Donne, Vita e Libertà

A Sarah Khodayari e Mahsa Amini
Il verso di un poeta persiano – Khavarani – del 12°secolo è l’incipit giusto per rievocare una vicenda che provocò sgomentò nel mondo sportivo e in quello dove la libertà è - per fortuna- un valore inalienabile. Attendi il mattino in cui la tua fortuna sorgerà, perché sarà l’unico dono dell’alba”.
Sahar Khodayari
non avrà più modo di attendere un mattino in cui la sua fortuna sorgerà e, soprattutto, non avrà più doni. Ma, forse, sbaglio. Un dono lo ha avuto. Il ricordo commosso del mondo libero per il suo sacrificio che ha gettato una luce sinistra sulla teocrazia iraniana. Una tirannia misogina che ci riporta al Medioevo più oscuro. Quando la teologia divenne la scienza suprema e l’Inquisizione perseguiva i peccatori che non osservavano i precetti.
Sahar Khodayari aveva 29 anni. La sua passione era il calcio. Tifava per l’Esteghlal i cui giocatori indossano una maglia blu. Sahar portava abiti dello stesso colore. L’avevano soprannominata blu girl.
Il 12 marzo 2019 era andata allo Stadio. Ma i mullah, (studiosi di teologia) severi guardiani della morale e della virtù, proibivano alle donne di andare allo stadio. Ma, Sahar non dava retta alle regole imposte, sin dal 1979, dall’arcigno Khomeini, raccolte nel Libro Azzurro, il cui titolo è I comandamenti dell’ayatollah Khomeini.
Quel giorno, nell’immenso stadio Azadi di Teheran l’Esteglal – allenato da Andrea Stramaccioni – affrontava l’Al Ain in una partita della Champions League asiatica. Sahar non stava nella pelle. Voleva vedere quella partita a tutti i costi. Era riuscita a procurarsi un biglietto, ma come aggirare l’assurdo divieto? Pensa e ripensa, alla fine, guidata dall’allegra spensieratezza, sprezzante dei pericoli, che è tipica della gioventù escogitò il trucco.
Mi travestirò da uomo", disse con una luce di trionfo negli occhi. Si procurò una parrucca, ovviamente di colore blu, e indossò un lungo cappotto. Poi, però, commise una leggerezza: un selfieche spedì alla sorella, con tanto di emoticon e un cuore blu. Ovviamente, la cosa non sfuggì al Grande Fratello islamico.
Fu arrestata, tradotta in un carcere femminile dove trascorse due giorni. Fu rilasciata su cauzione. Al termine del processo subì una condanna a sei mesi di prigione. La giovane trovò inammissibile che si dovesse finire dietro le sbarre per aver assistito a una partita di calcio.
Una volta uscita dal Tribunale, si cosparse il corpo di un liquido infiammabile, che aveva tenuto nascosto nella borsetta, e si diede fuoco. Le ustioni di terzo grado erano gravissime. Morì, in ospedale, dopo nove giorni di indicibili sofferenze.
Era l’8 settembre del 2019. Sahar immolò la sua giovane vita in nome di un sogno: assistere a una partita di calcio dagli spalti di uno stadio. Uno stadio che si chiama Azadi che in persiano significa libertà.

DONNE, VITA, LIBERTA’
In Iran il calcio ha un seguito femminile vastissimo. E’ una peculiarità iraniana. Una passione profonda che ha dato vita a un vero e proprio movimento che si batte non solo per la libertà di andare allo stadio, ma per reclamare una presenza maggiore all’interno della società. Le donne hanno un tasso di alfabetizzazione che supera il 90% e costituiscono il 65 % degli studenti universitari.
La vicenda tragica di Sahar riflette la più ampia situazione delle donne nel paese. Il 14 settembre 2022 una ragazza di 22 anni, Mahsa Amini, venne arrestata a Teheran dalla cosiddetta polizia morale perché non indossava il velo in maniera corretta. Portata in caserma, duramente picchiata, fino alla perdita di coscienza, dopo due giorni di coma morì.
La giovane Mahsa, come abbiamo appreso dalle cronache, che qualche mese fa hanno ricordato l’anniversario della sua  morte, è diventata il simbolo di questa rivoluzione al femminile. Le proteste sono cominciate proprio durante i suoi funerali. Le ragazze nei cortei gridano Donne, Vita, Libertà, bruciano i loro hijab (il velo islamico ndr) e con le forbici si tagliano le ciocche dei capelli.

Sayar e Masha erano due giovani donne coraggiose che fanno pensare alla forza morale dei personaggi femminili che Charlotte Bronte ha descritto nel suo romanzo Jane Eyre. C’è un passaggio bellissimo che inneggia alla libertà, che ci piace rammentare: “Non sono un uccello; e non c’è rete che possa intrappolarmi: sono una creatura umana libera, con una libera volontà".
Il coraggio delle donne ha contagiato anche tre generazioni di uomini – padri, compagni, fratelli – che si sono riversati nelle strade e uniti alle proteste. La legge che rendeva obbligatorio l’hijab entrò in vigore nel 1981, due anni dopo l’arrivo di Khomeini nel paese. Già in quell’anno la polizia morale cominciò a pattugliare le strade per controllare il rispetto del codice di abbigliamento imposto alle donne. Fermavano e arrestavano persone solo per capriccio, magari per una ciocca di capelli che spuntava da sotto il velo.

LE REAZIONI ALLA MORTE DI SAHAR
L’indignazione  del mondo, sportivo e non, fu unanime.
Gianni Infantino, presidente della Fifa, dichiarò: “Le donne devono essere ammesse negli stadi di calcio in Iran. Capiamo che ci sono passi e processi che devono essere intrapresi prima che questo sia fatto in modo corretto e sicuro, ma ora è arrivato il momento di cambiare le cose.”
Non si limitò, alle sole dichiarazioni, Infantino chiese e ottenne un incontro con l’allora presidente dell’Iran Rouhani il quale assicurò che presto gli stadi avrebbero riaperto le porte alle donne.
La morte della giovane tifosa suscitò le dure proteste dei calciatori iraniani e internazionali.. Ali Karimi, ex giocatore iraniano del Bayern Monaco che nella sua carriera giocò 127 partite per la nazionale, invitò tutti i tifosi iraniani di calcio a boicottare gli stadi come segno di protesta per la morte di Khodayari. Andranik AndoTeymourian, calciatore iraniano armeno e primo cristiano a essere capitano della nazionale iraniana, scrisse in un tweet che bisognerebbe dare il nome di Khodayari a uno dei principali stadi di Teheran. Masoud Shojaei, capitano dell’Iran, dichiarò  che il divieto per le donne di entrare allo stadio è ormai «vecchio» e sarebbe da cambiare.
La Roma invece cambiò, sul suo profilo Twitter, il colore del logo dal rosso tradizionale al blu: il Governo adottò una strategia dilatoria per allentare le forti pressioni della FIFA.
Si cominciò con il consentire gli ingressi a un numero ristretto di donne. Sostanzialmente parenti di giocatori o funzionari governativi. Però alle donne non era permesso acquistare i biglietti. “ Stanno sostanzialmente manipolando la FIFA – dichiarò Omid Memarian, vice-direttore del Centro per i diritti umani in Iran, con sede a New York - anche se i vertici del calcio mondiale sono  stati informati delle ripetute violazioni e delle tattiche di manipolazione per impedire  alle donne di entrare, l’Iran è comunque riuscito a farla franca con questa discriminazione.”

LE PRIME TIMIDE APERTURE
La morte della giovane tifosa Sahar non poteva essere archiviata come ‘deprecabile incidente’. Di questo, il governo iraniano ne era consapevole e se anche avesse voluto soprassedere le diplomazie occidentali e le fortissime pressioni della FIFA glielo avrebbero impedito. Infantino fu chiarissimo e durissimo, almeno a parole. Disse, infatti, forte e chiaro, che l’Iran rischiava l’esclusione dai Mondiali del Quatar 2022. Ma, il n° 1 del pallone mondiale sapeva benissimo che tradurre in realtà la minaccia sarebbe stato difficile..
 Da noi, in Italia, come si ricorderà, di questa possibile esclusione, per alcuni giorni, se ne parlò molto perché, al posto dell’Iran, sarebbe stata ripescata l’Italia. Ma, diciamoci la verità. Escludere una nazionale che aveva già conquistata, sul campo, la qualificazione sarebbe stato difficile da spiegare. Escludere l’Iran per violazione dei diritti umani da un mondiale, ospitato da una nazione che, certamente, non era in prima linea nella difesa di questi diritti, e, soprattutto, non eccelleva nelle battaglie per la parità di genere, sarebbe stato per la FIFA quantomeno imbarazzante. Senza contare che, nel recente passato, i Mondiali si erano svolti in Sudafrica e in Russia. Nazioni dove le problematiche sociali, non se le sono fatte mai mancare e hanno da sempre un difficile rapporto con la democrazia.
Infantino, che non è nato ieri, se ne rendeva conto. E se ne rese conto anche il governo iraniano che diede un segnale di risposta di messaggio ricevuto, in occasione proprio di una partita valevole per i mondiali quatarioti. Iran-Cambogia. Si giocò il 10 ottobre allo stadio Azadi di Teheran. Poco più di un mese dopo la morte di Sahar.

4000 DONNE ALLO STADIO
L’Iran rifilò ben 14 goal agli smarriti cambogiani. Ma il match non passò alla storia della nazionale iraniana per il roboante risultato. La partita, viene ancora oggi ricordata, per la presenza sugli spalti, per la prima volta nella storia della Repubblica Islamica, di ben 4000 donne.
Ovviamente dovettero sottostare ad alcune regole. Furono relegate in un’area dello stadio separata dagli spettatori maschi come prescrive la regola del pardaa (in persiano significa tendache appunto contempla la separazione degli spazi tra i due sessi.
L’evento, secondo alcuni osservatori, ebbe una ricaduta positiva sulla perfomance dei calciatori iraniani consapevoli, presumibilmente, del contesto storico in cui si giocò.
Spulciando tra  le cronache di quella straordinaria giornata scopriamo che “che una folla di donne si era radunata fuori dallo stadio e stava ancora cercando di entrare. "
Al Jazeera
intervistò diverse donne quel giorno e una di queste dichiarò che il calcio non le  piace calcio, ma partecipare agli stessi giochi a cui gli uomini possono partecipare è una questione di parità di diritti, è una questione di diritti delle donne.
Soffermandoci ancora sulle cronache di quella giornata particolare, abbiamo rintracciato una dichiarazione del portavoce del governo: ”consideriamo la presenza delle donne allo stadio come un passo positivo.”
C’è un take dell’agenzia IRNA (agenzia di stampa ufficiale dell’Iran ndr) che riporta una dichiarazione del governo dove si legge ”Questa è la tendenza futuraIl numero di donne che parteciperanno alle partite negli stadi non potrà che aumentare, ma c'è una clausola: lo faranno solo nella misura in cui le autorità sono in grado di preservare i valori islamici, mantenere leggi sull’ordine pubblico che siano in linea con i codici di condotta islamici.”
Il divieto di accesso alle donne negli stadi è stato definitivamente abrogato in prossimità dei Mondiali del Quatar. Il 25 agosto 2022, cinquecento donne hanno potuto assistere all’incontro tra l’Esteghlal e il Mes-e Kerman. Vinto per 1 a 0 dall’Esteghlal la squadra di Sahar. Quel giorno le donne presenti sugli spalti dell’Azad hanno cantato in coro Blugirl di Steve Wonder . «Bambina, sei triste. Anche se tutto quello che hai è visibile a te dentro il tuo cuore, resta una parte. È come se il cielo fosse blu».

PALLONE E STORIA
Gli iraniani dicono di appartenere a una terra unica dove pallone e storia sono spesso sulla stessa pagina del libro. Il calcio, tra l’altro, ha assunto, negli anni, un atteggiamento conflittuale nei confronti dell’ortodossia religiosa. Alla fine della prima guerra mondiale, Reza Scià il Grande , il primo Scià di Persia, intuì che il foot ball poteva essere una leva importante per la modernizzazione del paese e impartì una direttiva alle forze armate affinché si organizzassero partite anche nelle regioni più sperdute. La novità, ovviamente, non piacque ai mullah che ispirati dalla loro cupa e apocalittica visone del mondo, ordinarono la lapidazione dei calciatori perché indossavano calzoncini corti e questo era contro la sharia (legge islamica) che impone di coprire le gambe dall’ombelico alle ginocchia. Il Governo replicò con la confisca di terreni alle moschee per farne campi da calcio. Negli anni ’60 lo Scià impose al paese il modello occidentale. Proprio in quegli anni prende il via il primo campionato nazionale. Due i club in evidenza: il Taj e il Persepolis. Nasce il primo derby di Teheran.  Cominciò a formarsi, sempre in quegli anni, il vivaio di una nazionale che si aggiudicò per tre anni consecutivi la Coppa d’Asia. Nel 1978, in Argentina, prima partecipazione ai Mondiali. Nel 1979, lo Scià venne deposto e fuggì  all’estero. Gli subentrò Khomeini che instaurò la Repubblica Islamica. Cominciarono gli anni bui dell’Iran e il calcio divenne lo strumento del male. Amato dal pubblico femminile venne bandito in quanto attività degradante. Alle donne venne impedito di andare allo Stadio, troppo testosterone negli stadi.Le principali squadre cambiarono nome il Tay diventò Esteghlal( Indipendenza) e il Persepolis, ma solo per un  breve periodo, divenne  Piroozi(vittoria). Nel 1987, Khomeini, concesse alle donne di guardare il calcio in Tv.

L’OSCURANTISMO
Furono, insomma, anni bui. La censura khomeinista imperversò in qualsiasi ambito culturale e di intrattenimento. La cultura pop iraniana venne eliminata e, naturalmente, al Sant’Uffizio islamico non sfuggì il cinema. La regola era semplice: quando in una scena compare qualche nudità – anche di sole braccia – il film va censurato.
Però sul calcio i mullah  capirono  che dovevano andarci piano. Alle masse piaceva e deluderle poteva rivelarsi un pericoloso boomerang. Insomma, sradicare il calcio significava pagare un prezzo politico altissimo. Come tutte le dittature cercarono di utilizzarlo come strumento di propaganda. I cartelloni pubblicitari non vantavano più le qualità dei prodotti, ma veicolavano slogan del tipo Abbasso gli USA e Israele deve essere distrutta. L’iniziativa non ebbe un successo e allora i mullah capirono che moschee e campi di calcio dovevano restare separati. E la vita continua è il titolo di un film del regista iraniano Abbas Kiarostami.Si svolge in una città colpita da un violento terremoto. Macerie, case distrutte etc. 
C’è una scena, in cui non mancano momenti di pura comicità, che descrive alcuni uomini che si affannano a mettere in piedi un’antenna Tv per assistere a una partita di calcio tra Austria e Scozia. Il messaggio è che gli iraniani attraverso le partite tra le nazionali di altri paesi creano un contatto con il mondo occidentale. Osservano stili di vita che a loro non sono concessi. Attraverso gli spot pubblicitari apprendono che altrove si può giocare con la Playstation, mangiare patatine e bere birra o Coca Cola.

LEGGERE LOLITA A TEHERAN
Leggere Lolita a Teheran è il titolo di un libro autobiografico scritto da Azar Nafisi, iraniana, docente di Letteratura inglese all’Università di Teheran fino al 1981. L’anno in cui il regime khomeinista chiuse gli atenei. Tornò in cattedra nel 1987, ma nel 1995 venne allontanata perché non era in linea con le regole imposte dall’Ayatollah.
Ho letto il libro un anno fa. Lo tengo sempre a portata di mano e lo sfoglio spesso. E ‘ il mio breviario laico. Perché ne parlo? Perché il libro ha ispirato moltissimo il post che ho scritto e anche il titolo. Nafisi racconta che, dopo l’abbandono dell’insegnamento, decise di tenere un seminario,a casa sua, sulla letteratura, con le sue sette migliori allieve. Rileggevano e commentavano le opere di Vladimir Nabokov, Scott Fitzgerald, Henry James e Jane Austen. Nelle pagine di questi autori provavano a ritrovare il loro mondo che era sotto sequestro, di capire cosa stava sconvolgendo il paese che amavano. Lo sdegnato isolamento, il rifiuto non sono sufficienti per contrastare un regime tirannico, crudele e misogino. La sfida va portata a viso aperto. E’ la prima lezione che hanno appreso, analizzando i romanzi  dei quattro grandi scrittori. Una ricerca ossessiva di cui diventa simbolo il romanzo di Vladimir Nabokov, Lolita .
E’ la metafora dell’Iran. Humbert, il protagonista maschile del romanzo, si comporta come gli ayatollah hanno fatto con gli iraniani. Humbert priva della libertà Lolita, confisca i suoi sogni e il suo diritto alla vita.
Il libro della Nafisi è la risposta alla dittatura. A Teheran, un regime dispotico, ha privato gli iraniani della loro possibilità di sognare e allora subentra l’immaginazione. Vera risorsa per contrastare una realtà insopportabile. Di recente ho avuto modo di leggere una frase bellissima che la Nafisi; ha detto nel corso di un’intervista: “La  mia fantasia ricorrente è che alla Carta dei Diritti dell’Uomo venga aggiunta la voce: diritto all’immaginazione. Ormai mi sono convinta che la vera democrazia non può esistere senza la libertà di immaginazione e il diritto di usufruire liberamente delle opere di fantasia.”