Osama bin Laden era un gooner. Così vengono chiamati i tifosi dell’Arsenal. Il termine deriva da gunners ( cannonieri), il soprannome della squadra,  che lo slang inglese ha poi trasformato in gooner. Espletate le pratiche etimologiche torniamo al tema principale. La passione, per la compagine, amata e celebrata  dallo scrittore inglese, Nick Hornby in un romanzo, divenuto un’icona del tifo calcistico, Febbre a 90,  dell’uomo che sarebbe poi diventato il terrorista più ricercato del mondo,  risale agli inizi degli anni ’90., quando viveva a Londra. Adam Robinson, lo scrittore che ha curato la sua biografia (Behind the mask of terror) ha rivelato che è stato un assiduo frequentatore dell’Highbury ( lo stadio dell’Arsenal ndr) in occasione  delle partite di Coppa delle Coppe nel 1993/94. Trofeo che poi la squadra britannica si aggiudicò. L’altro aspetto curioso, rivelato ancora da Robinson, è che bin Laden era anche un affezionato cliente del negozio dove la società britannica vende oggetti, accessori e capi di abbigliamento che evocano, ovviamente, i gunners. Comprò regali per i suoi figli comprese le irrinunciabili magliette. Ma, Osama, non si appassionò al calcio durante la sua permanenza nella capitale britannica.
Con il foot ball la frequentazione risaliva agli anni della sua gioventù. Anzi, fu proprio il gioco ad avvicinarlo al fondamentalismo. Frequentava a Gedda la scuola secondaria d’elite al-Taghera. Vi studiavano i figli degli uomini d’affari e della famiglia reale. Il padre di Osama,  Muhammed, giova rammentare, da semplice facchino portuale, emigrato in Arabia Saudita, divenne sceicco, importante magnate e capitano d’industria Uno degli insegnanti  era un professore siriano che convinceva i giovani allievi a tornare in aula, il pomeriggio, grazie alla promessa di farli giocare a calcio. Ma, le lezioni del docente siriano erano improntate a una variante, decisamente, violenta dell’Islam. Insegnamenti che indubbiamente contribuirono a plasmare un certo atteggiamento verso Il mondo occidentale, ovvero il mondo degli infedeli. Più avanti negli anni, il giovane bin Laden aderì all’incitamento dei mullah ( cultori delle scienze religiose islamiche ndr) alla jihad(guerra santa ndr) in relazione alle drammatiche vicende dell’Afghanistan. Le ingenti ricchezze, ereditate dal padre, gli consentirono di finanziare e organizzare i mujaheddin (combattenti musulmani ndr) afghani.

1998, PAURA AI MONDIALI IN FRANCIA

L’amore per il calcio non impedì a Osama bin Laden di progettare uno spettacolare attacco terroristico proprio nel corso dei Mondiali del 1998 in Francia. Nel paese transalpino era stata tessuta una ragnatela di cellule terroristiche finanziata da Osama. Il folle piano prevedeva attentati contro l’Ambasciata USA in Francia, una centrale nucleare, contro la quale si sarebbe dovuto schiantare un aereo di linea civile  e infine un massiccio attacco contro l’albergo che ospitava la squadra degli Stati Uniti. Ma, non era finita qui perché, com’è risaputo, la follia non conosce limiti. La parte più tragicamente spettacolare si sarebbe dovuta svolgere sul terreno di gioco. I seguaci algerini di Osama avevano pianificato un audace assalto in campo, contro la nazionale inglese, durante la prima partita del girone: Inghilterra-Tunisia. Di questa vicenda se n’è sempre parlato poco. Ma, è stata ampiamente documentata in un libro, sempre a firma di Adam Robinson, dal titolo eloquente Terror on the Pitch ovvero Terrore in campo. Se mi è consentita una notazione,  in relazione a questo documentatissimo libro, direi che, così, a naso diciamo, Adam Robinson, sia uno pseudonimo. L’autore del libro è sicuramente ben introdotto in Medio Oriente e in alcuni suoi particolari ambienti.
Troppo precisi i dettagli, i nomi, le circostanze e, soprattutto, nessuno, ripeto nessuno, ha mai smentito l’autore. Il piano terroristico, concepito per Inghilterra-Tunisia, prevedeva l’individuazione di alcuni tra i più celebri giocatori inglesi, che il capo di Al Quaeda, Osama, buon conoscitore del calcio britannico, aveva indicato e dato ordine di eliminare. I terroristi, vestiti da steward, sarebbero entrati in campo e, armati di pistole e tritolo, fatto strage di Beckham e compagni. Se il piano avesse avuto successo, avrebbe superato, in orrore,  la tragedia che colpì la squadra israeliana alle Olimpiadi di Monaco del 1972 come la peggiore atrocità mai vista nel mondo sportivo.
Sorprendentemente, questa storia vera è rimasta, in gran parte, non raccontata per tanti anni e solo di recente è stata rivelata la portata del complotto e quanto i terroristi erano arrivati vicini al successo. Il piano, fortunatamente, venne scoperto grazie a un blitz della polizia belga nel marzo del 1998. Presumibilmente più di un arrestato cominciò a rivelare dettagli e nel maggio dello stesso anno ci fu una massiccia operazione di polizia   in molti stati europei che portò all’arresto di un centinaio di terroristi.
All’indomani degli arresti, il governo francese parlò attraverso un portavoce che, ai giornalisti di mezzo mondo, dichiarò :” Possiamo adesso affrontare la Coppa del Mondo di calcio con maggiore serenità.” Chi vuole intendere…intenda.Le rivelazioni di Robinson hanno, successivamente, avuto un preciso riscontro grazie a un altro libro. L’autore è Yossef Bodanski che ha scritto che gli attentati di Al Quaeda contro le ambasciate americane in Kenya e Tanzania, nell’agosto 1998, furono  la risposta al fallimento dell’operazione principale, l’attacco contro la Coppa del Mondo di calcio. L’aspetto disturbante, anzi diciamolo pure, inquietante, è che il calcio fece da ispirazione a una certa visione del mondo dei terroristi. A dicembre del 2001, a circa tre mesi dal tragico attentato di New York, il Dipartimento della Difesa Usa diffuse una video-cassetta con bin Laden che cita un adepto che gli raccontava un sogno fatto un anno prima dell’attentato. “Giocavamo a calcio contro gli americani. Quando la nostra squadra arrivava in campo erano tutti i piloti”. Chiaramente il sogno si concludeva con la vittoria della squadra di Al Quaeda che indossava le divise da pilota.

I GOONERS E OBAMA

Dopo l’11 settembre i gooners  intonarono un nuovo coro: “Si nasconde vicino a Kabul, gli piace l’Arsenal Osama oh oh oh. Arseweb era ( credo che oggi sia stato sostituito da Arseblog ndr)  il sito gestito dai tifosi dell’Arsenal. Per nulla imbarazzati dal fatto di avere, come compagno di fede calcistica, un personaggio, diciamo così, ingombrante lo hanno immediatamente inserito nella speciale pagina “ Celebrity Gooners.”Così Osama si ritrovò in compagnia di Fidel Castro, Tom Cruise, il Queen Bad Group,Robert Maxwell,Mad” Frankie Fraser, la Regina madre ( la mamma di Elisabetta e il principe Harry. Giustificarono l’inserimento così: "Potreste rabbrividire al pensiero di aver avuto a che fare con quest'uomo allora, ma Arseweb vorrebbe credere che questo renda il nord di Londra un po' meno probabile che diventi un obiettivo."La società calcistica, comunque, non gradì l’arruolamento del capo di Al Quaeda tra i ‘gooners’ e impose l’esclusione dallo speciale elenco. "Chiaramente non sarebbe il benvenuto a Highbury in futuro disse  il  portavoce del club. Una decisione comprensibile, nonché eticamente e politicamente opportuna.
Analisti, esperti di Medio Oriente, impegnarono paginate di giornali per cercare di capire come era stato possibile che il legame di Osama con l’Arsenal non venne tenuto in alcun conto dall’establishment militare e dalle poderose e numerose agenzie di intelligence statunitensi. Perché questo aspetto – scrissero – non è mai emerso nel corso dei briefing con la stampa del segretario alla Difesa americano Donald Rumsfeld. ? Perché il generale Tommy Franks, responsabile dell’operazione di terra per catturare Bin Laden, ha mai nominato una volta l’Arsenal? Altri esperti ipotizzarono invece che i vertici militari e quelli dell’intelligence sapessero del legame, ma preferirono non svelarlo e lavorarci su.
A questo proposito riportiamo un curioso episodio che merita di essere riportato anche perché coinvolge, in qualche modo, il nostro paese.
Un  giornalista britannico rivelò che – citiamo testualmente – qualcuno spacciandosi per un giornalista di un quotidiano italiano, contattò lo scrittore  Nick Hornby, fedelissimo tifoso dell’Arsenal,  per chiedergli se avesse assistito  ai quarti di finale di Coppa delle Coppe tra la squadra inglese e il Torino disputatasi il 15 marzo 1984. Stando a quanto affermato dal giornalista pare che allo scrittore fu chiesto se in tribuna avesse notato un signore con una lunga barba nera. Hornby dichiarò di non ricordare. Accertato che nessun giornale italiano chiamò Hornby la domanda che lo stesso giornalista pose fu: “ Era davvero un giornalista italiano? Oppure era la CIA che seguiva segretamente tutte le piste disponibili? Non lo sapremo mai.

LA VERSIONE DI YOSSEF BODANSKY

Yossef Bodansky è stato uno scienziato politico israeliano-americano che ha servito come direttore della task force sul terrorismo e la guerra non convenzionale della Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti dal 1988 al 2004 È stato anche direttore della ricerca dell'International Strategic Studies Association ed è stato visiting fellow presso la Paul H. Nitze School of Advanced International Studies (SAIS) della Johns Hopkins University. Negli anni '80 ha lavorato come consulente senior per il Dipartimento della Difesa e il Dipartimento di Stato. Nel 1999, Bodansky, scrisse il libro – diventato poi un bestseller –Bin Laden, l’uomo che ha dichiarato guerra all’America – il saggio fornisce un resoconto completo dell ‘ascesa di Osama bin Laden. La tesi di fondo, che si evince dalla lettura del libro, è che “la quintessenza della minaccia di bin Laden è il suo essere un ingranaggio, sebbene importante, in un grande sistema che sopravvivrà alla sua stessa fine: il terrorismo internazionale sponsorizzato dallo stato". Secondo Bodansky, Osama riceveva il sostegno del Sudan e dell’Afghanistan, ma aggiunge che, probabilmente, il più grande alleato di bin Laden era l’Iran. Sulla passione per l’Arsenal Bodansky non ha dubbi e sgombra il campo, dai dubbi e dalle supposizioni: “Si sapeva che Osama guardava spesso le partite dell'Arsenal a Highbury mentre viveva a Londra negli anni '90. Non solo durante le partite casalinghe, ma anche fuori come ad esempio quando l'Arsenal batté il Parma nella finale di Coppa delle Coppe 1993/94 al Parken Stadium di Copenaghen. Osama ha anche acquistato la maglietta di Ian Wright, attaccante  dell'Arsenal negli anni '90, per suo figlio Abdullah.”

IL CENTROCAMPISTA DI BIN LADEN

Lo scorso 14 luglio la giuria del Tribunale Federale di Washington ha assolto Nizar Trabelsi dalle accuse, mossegli a suo tempo, dal Dipartimento di Giustizia USA, ovvero di aver collaborato, con membri di Al Quaeda, tra cui Osama bin Laden, alla pianificazione di un attentato suicida contro gli americani in Europa. Nizar ben Abdelaziz Trabelsi è un ex-calciatore professionista tunisino. Cominciò a tirare i primi calci al pallone nella sua terra d’origine. Non se la cavava male visto che era arrivato a indossare la maglia della nazionale giovanile tunisina. Un osservatore si appuntò il suo nome e, dopo qualche tempo, arrivò una proposta di ingaggio dal Belgio. La giovane promessa cominciò la sua carriera con la maglia dello Standard Liegi. Poi, per Nizar, dalla Germania arrivò la grande occasione, quella che per qualsiasi altro calciatore sarebbe stata la svolta della vita, ma non fu così per il promettente centrocampista tunisino. Fu ingaggiato dal Fortuna Dusseldorf. Sembrava fatta. Giocare in Bundesliga è un asset importante nel curriculum di ogni giovane promessa calcistica. Nizar, in Germania,però, incontrò forti problemi di ambientamento. Disagi che pensò di superare con l’alcol e anche un po’ di droga. Nel frattempo dal Fortuna era passato al Neuss, squadra che milita nei campionati regionali. La forma non era più quella di un tempo e Nizar fece ricorso a sostanze dopanti per tenersi su. Fino a quando non risultò positivo al test antidoping.
E’ l’anticamera di un triste declino. Sono queste le circostanze in cui il destino prepara i suoi agguati. Nazir incontrò, in quel triste periodo, della sua vita,il connazionale Tarek Maarouf divenuto cittadino belga. Cittadinanza che gli verrà ritirata dalle autorità belghe a causa della sua condotta non esemplare. Per la cronaca, fu il primo caso di nazionalità belga annullata dalla fine della seconda guerra mondiale. Grazie a Maarouf, Nazir conosce , Abou Qatada e Abou Hamza.Due personaggi che successivamente compariranno in una lista dell’FBI come intermediari di Al Quaeda.

VIAGGIO A LONDRA        

Appese le scarpette al chiodo Trabelsi si recò a Londra dove frequentò la moschea di Finsbury Park. Qui, il dominus ideologico e, ovviamente, teologico era l’imam Abu Hamza  al-Masri, in pratica la quintessenza del radicalismo islamico. Le sue predicazioni vertevano tutte sul Grande satana americano, nemico da annientare, con qualsiasi mezzo. Sempre nella moschea londinese conobbe Abu Qatada, giordano, considerato il leader spirituale di Al Quaeda in Europa. Compì, in quel periodo, un pellegrinaggio alla Mecca e frequentò una madrasa ( Scuola media e superiore per le scienze giuridico-religiose msulmane ndr) per sei mesi.Alla fine dell’addestramento – ma più che altro indottrinamento – Nazir fu dichiarato idoneo per arruolarsi tra i Talebani in Afghanistan. Vi rimase due anni, poi tornò in Germania per prelevare mogli e figli e con loro stabilirsi a Jalalabad, città che dista 70 km dal Pakistan. Qui conobbe Abou Zoubedia, uomo vicinissimo a Bin Laden. Fu proprio lui a propiziare l’incontro tra Trabelsi e il miliardario saudita. Presero un tè insieme. Raccontò tutta la sua vita a Bin Laden e naturalmente si soffermò ampiamente sul suo passato di calciatore. Aspetto che ovviamente affascinò il leader di Al Quaeda. Seguirono altri incontri e dopo pochi mesi  ricevette il primo speciale incarico. Doveva unirsi a un commando suicida, composto da sauditi e yemeniti,  che doveva attaccare la base militare di Kleine-Bloge in Begio, sito dove venivano stoccate le testate nucleari statunitensi. L’attacco doveva essere portato mediante un camion imbottito di 950 chili di esplosivo. Ma, il 13 settembre del 2001, due giorni dopo il grave attacco alle Torri gemelle di New York, la polizia belga sventò il micidiale attacco. Trabelsi finì in prigione e nel 2005 fu condannato a dieci anni di carcere.Nel 2008 gli Stati Uniti chiesero la sua estradizione che venne concessa nel 2013 e Nizar venne trasferito in un carcere di massima sicurezza in Virginia. Prima ancora dell’assoluzione, ottenuta lo scorso 14 luglio, la Corte Europea dei diritti dell’Uomo condannò il Belgio a risarcire con 90 mila euro Trabelsi perché la sentenza emessa dal Tribunale regionale di Nivelles, con la quale era stata concessa l’estradizione,  aveva calpestato la sua dignità e i suoi diritti fondamentali.

IL FOOT BALL E LA JIHAD

Studi e analisi recenti ci confermano un aspetto che, a prima vista, può sembrare paradossale:l’ambiguo legame tra calcio e jihad. Perché il calcio esercita una forte attrazione presso i terroristi islamici? Qualcuno ha scritto che il rapporto si sviluppa tra promesse di gloria, da una parte, ovvero fama,soldi, successo  e promesse di eternità dall’altra, il sacrificio estremo nel nome dell’Islam .Certo, è una spiegazione che non manca di un certo fascino intellettuale… mettiamola così. Simon Kuper, giornalista del Financial Times che ha scritto un libro dal titolo “Calcio e potere” invece lo spiega così:”Il calcio, in Medio Oriente riveste una sempre crescente importanza. Ai terroristi di quelle zone il gioco deve sembrare un intrattenimento perfetto: una passione tradizionalmente maschile e asessuata, dall’estensione globale e spesso oggetto di dispute tra tribù contrapposte. I dittatori locali sfruttano il calcio per ottenere prestigio. E in quelle dittature, se cercate il dissenso, andate allo stadio.”Sono chiavi di lettura, queste, che trovano nei fatti e negli eventi , un riscontro reale. Lo vedremo meglio in seguito. C’è poi una spiegazione, come dire, più terra terra. La ragione per cui il calcio è così importante in quella regione del mondo la si può dedurre  anche da una barzelletta che circola nelle città mediorientali. Le barzellette spesso colgono certi aspetti della realtà, dei costumi e usi di un popolo  meglio di un ponderoso saggio sociologico.  Un visitatore straniero chiama un taxi e appena si siede il tassista, con un tono confidenziale, gli sussurra

-Senta vuole andare in un posto dove divertirsi?

“Si”…risponde lo straniero.

-Un posto dove farsi una bevuta?

-Ovvio…risponde con una certa sorpresa il visitatore

- E magari ci siano anche delle donne?

- Beh…sa… non è che la cosa mi dispiacerebbe

Il tassista lo guarda e mestamente gli dice:

-Qui, un posto così  non c’è.”               

Non essendoci altri intrattenimenti, l’unico, senza vincoli religiosi, è il calcio che surroga night, alcol e donne.

DAL CALCIO AL KALASHNIKOV

Sono diversi i calciatori che hanno appeso le scarpette al chiodo, detto addio a una carriera che schiudeva loro prospettive di fama, di gloria e, naturalmente, di ricchezza per imbracciare il kalashnikov. Una lunga ricerca ci ha consentito di individuarne alcuni.  Burak Hakan, promessa del calcio tedesco, giocava nell’Hannover. Giovanissimo, 17 anni, era arrivato a vestire la maglia della Germania Under 17, accanto allo juventino Khedira al milanista Kevin-Prince Boateng Viveva a Wuppertal, nel land Reno-Westfalia. Era figlio di immigrati turchi. Nel 2008, lasciò il calcio e si unì ai fondamentalisti che frequentavano la moschea della città. Manifestò posizioni estremiste vicine a quelle di Emrah Erdogan, personaggio implicato nell’attacco degli Shabaab ('organizzazione militare e politica islamista sunnita con sede in Somalia e attiva nell'Africa orientale ndr) contro un centro commerciale a Nairobi. La polizia tedesca pertanto aveva cominciato a monitorarlo. Aveva del talento e sicuramente sarebbe diventato un ottimo calciatore, ma abbandonò prestissimo il sogno di diventare un giocatore famoso. Era religiosissimo, pregava cinque volte al giorno come impongono le regole islamiche. La sua più grande ambizione era aiutare i suoi fratelli musulmani. Nel 2013, smise di genuflettersi e pregare e partì per la Siria. Ad Azaz, in prossimità del confine turco, trovò la morte a seguito di un raid dell’esercito siriano. Aveva solo 26 anni. A Hebron, città della Cisgiordania, a 30 km da Gerusalemme, i fedeli della moschea avevano allestito una squadra di calcio che, oltre ad arruolare talenti calcistici locali, aveva anche il ruolo di incubatrice per attentatori suicidi. Cinque di loro si fecero esplodere per attaccare obiettivi.

GIOCARE PER L’ISIS

Partirono per Londra con pochi bagagli, tanti sogni per la testa, primo , fra tutti,  quello di diventare dei grandi calciatori in squadre che militavano nel più prestigioso dei campionati di calcio d’Europa: la britannica Premier League. Cinque giovani africani di nazionalità portoghese. Si stabilirono, nell’est di Londra, tra Leyton e Walthamstow. Cominciarono anche a giochicchiare per le squadre locali. Ma, i sogni spesso s’infrangono contro la dura realtà della vita quotidiana che ti fa scoprire che la strada che porta al successo, alla fama e alla ricchezza è lunga. Allora si scelgono le scorciatoie che, molto spesso, sono lastricate di insidie e di inganni. I cinque lasciano i campi e imbracciano il kalashnikov e combattere in Siria per l’Isis ( Organizzazione militare e terroristica che sostiene il fondamentalismo islamico. Acronimo inglese di “Islamic State of Iraq and Sham”, dove per Sham si intende un insieme di territori che comprende Siria, Palestina, Libano e Giordania ndr) Prima erano approcciati dai talent scout delle squadre inglesi, poi furono braccati dagli agenti dell’intelligence inglese. Gli inquirenti ritenevano che il quintetto era in contatto con John il Jihadista, personaggio definito il boia dello Stato islamico protagonista dei video dove decapitò , senza alcuna pietà, molti ostaggi occidentali. I cinque erano sospettati di essere anche produttori e propagandisti di quei filmati. Calcisticamente parlando il più promettente tra loro era Fabio Pocas che aveva giocato nelle giovanili dello Sporting Lisbona, le stesse dove si era distinto Cristiano Ronaldo. Pocas, stando ai giudizi di alcuni allenatori, aveva tutti i numeri per diventare un ottimo  calciatore.
A Londra, l’UK Football Finder Football Club, (un’organizzazione cui possono rivolgersi i giovani calciatori per trovare un ingaggio ndr) gli aveva proposto un contratto da professionista. Preferì l’Isis e il calcio divenne un sogno sbiadito. Su Facebook, Pocas, scrisse “'La guerra santa è l'unica speranza per l'umanità''Se guardiamo al recente passato scopriamo storie di calciatori che, addirittura, hanno partecipato ai Mondiali prima di andare a combattere. Fatah Nussayef è stato il portiere dell’Iraq a Messico ’86. Cadde durante la prima guerra del Golfo combattendo con gli estremisti contro gli americani. Boba Lobilo  vestiva la maglia della nazionale dello Zaire ai Mondiali del 1974. Divenne comandante del 23 marzo, gruppo di guerriglieri congolesi. Talal Jebreen, mediano dell’Arabia Saudita, a USA 1994 fu un membro di Al Quaeda e conobbe anche la durezza delle celle di Guantanamo. Tornato  in patria è diventato allenatore grazie a un programma di riabilitazione per ex-terroristi.

(SEGUE)