo restauro. Trovò lavoro a Padova e poi a Verona. Intanto, diceva sempre a se stessa ‘devi mettere in ordine alcune cose’.
Una suora, un giorno, la invitò a partecipare a degli incontri alla Casa del Sacro Cuore. Entrò in convento nell’ottobre del 2012 e divenne suora nel 2017. Annika fu la prima religiosa ad essere contattata da mister Moreno Buccianti. Le capacità della giovane vicentina gli erano note. Ad Annika non mancò il sostegno delle madri superiori: «È sicuramente un’importante occasione evangelizzatrice, se fatta nel modo giusto è una cosa bella» Annika sa aspettare, abituata alla disciplina rispetta tempi, indicazioni e silenzi richiesti. Sostiene che «Il calcio è un gioco di squadra, non ci si può divertire da soli! E se è vissuto così, può davvero far bene anche alla testa e al cuore in una società che esaspera il il soggettivismo, cioè la centralità del proprio io, quasi come un principio assoluto. Annika è una sfegatata tifosa dell’Inter, ma il cuore batteva anche per Paolo Rossi di cui conserva come una reliquia una maglia autografata. Di Pablito ha sempre detto che era una grande giocatore e un grande uomo. Se lo si saprà raccontare potrà essere un grande esempio per le future generazioni.

LA VERA BELLEZZA
E’ il grande obiettivo di Annika. Riuscire a portare le persone alla vera bellezza, quella vera, quella di Dio, attraverso l’arte. Ha un grande feeling con i suoi studenti che appena appreso della passione calcistica della loro giovane docente di Storia dell’Arte si sono entusiasmati. Naturalmente, nelle ore di ricreazione, si organizzano grandi partite. Annika è la traduzione in svedese di Anna. La mamma seguiva la serie Tv Pippi Calzelunghe, la bambina prodigio e Annika era l’amica del cuore. E a sentimenti, cotte e tutti gli annessi e connessi di una certa età? Con l’adolescenza, arriva il fidanzatino. Ma dentro di sé  sentì  che non era il meglio per lei Ma, per una ragazza giovane, dinamica com’è la vita da suora, non impone limitazioni, rinunce? Diciamo che la vita di Annika non pare angusta, chiusa al mondo. Suora, assistente del Centro sportivo italiano di Vicenza, membro della Commissione per i beni culturali della diocesi, insegnante, calciatrice. Tante attività, tanti ruoli. Tanti ruoli con un unico obiettivo. Evangelizzare. La vita della suora, sostiene, non è complicata, difficile. Non lo è più di quella di una brava moglie o madre. L’entrata in convento non le ha impedito di occuparsi di Storia dell’Arte, di giocare a calcio. Lei dice che il Signore le ha offerto l’opportunità di mettere a disposizione i suoi talenti.

LA REGISTA DEL SISTER TEAM
E’ una sarda di Assermini (Cagliari): Suor Silvia Carboni è la sola, tra le sue consorelle, a non svolgere attività didattica. Lavora in una casa-famiglia dei padri Somaschi. Ovviamente è tifosissima del Cagliari. Il calcio è la sua passione da sempre, non condivisa dai genitori che preferivano la ragazza facesse tennis. Ma, Silvia, per tutta l’estate andava, di nascosto, a giocare con i maschietti. Ha organizzato il primo torneo universitario di calcio a 11 con il Cus Cagliari. E’ la regista della Nazionale delle suore. Attraverso il calcio realizza progetti di solidarietà come quello di qualche anno fa. Ha portato 40 seminaristi di tutta la Sardegna a disputare un torneo nel carcere minorile di Cagliari. Il calcio, secondo, Suor Silvia ha avuto un grande potere di inclusione con i giovani detenuti. Spera che il numero delle suore-calciatori cresca ancor di più. Le madri superiori, dei vari conventi e istituti, , hanno compreso che queste giovani suore non trascurano la missione cui sono state chiamate a compiere, continuano a farlo in maniera diversa. Il fatto di indossare pantaloncini e  maglietta non significa rinnegare sé stesse. La loro  consacrazione non si annulla se usano il calcio come mezzo per dialogare con il mondo e abbattere i pregiudizi che spesso lo limitano.

MUNDIAL DI SUORE
Questa evangelizzazione, che usa come mezzo il calcio, è in perfetta aderenza allo spirito calciofilo del  Santo Padre che non ha esitato a indirizzare una lettera a Buccianti dove si dichiarava d’accordo con e attività solidali svolte attraverso la  Selecao dei Sacerdoti. La lettera, per Mister Buccianti, è il viatico per continuare con la Nazionale italiana Suore. Un modo per continuare a portare sostegno morale ed economico dove occorre. Ha ricevuto anche un encomio dal presidente del Coni Giovanni Malagò e dal presidente della FIGC Gravina. Il grande progetto nel cassetto di Buccianti è il Mondiale in Vaticano per sole nazionali di suore. I raduni della nazionale sono attesi intanto alla So.Spe di Suor Paola e a Genova con l’aiuto di don Roberto Fischer, ex dj, direttore diocesano e presidente della Web radio “ Fra le Note”. Don Roberto conosce i protagonisti del grande calcio e potrebbe dare un sostegno importante per far crescere la Nazionale delle suore.


RIFLESSIONI
Diversi anni fa, andavo ancora all’Università, andai a Kusnacht, in Svizzera, vicino Zurigo. Comprendo le perplessità di quanti si siano avventurati nella lettura di questo post – peggio per loro– i quali si chiederanno  ma che cosa c’è di straordinario in questo villaggio che evoca cioccolato e orologi a cucù? Niente in realtà, E’ una linda cittadina svizzera, ordinata, pulita e in più si parla tedesco. C’è la casa di Carl Gustav Jung, ovvero un gigante del pensiero psicoanalitico. Ero curioso di vedere la famosa iscrizione che lui aveva fatto incidere sopra la porta di ingresso e di cui avevo letto in più di un libro.
Qualche giorno fa, in un’intervista, ne ha parlato anche il regista Pupi Avati. Tra l’altro, allora ero attratto dalla psicanalisi, ci pensavo molto, ma non combinai nulla. Meglio così. Ad ogni modo l’iscrizione è Vocatus atque invocatus deus aderit e tradotto significa chiamato o non chiamato il Dio sarà presente. Viene dall’oracolo di Delfi. Fu la risposta che ebbero gli spartani quando interpellarono l’oracolo prima di dichiarare guerra ad Atene. La risposta fu appunto chiamato o non chiamato il Dio sarà presente. Jung sosteneva che la frase volesse anche esprimere il senso di precarietà, la sensazione di trovarsi sempre immersi in possibilità che trascendono la volontà.

Ora, sicuramente, vi chiederete cosa c’entra tutto questo panegirico con la storia delle suore che giocano al calcio. C’entra perché chiama in causa il daimon che vive in ciascuno di noi. Il daimon è qualcosa che può definirsi vocazione – ed è il caso delle sister football team – ma anche carattere, immagine, anima, destino. Insomma, c’è qualcosa in ciascuno di noi che ci porta ad essere in un certo modo, a compiere certe scelte, ad intraprendere certe direzioni. Se questo qualcosa esiste è appunto il daimon ed è quello che ci aiuta a leggere il ‘codice dell’anima’ ovvero quel linguaggio cifrato che non sappiamo decrittare, ma che ci spinge ad agire.
Come hanno fatto le suore raccontate nel post.