(qui per la parte I)

PREMESSA

Rovistando, tra carte e ricordi, per meglio rievocare la figura di un arbitro - il sig. Lo Bello di Siracusa - che, nel bene e nel male, ha ‘scritto’ una pagina importante della storia calcistica del nostro paese, ci siamo imbattuti in aneddoti, eventi, circostanze dai quali emanava un certo fumus persecutionis e a soffiarlo era sempre Don Concetto, che lo indirizzava verso il  Milan e, in particolare, su Gianni Rivera, il quale è ricordato ancora oggi non solo perché è stato un impareggiabile ‘stilista’ in campo, ma perché è un’epoca.
Quando i personaggi smettono di essere tali e diventano epoche infastidiscono quelli che alla verità preferiscono l’oblio.
Ci siamo detti: siamo in presenza di un cold case, ovvero un ‘crimine irrisolto’, ovviamente il termine va inteso nel senso di vicenda irrisolta o, se preferite, mai chiarita sino in fondo, che rischia di rimanere, al pari di tante altre vicende, riposta negli anfratti più reconditi, coperta da una coltre di polvere e, appunto, di oblio.  
Ci vuole uno specialista. Un investigatore specializzato in queste faccende capace di soffiare sulla polvere che le ricoprono. Ci siamo affidati a Pierre Chateau, ispettore capo della sezione investigativa della UEFA, abilissimo nel rovistare dentro gli archivi e frugare dentro le reticenti memorie dei testimoni.
Il suo ufficio è a Parigi. Pierre è un parigino DOC, ma parla bene la nostra lingua, grazie alla mamma italiana. Adora il nostro paese, la sua cultura, la sua arte, la sua cucina. Intenditore di vini. Ama moderatamente i rossi e smodatamente le ‘rosse’. Legge molto. Una venerazione mistica per Proust, Celine, McEwan e Thomas Mann... Passione per la grande musica: Bach, Mozart, Listz e, naturalmente, per il più francese dei cantautori italiani: Paolo Conte

Parigi, una fredda sera di qualche anno fa
Al numero 39 di Quai d’Orsay, a Parigi, si erge la facciata del Palazzo del Ministero per l’Europa e gli Affari Esteri.  
Iniziato nel 1844 e completato intorno al 1855, costituisce un esempio rappresentativo delle arti decorative del Secondo Impero. Quai d'Orsay è il nome spesso usato per riferirsi alla Francia. Poco distante, da  questo splendido palazzo, si trova lo stabile dove ha sede l’ufficio dell’ispettore Chateau. Un arredamento che si discosta dalla sontuosità architettonica dell’edificio. Freddo e funzionale. Lo ha voluto lui così. La stanza è praticamente al buio, salvo la luce che proviene da un grande schermo Tv dove scorre un filmato, che si è fatto mandare dall’Italia, riguardante una seguitissima trasmissione sportiva andata in onda la sera del 20 febbraio 1972.
Alza il volume e una voce dal forte accento siciliano dice:
Non si aspetterà che io le dica che in questa occasione il giocatore è stato più furbo di me che, d’altra parte, non avevo la moviola e, quindi, non ho potuto vedere che era stato commesso il fallo… sì ho sbagliato, era rigore.”
Pierre
ferma il lettore e legge la relazione che accompagna il CD dove era stato trasferito il filmato in origine VHS.

Milano 20 febbraio 1972 - Un mese freddissimo quell’anno. Mezza Italia è davanti al televisore. E’ in onda una delle trasmissioni più seguite: la Domenica Sportiva. Si celebra un momento liturgico molto importante per i fedeli di una religione – il calcio – che Pier Paolo Pasolini definì “L’ultima rappresentazione sacra”: la moviola. I ‘celebranti’ sono Carlo Sassi, giornalista, che, praticamente, la inventò; Heron Vitaletti, tecnico della Rai che dell’innovazione conosce annessi e connessi, e Bruno Pizzul, telecronista e conduttore della trasmissione.
Quella sera, però, non è la solita celebrazione domenicale. Accadde qualcosa che l’indomani avrebbe tenuto banco, non solo sulle pagine dei giornali, ma nei posti di lavoro, nei bar la sera e forse anche nelle famiglie.
Negli studi della Fiera di Milano, sede tradizionale della trasmissione, si stava passando al setaccio una partita importante disputatasi nel pomeriggio a Torino: Juventus-Milan, finita in parità 1 a1.
Sono due squadre in lotta per lo scudetto. I rossoneri di Nereo Rocco non attraversano un buon momento. Hanno perso a Firenze e pareggiato in casa con il Vicenza. Cercano un pronto riscatto al Comunale. Sono sulla buona strada. Al termine del primo tempo sono in vantaggio grazie a un gol di Albertino Bigon. Si passano sotto la lente della moviola le fasi salienti e, soprattutto, quelle controverse dell’incontro. L’ospite era importante: Concetto Lo Bello di Siracusa, il principe dei fischietti italiani, temuto e stimato anche all’estero. Arbitro della partita tra Juve e Milan.

LO BELLO E IL GATTOPARDO
Chateau aziona di nuovo il fermo immagine e osserva bene l’uomo che ha pronunciato la frase di prima con forte cadenza siciliana. Lo osserva bene. Un fisico imponente, un profilo greco. Gli sovviene un film che ha visto qualche anno fa. Un grande regista italiano – Luchino Visconti –aveva portato sugli schermi il capolavoro di Giuseppe Tomasi di Lampedusa: Il Gattopardo.
Monsieur Lo Bello gli rammenta il principe Fabrizio Salina. Burt Lancaster lo interpretò in quel bellissimo film. Ricorda ancora una frase del personaggio che c’è anche nel libro: Il principe parla dei siciliani e dice: ”Tutte le manifestazioni siciliane sono manifestazioni oniriche, anche le più violente, la nostra sensualità è desiderio d’oblio. Il nostro aspetto meditativo è quello del nulla che volesse scrutare gli enigmi del nirvana. Da ciò proviene il prepotere da noi di certe persone…”.
Riporta indietro di qualche secondo il filmato e risente quella voce marcata che dice:
Sì, ho sbagliato, quello era rigore!                                    

La relazione evidenzia che, per la prima volta, nella storia del calcio italiano, un arbitro, non solo è andato in televisione, ma ha addirittura ammesso un errore.
Chateau ferma il filmato e riflette su  qualcosa che aveva letto in un libro pochi giorni fa: ”Ciò che è visibile, che è spettacolo di pubblico dominio, non può mai cambiare niente. Ciò che è decisivo non viene mai mostrato. Lo si racconta solo quando non interessa più.”

Adesso vediamo di capire cosa è accaduto in quella partita.
Stadio stracolmo. Fu il record d’incasso, per quella stagione, per le casse juventine: oltre 150 milioni di lire. Era una giornata freddissima, il cielo era color grigio acciaio, il terreno di gioco era coperto di segatura per assorbire l’acqua. Allora si faceva così, oggi il sistema di drenaggio è diverso.
I rossoneri disputarono un gran primo tempo. Meritatissimo il vantaggio grazie a un gol di Bigon. La musica però, nel secondo tempo, cambiò. La Juve si lanciò  all’assalto, con   un pressing asfissiante, furente. Il Milan, riuscvì a divincolarsi dalla stretta e ancora con Bigon portò un affondo in area juventina che Morini, difensore bianconero, evitò con un placcaggio di tipo rugbistico... Lo Bello fece segno di continuare. Inutili le proteste dei rossoneri. Quando mancava una decina di minuti alla fine Salvadore  effettuò un tiraccio, una ciabattata su una palla trattenuta dalla poltiglia di fango e segatura, 1 a 1. Grazie al pareggio La Juve mantienne i due punti di vantaggio sul diavolo, punti che a fine stagione furono preziosi per la conquista del 14° scudetto, il primo dell’era Boniperti Presidente.

IL DUBBIO
Pierre spegne il monitor dopo aver visionato, per almeno una decina di volte, il punto in cui il sig. Concetto Lo Bello dice: sì ho sbagliato, quello era rigore. La frase ha un po’ il suono di quelle monete d’argento o di altro metallo che lasciate cadere per terra non tinniscono nel modo giusto. Fu pronunciata con un pizzico di malizia e un compiaciuto sorrisetto.
A Pierre l’ammissione di colpa non lo convince. Non leggeva sincerità nell’affermazione. Non si fidava e pensò, come sostegno al suo dubbio, a quella bella espressione di Celine in Viaggio al termine della notte”: Fidarsi degli uomini è già farsi uccidere un po’.
Si alzò stancamente dalla scrivania e sulla lavagna magnetica appiccicò una foto del Sig. Lo Bello. Adesso occorreva trovare i collegamenti tra le persone. L’arbitro siciliano si era frapposto come ostacolo diverse volte sulla strada del Milan. Lo aveva letto nel dossier inviatogli dall’Italia. E valeva anche per lui quel principio universale, quasi un dogma per tutti gli investigatori del mondo, che un indizio è solo un indizio, due indizi sono solo due indizi , tre indizi sono una prova. Quello che non lo convinceva assolutamente era l’accanimento del “principe dei fischietti” contro Rivera. Perché? Cosa c’era stato tra i due di così grave da indurre uno dei migliori arbitri del mondo a diventare un persecutore implacabile di uno dei migliori calciatori di allora?

FABBRI ACCUSA I GIORNALISTI
Tornò al dossier e dopo un po’ tirò fuori dei ritagli di giornale. Sono articoli di famosi inviati, di giornali sportivi, al seguito della nazionale italiana. Portano la data luglio 1966, l’anno e il mese dei Campionati Mondiali di calcio in Inghilterra. I giornalisti erano alloggiati in un college di Sunderland, cittadina che non ha mai mantenuto gli impegni che il suo solare nome promette. Freddo, pioggerelline e tanta umidità.
Capitiamo in un girone dove dobbiamo vedercela con Cile, Russia e Corea del Nord. Il 16 luglio, nello stadio di Sunderland, battiamo 2 a 0 i cileni. Segnano Mazzola e Barison.
Il giorno dopo, a Durham, quartier generale degli azzurri, conferenza stampa del CT Edmondo Fabbri. Arriva corrucciato, occhiali scuri, con una tuta che gli spara addosso, era piuttosto rotondetto. Dopo la vittoria del giorno prima tutti si aspettavano un Fabbri, se non spavaldo, almeno ottimista sulle possibilità di qualificarsi degli azzurri.
Terminato il rito della conferenza stampa ufficiale, Fabbri spara a zero contro alcuni giornalisti importanti e ne fa i nomi: Brera, Bardelli, Zanetti, Rizieri Grande.Mi hanno fatto pervenire le loro veline questi signori – alza la voce e il viso diventa rosso acceso – con la formazione che secondo loro Io dovrei schierare nella seconda partita con i russi. Il loro bersaglio principale è Gianni Rivera – si accalora ancora Fabbri – perché sostengono che non corre, non recupera e ha bisogno di due gregari al suo fianco, due portatori d’acquaBrera – cari signori – lo ha definito abatino”.
Ovviamente i giornalisti chiamati in causa, non erano presenti alla conferenza stampa e quindi non ebbero modo di replicare alle pesanti accuse del CT azzurro.

RIVERA ESCLUSO DALLA FORMAZIONE
Contro i russi si gioca a Middlesbrough. Cittadina di un grigiore unico, con strade allegre come i giorni della quaresima. Sembrava uscita da una pagina di Dickens, quelle storie tristi che si svolgono tra ciminiere, smog e povertà. Rivera non gioca. Escluso. Cosa accadde nella notte, dopo la conferenza stampa, non si è mai saputo. Chi ha convinto Edmondo Fabbri a fare la penosa retromarcia? Chi lo ha convinto o, forse- pensa Chateau - chi lo ha minacciato? Comunque, per qualificarsi basta pareggiare con la Corea. Brera scrive: Se perdiamo con la Corea cambio mestiere.” (Non mantenne la promessa ndr) Pierre va a visionare la partita.
Si giocò il 19 luglio 1966. Dopo un’ora, spegne tutto ed esclama ad alta voce: che tragedia! L’Italia perse subito Bulgarelli e rimase in dieci. Perani sbagliò almeno 4 goal. Tatticamente la squadra biascicò calcio, impaurita, messa alle strette dai coreani che sbucavano ovunque sul campo, sembravano in cento. Fabbri non era un condottiero di stazza napoleonica, aveva trasmesso ansia, paura ai suoi giocatori. Fece giocare il massiccio Barison, all’ala sinistra, al posto di Pascutti. Un ragionamento terra terra: Barison è un gigante  sovrasterà i piccoli coreani. L’odontotecnico Pak Doo Ik giustizierà l’Italia con un affilato diagonale. La squadra tornò in Italia accolta da fischi e pomodori.

Pierre sui avvicinò alla grande finestra e guardò fuori: l’autunno è la stagione dei colori forti. Gli alberi hanno mille sfumature in attesa di perdere le foglie. Il preludio dell’inverno.
Contemporaneamente nella stanza si intromise una scia di profumo a lui ben noto, dall’inconfondibile fragranza floreale. Si girò è sulla porta si stagliò la figura di mannequin della sua collega Chantal. Sorrise, gli venne in mente la risposta di Marilyn Monroe, quando un giornalista le chiese cosa indossasse a letto. Lei rispose 'solo due gocce di Chanel n°5, naturalmente'.

CONGIURE?
Chantal Pellissier compendia tutto ciò che Pierre ammira in una donna: capelli rossi, tizianeschi non troppo lunghi, ma nemmeno troppo corti, occhi verdi, un fisico tenuto in costante esercizio. Fin qui le qualità fisiche. Ma, Pierre non è sedotto solo dalla sensuale figura della collega. Combina un corpo dal forte appeal con qualità intellettive di prim’ordine e due occhi che sembrano due laser verdi che scrutano e, qualche volta ipnotizzano, chi le sta  davanti.

A cosa sta lavorando il fascinoso Pierre?
Chantal ha un modo piacevolmente insinuante per intromettersi nelle vicende altrui. Ti pianta gli occhi addosso e ti si avvicina con quella fragranza di primavera che conferma quello che dicono del profumo amato dalla Marilyn: il profumo per donna che sa di donna. Mai slogan fu così veritiero.

Una vicenda italica. Antica quanto intricata. Pierre spiegò in poche battute di cosa si stava occupando. Ne parlò volentieri. Chantal aveva intuito su certe cose e con l’innato pragmatismo delle donne riduceva i problemi all’essenziale.
Essenziale dici? Ricordi quel passaggio del ‘Piccolo Principe’? L’essenziale è invisibile agli occhi. Intanto, scrutava, come un falco, gli incartamenti del dossier.
- Forse, magari non ai tuoi occhi…
- Qui, però, su questo ritaglio di un giornale sportivo c’è un qualcosa che si collega proprio alla disfatta della nazionale italiana ai Campionati del Mondo del 1966. C’è una dichiarazione del sig. Lo Bello e se vuoi il mio parere è una dichiarazione insolita per un arbitro, che senza tanti giri di parole accusa Gianni Rivera di essere il principale responsabile della debacle della nazionale azzurra ai Mondiali culminata con la sconfitta contro la Corea.
Disse infatti: ”E’ stata una vergogna, il guaio è che la formazione della nostra nazionale è stata fatta da Rivera e non dal CT Edmondo Fabbri.”
L’origine dell’astio è qui.

- Sì, capisco Chantal, ma a Torino un arbitro che ha fatto finta di non vedere quel placcaggio in area e che passa per essere il ‘principe dei fischietti’, beh insomma...mi sembra grossa, soprattutto se poi va in Televisione e con nonchalance tra una risatina e l’altra ammette di aver sbagliato.
E infatti Rivera all’ammissione dell’errore e al pentimento non ci ha creduto.
Ecco cosa disse: ”Per il Milan avere certi arbitri è diventata ormai una tradizione. E ci tocca leggere sui giornali che siamo malati di vittimismo. Questa roba alla Juventus non succede, poi  in Tv  sentiamo l’arbitro che ci dice che ha sbagliato, di scusarsi con noi perché non ci ha concesso un rigore. E noi ci giochiamo il campionato”.
- Pierre, ma caratterialmente questo ‘gladiatore’ greco travestito da ‘arbitro’ che tipo era?
- Personaggio assai divisivo. Per alcuni uno zar, un dittatore e, nel corso di una drammatica partita a Firenze, i tifosi viola lo hanno sottolineato con un coro di du-ce, du-ce. Non ha fatto una piega. Certo carattere ne aveva, forse pure troppo. L’opinione pubblica, ripeto, era divisa. Per alcuni direttore di gara per eccellenza, altri non condividevano certi atteggiamenti, certi modi di fare in campo  che venivano giudicati come istrionici e autoreferenziali
.
- E politicamente?
- Democrazia Cristiana. Partito che oggi non c’è più. Guarda caso, proprio nel 1972, fu eletto nel collegio elettorale Catania-Messina-Siracusa.
- Lasciò l’arbitraggio?
- No. Disse che essendo un uomo libero poteva fare l’uno e l’altro. Una scelta criticatissima, qualcuno ipotizzò che, se non proprio conflitto d’interessi, era sicuramente una caduta di stile.”
Giornalisticamente chi era il suo più importante sponsor?
- Gianni Brera!

(SEGUE)