Il gioco del calcio, per la sua capacità
di coinvolgere l'entusiasmo di quasi tutti,
è uno degli strumenti più adatti a raccontare
un'epoca
(Gianni Minà)

Le notti di Caracas, da un punto di vista strettamente climatico, sono particolarmente piacevoli. Pare infatti che, in qualsiasi epoca dell’anno, le temperature non superino i 20°C. La notte del 24 agosto 1963, per Alfredo Di Stefano - calciatore argentino, leggenda del River Plate e poi del Real Madrid -, tanto piacevole non fu.
Ma, andiamo con ordine.
L’Hotel Potomac era uno dei più rinomati della capitale venezuelana. Quella sera ospitava il Real Madrid che si trovava in Venezuela per partecipare alla Pequena Copa del Mundo. Conosciuta  anche come Mundialito. Un torneo calcistico organizzato dalla Federazione Calcistica del Venezuela. Manifestazione comunque non riconosciuta dalla FIFA.
Ma, torniamo all’Hotel Potomac. In una delle eleganti camere si trovava Di Stefano. Stava parlando al telefono e, improvvisamente, sentì bussare alla porta. Aprì e si trovò davanti due persone in uniforme.

Procediamo il racconto in presa diretta.
-Buenas noches, en que puedo ayudarlos? 
(Buonasera, come posso aiutarvi ? dice Di Stefano)
-Somos policias y deberia seguirnos al cuartel para investigar?
(Polizia, dovrebbe seguirci in caserma per accertamenti – rispondono i due)
-No entiendo de que hablas…
(Non so di cosa state parlando –risponde piuttosto seccato il calciatore)
-Senor Di Stefano, esto es un asunto de drogas
(Signor Di Stefano, si tratta di una faccenda di droga)

L’asso del Real Madrid li guarda sbalordito e dice che non si muoverà dalla sua camera. I due a questo punto tirano fuori le pistole e lo portano via. Fuori dall’albergo li attende un terzo complice a bordo di una macchina. Non vanno in un posto di polizia, ma in un appartamento privato. L’abitazione di uno dei tre.
-Senor Di Stefano, no pretendemos hacerle dano. Somos tres integrantes de las Fuerzas Armadas de Liberacion Nacional. Somos castristas y luchamos por derrocar la presidencia de Romulo Betancourt.
(Signor Di Stefano, non intendiamo farle alcun male. Siamo tre appartenenti alle Forze Armate di Liberazione Nazionale (FALN). Siamo filocastristi e combattiamo per rovesciare la presidenza di Romulo Betancourt (presidente del Venezuela dal 18 ottobre1945 al 17 febbraio 1948 e dal 13 febbraio1959 al 13 marzo1964 ndr).

Soltanto il mattino dopo i compagni e i dirigenti del Real si accorsero della sparizione del calciatore.
Nel frattempo, il terzetto aveva rivendicato il sequestro del famoso jogador de futbol . La notizia si diffuse immediatamente e non è difficile immaginare il risalto che ebbe su stampa e TV. In realtà era a questo clamore mediatico cui puntava il ‘trio’, affinché facesse da supporto alla  loro predicazione rivoluzionaria.
Di Stefano venne rilasciato due giorni dopo davanti all’ambasciata spagnola di Caracas.

OPERAZIONE JULIAN GRIMAU
Il finale a tarallucci e vino o, se preferite, l’happy ending, del sequestro di persona di Alfredo Di Stefano, cantato in coro dalla stampa di allora con qualche ironica considerazione sulla sprovvedutezza e sul dilettantismo del commando, ci hanno lasciato perplessi.
Ci guida sempre il principio, in questo genere di rievocazioni, che non bisogna mai unirsi a cori, perché c’è sempre il rischio di prendere qualche stecca. 
Proprio rileggendo le cronache del sequestro, salta agli occhi più di un dato che non quadra. Indubbiamente, i tre membri del FALN non vantavano un eccezionale pedigree rivoluzionario. La loro unica azione di rilievo era stata una bombetta piazzata davanti al portone dell’ambasciata americana. Frugando, tra le carte dell’epoca, abbiamo appurato però che il trio aveva dato un nome in codice alla loro impresa: operazione Julian Grimau.
Nel leggere questo nome scatta un flashback della memoria adolescenziale. Il muro del liceo-ginnasio, una scritta in bianco: Grimau libero. Julian Grimau era un’attivista comunista, spagnolo, che era stato giustiziato il 20 aprile dello stesso anno dal regime franchista. Figlio di un repubblicano che aveva combattuto contro i nazionalisti durante la guerra civile.
Quando Franco conquistò il potere, Julian cercò riparo in Sudamerica e poi in Francia. Nel tempo divenne uno dei leader del Partito Comunista spagnolo. Rientrò in Spagna e si dedicò ad azioni di resistenza contro il regime. Agiva sotto falso nome. Fu tradito dalla soffiata di una spia. Qualche giornale avanzò l’ipotesi che a farla fu addirittura il segretario del Partito Comunista spagnolo Santiago Carrillo. Rivalità interne? Leadership minacciata? La vicenda non fu mai approfondita e finì nel porto delle nebbie.
Grimau, dopo un processo farsa, venne giustiziato. Il mondo civile, organizzazioni di vario ordine e grado, in tutto il mondo, nel corso di cortei e manifestazioni, chiesero al governo spagnolo di graziare Grimau.
Ecco perché, nella mia memoria, è apparso quel muro con quella scritta. Franco ignorò ogni appello e ordinò l’esecuzione di Julian.
Di Stefano era un personaggio celebre collegato, presumibilmente suo malgrado, al regime del dittatore spagnolo che stravedeva per il suo talento e che lo portò, come vedremo, al Real Madrid con un atto d’imperio. Per i tre rivoluzionari era, in qualche modo, il simbolo di un mondo contro il quale si battevano.
Uno dei rapitori fu Paul del Rio Canales, cubano di nascita. Pittore, scultore che seguì tutte le correnti artistiche del ‘900, modernismo, cubismo e surrealismo. Aderì, negli anni ’60, anche al movimento sandinista in Nicaragua. Verso la fine della sua carriera e con l’avanzare di quella stagione della vita che richiede approdi tranquilli e meno avventurismi, si avvicinò al potere. Scolpì l’opera denominata Mano Mineral in onore dell’OPEC (organizzazione che riunisce i produttori di petrolio).
Nella vita succede: si parte incendiari e si finisce pompieri.

SAETA RUBIA
Saeta Rubia (Freccia bionda), così era soprannominato, dalla tifoseria adorante, Di Stefano. Era il giocatore prediletto di Francisco Franco. Fu il ‘Caudillo a portarlo al Real. 
L’asso argentino doveva andare al Barcellona. Era stato già siglato un accordo preliminare, ma la longa manus franchista ebbe la meglio su tutto. Il Real Madrid era la squadra più vicina al regime e doveva ingaggiare il talentuoso calciatore, a qualsiasi costo.
Si mise in luce nel River Plate. Gli addetti ai lavori intuirono subito che il biondino è un talento naturale, dà del tu alla palla. L’Argentina, però, viveva un periodo difficile. L’economia era ferma. Gli scioperi si susseguivano e coinvolgevano tutti i settori della vita sociale. Si fermò anche il campionato nazionale. Di Stefano decise di trasferirsi in Colombia al Milionarios Club di Bogotà. La società non faceva  parte della Federazione Colombiana, ma di un nuovo progetto, finanziato da facoltosi imprenditori. Si chiamava Dimayor (Division Mayor del Futbol Colombiano). Non riconosciuta ovviamente dalla FIFA. Insomma, una Superlega che agiva ai limiti della legalità.
Di Stefano, consapevole dei suoi mezzi, capì che la cosa non funzionava. Decise di lasciare la Colombia.
Subito Penarol, Juventus, Barcellona e Real Madrid si attivarono per ingaggiare l’asso argentino. Il club catalano, come in una partita di poker, aprì per primo contattando il River Plate. Ma il potentissimo Santiago Bernabeu, presidentissimo dei blancos, replicò con la sua potentissima abilità manovriera. Per rendere l’idea della potenza del personaggio dovete immaginare una sorta di Talleyrand del calcio.
Ci siamo capiti!

UN CLASICO SUL MERCATO
Di Stefano scelse il Barcellona. I dirigenti catalani avevano in mano l’asso vincente: l’accordo preliminare siglato con il River Plate. Un indubbio vantaggio nella trattativa.
Però, come diceva Talleyrand, il diavolo è nel dettaglio. Santiago Bernabeu ha sempre saputo giocare bene le sue carte e il contesto storico era la sua carta vincente. Siamo negli ’50 e la Spagna era sotto una dittatura che lasciava pochissimi spazi di libertà. Franco, come abbiamo visto, non amava la Catalogna. I dirigenti del Barcellona non godevano di grande stima presso i vertici della Federazione Spagnola. La strategia del Talleyrand del calcio spagnolo, per indurre il tifosissimo caudillo ad utilizzare il suo potere per far saltare il banco, era semplice. Fece leva sull’orgoglio di castigliano e di ultrà del Real.
Si può immaginare cosa disse: “Generalissimo, se la Spagna e il suo calcio sono destinati ad avere risonanza all’estero, è bene che questa missione sia veicolata attraverso una società calcistica vicina al potere centrale“. 
A questo punto s’impone una considerazione. Il Real Madrid, in quegli anni, non era la compagine galattica dei nostri giorni. Considerate il fatto, per capire meglio, che, prima dell’ingaggio di Di Stefano, i blancos avevano vinto un solo campionato, nel 1933. La strategia di Bernabeu non era solo volta a forzare la mano per portare, con le buone o con le cattive, Di Stefano a Madrid. In quell’incontro si gettarono le basi per costruire la squadra-vetrina. La compagine-testimonial della forza del regime.
Di Stefano era solo l’inizio
.

L’ABILISSIMA MANOVRA DI BERNABEU
Di Stefano il 20 maggio del 1953 partì per Barcellona.
La Federazione spagnola si affrettò a spiegargli che non poteva giocare in partite ufficiali e nemmeno amichevoli. Perché, gli spiegò la Federcalcio iberica, l’accordo con il River Plate valeva per la stagione 1954/55. Per il campionato in corso occorreva trovare un’intesa con il  Milionarios di Bogotà.
Ecco il dettaglio del diavolo. Su questo aspetto, a prima vista marginale, s’inserisce la strategia madrilena.
Bernabeu s’insinuò nella trattativa e cominciò il lavorio sotto traccia.
Nel frattempo il River Plate, il 7 agosto 1953, comunicò ufficialmente la cessione dell’argentino al Barcellona. Il 15 dello stesso mese, il Barcellona rese noto l’ingaggio. Ma, nello stesso giorno, Bernabeu trattò direttamente con il presidente del Millionarios e chiuse la trattativa per il passaggio dell’asso argentino al Real Madrid.
Giusto rilevare che l’accordo non era legale. Occorreva il via libera del River Plate.
A questo punto il colpo di scena.
La Delegazione Nazionale degli Sport annunciò la chiusura delle frontiere ai calciatori stranieri. Motivo? Danneggiavano il patrimonio calcistico nazionale.
Ma, non era ancora finita. Enric Martì, presidente del club catalano, venne convocato da Sancho Davila, presidente della Federcalcio spagnola. Un colloquio che, ovviamente, non fu mai reso pubblico. Martì, si è appurato molti anni dopo, per evitare ritorsioni economiche e personali, fu costretto ad accettare i termini dell’accordo proposto.
In pratica, Di Stefano avrebbe giocato per il Real Madrid nelle stagioni 1953/54 e 1955/56. Nei campionati 1954/55 e 1956/57 avrebbe giocato con i blaugrana. Il blocco agli stranieri fu immediatamente revocato
Il 15 settembre, l’argentino firmò per i blancos e debuttò il giorno dopo.

Martì rassegno le dimissioni e l’alternanza del calciatore tra le due società non si realizzò mai. La dirigenza madrilena, nel giro di qualche settimana, propose a quella catalana l’acquisizione delle restanti stagioni. Al Barcellona non restò che accettare. L’accordo prevedeva la possibilità di trattativa tra le due società, ma non con società terze.
La regola del potere logora chi non ce l’ha era ben conosciuta anche in Spagna e Bernabeu l’ha sempre osservata.

(Segue)