"Sta iniziando la stagione del calcio. Per inerzia
faccio il tifo per lo Zenit, anche se questo attaccamento
a volte mi procura più amarezze che gioie.”
Dmítrij Šostakóvič

Lo Zenit di San Pietroburgo – ex –Leningradoè una squadra che noi italiani conosciamo, più o meno bene, per via di una certa manodopera calcistica nostrana che, dalle parti della Prospettiva Newskij (strada principale, fulcro e anima di San Pietroburgo, cantata anche dal nostro Franco Battiato n.d.r)  ha dimorato e, in qualche modo, ben lavorato alle dipendenze della società pietroburghese.
Facciamo qualche nome.
Luciano Spalletti (ha vinto la Premier Liga sovietica), ci ha giocato Claudio Marchisio, appena svincolato dalla Juve e anche il nostro attuale conducator azzurro Roberto Mancini. Questa creatività calcistica italiana, approdata a San Pietroburgo, ci piace immaginare che sia, più o meno, l’eredità degli architetti di scuola italiana che progettarono questa incantevole città. Artisti fieri e ardenti – disse di loro il pittore Pikarev come l’Italia e il suo cielo.
Ma, andiamo con ordine. Scopriamo come nasce e si evolve lo Zenit, la squadra del cuore di Sostakovic.
Vi diciamo subito che non è stato facile districarsi nel vasto magma di fonti, nomi che cambiano di continuo, vicende varie, non sempre pacifiche, che scuotevano la bella e sonnacchiosa città che, come un Narciso, si specchia nelle acque della Neva.
Cominciamo a fissare qualche data. Inizi del XX secolo, diciamo anno più, anno meno. Lo sport nasceva nei dintorni di acciaierie e centrali elettriche. Il calcio arriva a San Pietroburgo (allora si chiamava Pietrogrado) verso la fine dell’Ottocento. Come da noi, in Italia, anche a Pietrogrado il calcio lo portarono gli inglesi. Si organizzarono tornei amatoriali con la partecipazione di squadre e squadrette. Alla vigilia della 1a Guerra Mondiale, una di queste, Murzinka il suo nome, gettò le basi per la nascita del futuro Zenit.

CALCIO, ACCIAIO E GAS
Uno dice Murzinka e subito viene in mente una canzone popolare russa tipo Kalinka, accompagnata dal suono di una balalaica.
Invece no,  era una squadra di calcio nata nel 1914 presso l’acciaieria Oburkhov. Una formazione di operai ,aspetto questo  non trascurabile dal momento che, grazie a questa estrazione sociale, la squadra passò indenne attraverso la Grande Guerra, la Rivoluzione d’Ottobre, che non fu propriamente una robetta, e alla Guerra Civile del 1918. Arriviamo così al 1924. Ora Pietrogrado si chiama, ovviamente Leningrado.
Il vento della rivoluzione soffiava forte e spazzava via abitudini e usanze del passato. Quindi anche Murzinka, abbandonò il suo melodioso nome e divenne  -  più in linea con i tempi - Bolshevik nome che non ha bisogno di tante spiegazioni. O no? Poiché rivolgimenti e, di tanto in tanto, rivolte, rivoluzioni, guerre o operazioni speciali, secondo una terminologia in voga, sono attività che la Russia non si è mai fatta mancare, anche Bolshevick si dovette adeguare al nuovo corso rivoluzionario.
Nel 1936, siamo in pieno regime del terrore, le purghe staliniane annientano le opposizioni e sul paese cala una cappa grigia, cupa di cieca adesione ai nuovi dogmi. Per farla breve, il Bolshevik venne sciolto e i suoi calciatori collocati nella Zenit sport society, la corporazione sportiva che comprendeva tutti gli atleti russi e che si occupava dell’educazione fisica del paese.
Leningrado ebbe anche un’altra squadra di calcio. Manco a dirlo si chiamava Stalinets, nata nelle officine metallurgiche della Leningradsky Metallichesky Zavod (LMZ), il più grande produttore di macchine e turbine per centrali elettriche della nazione. Ad ogni modo, non erano anni facili per il calcio russo. Nel 1936 arrivò il primo campionato, ma lo Zenit non vi partecipò.
Nel 1939, la svolta. Soffiavano venti di guerra in quell’anno e la LMZ fu incorporata dall’industria militare. Fc Zenit e Stalinets furono fuse e nacque così lo Zenit di Leningrado. La partenza, nel massimo campionato, non fu brillantissima. Il primo alloro, nel 1944, con la Coppa dell’Urss, vinta battendo in finale il Cska Mosca. Seguirono anni mediocri con piazzamenti tra il 6° e il 13° posto. Nel 1967, addirittura, all’ultimo posto. Ma, siamo nell’anno in cui si celebra il 50°’anniversario della presa di Pietrogrado da parte dei Bolscevichi, il regime ordinò che l’onta della retrocessione andava evitata a qualsiasi costo. Solo negli anni ’80 lo Zenit cominciò ad assaporare qualche soddisfazione. L’anno top fu il 1984 con il “triplete” nazionale: successo in campionato, coppa e supercoppa sotto la guida tecnica di Pavel Sadyrin. Nel ’91, anno della dissoluzione dell’URSS, il club assunse il nome di Zenit San Pietroburgo. Nel 2000 comincia l’era Gazprom, ma questa è un’altra storia.

LA DYNAMIADE
A 23 anni, Sostakovic, studia al Conservatorio. Si dedica alle sue passioni - musica e calcio - con grande costanza e dedizione. Collabora con il regista teatrale Mejerchold, che è impegnato nell’allestimento di Dynamiade, un balletto che andrà in scena nel prestigioso Kirov Ballet di Leningrado: Sostakovic è in vacanza nel Caucaso e lavora alla musica della rappresentazione... Il libretto è firmato dal regista cinematografico Alexander Ivanovsky. Dal nome del balletto si evince chiaramente che il tema dell’opera è imperniato sulla squadra di calcio Dinamo.
La trama, non priva di ammiccamenti propagandistici, ruota intorno a una squadra di calcio russa che deve esibirsi all’Esposizione Universale di una capitale europea non identificata definita U-town, che vive giorni cupi per via del regime fascista che l’opprime.
La squadra sarà testimone della decadenza e della crudeltà del capitalismo e a causa delle perfide manovre di un provocatore finirà in prigione. Ma, poi agli eroi-calciatori viene restituita la libertà e si batteranno sul campo di gioco.
Non manca la love story. La ginnasta, figlia di un diplomatico, che s’innamora di un dei giocatori. Poi, naturalmente, gli spettatori. Tutti appartenenti alla classe operaia che portano in tripudio gli eroi della Dinamo. Ma, la vera genialata che alza di tono dello  spettacolo è di Sostakovic. Era da poco stato in Germania dove aveva  assistito a rappresentazioni di jazz, cabaret e ballabili. Tutte esperienze che riversa  nella musica del balletto con risultati di grande effetto. Fa iniziare la partita di calcio con un colpo di fischietto e giù xilofoni, tromboni glissanti, percussioni. Per rappresentare la decadenza capitalista ricorre a ritmi di varia estrazione. Fa un arrangiamento di Tea for two che diventerà uno dei suoi pezzi più popolari.

L’ETA’ DELL’ORO
Su Dynamiade, Sostakovic, dopo la prima, ne disse di cotte e di crude. Pretese e ottenne il cambio del titolo, fu così che il balletto in seguito si chiamò l’Età dell’oro. Il compositore criticò anche il libretto dell’opera. Dopo 20 repliche la rappresentazione subì recensioni severe per via del suo modernismo, grave peccato per quei tempi, e venne tolta dal cartellone. In realtà stava accadendo qualcosa che, in quel tempo e con quel regime, accadeva e accadrà, negli anni a venire, anche a tanti altri artisti e intellettuali: le cosiddette purghe staliniane riguardarono pesantemente l’intellighenzia russa.
La cancellazione dello spettacolo fu il segnale che il compositore pietroburghese era finito sotto la lente della censura stalinista. Strano che tanta occhiuta attenzione venisse rivolta a un’operina ispirata al calcio. Sostakovic non solo era un tifoso, ma di calcio, stando a quello che si legge nelle lettere e alle dichiarazioni della figlia Galina, se ne intendeva veramente. Sapeva a memoria i nomi di tutti i giocatori. E’ stato ritrovato, tra le sue carte, dopo la morte, un album dove annotava formazioni, schemi e cronache. Nell’epistolario, pubblicato dal Saggiatore, si possono leggere due lettere, datate 1940, indirizzate all’amico pittore Lebedev con la cronaca di due incontri. Il primo Dinamo Leningrado - Ali dei Soviet Mosca 1 – 0.  Lokomotiv Mosca-Zenit Leningrado 1-6. Se lo Zenit continuerà a giocare così - scrive della sua squadra del cuore - ci sono speranze di arrivare in serie A. Le lettere rivelano un’eccezionale competenza calcistica.
Qualcuno ha raccontato che capitò che il musicista sostituisse un amico cronista che, per aver alzato troppo il gomito, dovette rinunciare di andare allo stadio. Le disavventure del compositore, con il regime dominante, erano dovute al fatto che, nella stesura musicale dello spettacolo, c’era ironia, divertimento puro e brani di provenienza estera non gradite dal governo. Sostakovic, in sostanza, lasciò intendere che dimostrare la superiorità del mondo sovietico sul capitalismo occidentale attraverso il calcio non stava né in cielo né in terra.
Lui di futbol se ne intendeva. Quelli del Cremlino no.
Il calcio sovietico, tanto per dirne una, non si era ancora ripreso dalla terrificante batosta alle Olimpiadi del 1912 a Stoccolma, contro la Germania 16 a 0! Roba da andare a nascondersi per tutta la vita.
La nazionale russa, poi, giocava con uno schema tattico vecchissimo: centromediano e cinque attaccanti in linea. La squadra più forte dell’URSS, Spartak di Mosca, nel 1936 fu battuta a Parigi dal Racing per 2 a 1 che praticava un gioco più evoluto, con il W in attacco. 

(SEGUE)  

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Sostakovic, il musicista ultras (Parte I)