“Non potrà mai essere raccontato niente di tutto questo,
perché chi assiste e sopravvive a cose simili resta muto
e i morti, dal canto loro, non possono parlare. Sono cose
che non si dicono, ma si dimenticano. Se infatti non si
dimenticassero, come potrebbero ripetersi?”
(Da Il ponte sulla Drina di Ivo Andric)

Barcellona 1982, sabato pomeriggio inoltrato. Le prime ombre della sera calano lentamente; una nuvola indugia nel cielo e filtra gli ultimi raggi di sole di una giornata splendida come lo sono quasi tutte quelle che il buon Dio manda sulla  terra dell’incantevole capitale catalana. Siamo nel quartiere Les Corts, situato nel distretto di Sarria-Sant Gervasi. Un quartiere di classe, dignitoso e pacifico. Qui si trova un luogo mitico. Il tempio dei blaugrana: il Camp Nou dove, nel primo pomeriggio, si è disputata una partita. Da una porta laterale del tempio esce un uomo alto, dinoccolato, capelli lunghi. Si ferma un attimo, si accende una sigaretta e soffia il fumo verso l’alto e così coglie la visione della sfumatura azzurra che lentamente sta ispessendo la sua colorazione in un blu intenso, dove, tra qualche ora, si appunteranno le prime stelle della notte. Si stacca dalla visione  celestiale - è proprio il caso di dirlo -  e si trova davanti due uomini.

-Senor Menotti, permite una palabra?
( Signor Menotti, permette una parola?)
Si, si me dices quien eres por favor
(Si, se mi dite chi siete)
-No importa quiènes somos, senor.Importa en nombre de quièn vinimos a verlo
(Chi siamo non ha importanza, senor, importa   per conto di chi siamo venuti a trovarla)
Il tono è brusco, quasi minaccioso
-De què estàs hablando?
-(Di chi parliamo?)

-Una persona importante quiere invitarte a cenar. Estamos aquì para llevarte a èl
(Una persona importante vuole invitarla a cena. Noi siamo qui per portarla da lui)

Muchas gracias, pero non tengo ganas esta noche
(Vi ringrazio moltissimo, ma stasera non me la sento)
-Senor Menotti il nuestro patron no acptarà a un no por respuesta…
(Signor Menotti… il nostro datore di lavoro non accetterà un ‘no’ come risposta)
Il tono, anche se mitigato da una cordialità fredda e distaccata, è di quelli che non ammettono rifiuti.
-A donde vamos?
(Dove andiamo)

-A el Prat senor...si quiere sentarse en el coche…
(A el Prat (aeroporto di Barcellona ndr) se vuole accomodarsi in macchina…

Giungono in un hangar dove c’è un jet privato con i motori accesi. Prima di salire a bordo Cesar Luis Menotti, neo allenatore del Barcellona, dice ai suoi due angeli custodi che accetta di salire a bordo a patto di essere riportato indietro lunedì mattina, giorno di allenamento dei blaugrana. In quella squadra giocavano allora Diego Armando Maradona e il tedesco Bernd Schuster.

DA BARCELLONA A MEDELLIN
Menotti, viene bendato. Quando l’aereo tocca terra gli dicono che può togliersi la benda. Il jet plana su un’immensa aia di una fattoria enorme. Ai piedi della scaletta c’è un uomo sorridente. Lo accoglie gentilmente. Menotti, quando si avvicina, sa di averlo già visto. Ha una fisionomia nota, una foto sul giornale… forse. Ma certo è…
-Bienvenido a mi casa senor Menotti, permitame presentarme: Pablo Escobar
(Benvenuto a casa mia, signor Menotti, mi permetta di presentarmi: Pablo Escobar)
Pablo Escobar,
leader del cartello di Medellin e del traffico mondiale della droga.
Cosa voleva da Menotti? Secondo il giornalista messicano Christian Martinoli, che qualche anno fa rivelò questo episodio della vita di Menotti, mai venuto prima alla luce, Escobar propose al Flaco (il sottile, nomignolo affettuoso di tifoseria e stampa ndrdi allenare il Nacional Medellin. Squadra per la quale Escobar nutriva una passione profonda e che, naturalmente, sovvenzionava senza badare a spese.
Durante la cena non fece altro che parlare di questa compagine e delle grandi prospettive che secondo lui aveva, anche in ambito internazionale. Alla fine del lungo discorso, tirò fuori un contratto e disse a Menotti.
-Esta hoja es para ella. Esta en blanco, pon la cantidad que quieta y ven a entrenar a Nacional Medellin. Por favor
(Questo foglio è per lei. E' in bianco, ci metta la cifra che vuole e venga ad allenare il Nacional Medellin. La prego).

Chiunque altro, diciamoci la verità, visto il personaggio con cui aveva a che fare, avrebbe accettato immediatamente. Menotti, però, era fatto di un’altra pasta. Il coraggio non gli mancava. Con calma restituì il contratto e disse.
-Ella tiene muchos suenos, eso se nota. Pero yo tambien los tengo y ahora mismo sueno es entrenar al Barcellona. Estoy seguro de que ella me entenderà.
(Lei ha molti sogni si vede. Ma li ho anch'io e in questo momento il mio sogno è quello di allenare il Barcellona. Sono sicuro che lei mi capirà).
Lunedì’, Menotti ritornò a Barcellona e si recò al Camp Nou per dirigere l’allenamento dei blaugrana.

SCARLATTI E VIVALDI
Bill Shankly
, compianto allenatore del Liverpool, che sotto la sua guida percorse un ciclo vittorioso, mai ripetuto, disse una volta a un giornalista che gli chiedeva una stringata definizione di foot ball: Il calcio è come un pianoforte: otto persone lo caricano in spalla e tre sanno suonare quel dannato strumento.”
Cesar Luis Menotti, amava suonare al pianoforte Scarlatti e Vivaldi e, naturalmente, sapeva ‘suonare’ lo strumento calcio. Se ci è consentito un paragone – o per dirla alla Virgilio si parva licet – così come Vivaldi innovò profondamente la musica tra il 1600 e il 1700 cambiando completamente la musica barocca italiana e rivitalizzò  la struttura formale e ritmica del concerto aggiungendo molti contrasti armonici e melodie insolite, Menotti sperimentava e innovava - da un punto di vista calcistico - attraverso l’efficacia della bellezza, come amava dire lui stesso. “La Fiorentina dovrebbe giocare secondo i tratti di Michelangelo  o il genio di Leonardo - disse dopo aver visto una partita dei gigliati  - perché quello è il suo patrimonio e quello deve essere il suo stile”.
Rifiutava lo “stile europeo” sempre più prevalente nelle idee calcistiche del Paese.

VIVERE LA FELICITA'
La  sua missione non si è fermata all'età di 39 anni dopo aver vinto la  Coppa del Mondo nel 1978. Il suo amore per il gioco lo ha trasformato in una mente del calcio. “Sono innamorato delle cose che voglio. Ero un giocatore di calcio che sognava con un pallone, come qualcun altro sogna con una chitarra”.
Menotti, nel corso di un’intervista a DIRECTV Sports Argentina quando gli è stato chiesto se fosse difficile essere quello che era ha risposto: “Ho sognato di vivere la mia felicità, e la mia felicità era giocare a calcio. Sono nato in campo e ho imparato tutto su di esso”. “El Flaco” ha sempre pensato al calcio come uno spettacolo diretto alle masse e sostenuto dalle masse. Inoltre, come "un evento culturale in cui i giocatori possono esprimersi attraverso la bellezza di questo sport". Per Menotti una squadra è come un'idea, un impegno e una chiara convinzione per difendere quell'idea".
Tuttavia, non tutti trionfano nel mondo del calcio perché non tutte le idee hanno un senso. Amante delle sfide e dei rischi, Menotti ha sempre criticato la filosofia della vittoria a tutti i costi. I modi contano nel gioco più bello del mondo, ecco perché persone come Johan Cruyff, Rinus Michels e Pep Guardiola erano inseparabili dalla sua concezione del calcio: “Quando il calcio viene giocato nel modo giusto, come la pittura, come la musica, tende ad essere qualcosa di bello. E se quell'idea non viene sostenuta, svanisce.” Ha sempre sostenuto che "i soldi non influiranno sullo sport fino a quando i giocatori non decideranno di ignorare la natura del gioco.”
Spesso, a sostegno delle sue tesi, tracciava un confronto tra l’essenza del calcio e la musica. “Non mi interessa quanti soldi guadagna Joan Manuel Serrat (cantante a cantautore spagnolo ndr). Quello che  interessa è che lui creda ai testi che ha scritto. Il giocatore dovrebbe entrare in campo sentendo che la sua anima rappresenta la passione del pubblico che sostiene il business dello sport".

IL MENOTTI ‘POLITICO’
Cesar Luis Menotti è stato un socialista per tutta la vita. Una convinzione politica nettamente in contrasto con la dittatura militare di destra. Su queste divergenze ideologiche si è molto scritto, soprattutto sul rapporto con il generale Videla. Quando la dittatura finì rivelò, nel corso di diverse interviste, di aver incontrato di nascosto alcuni dirigenti del Partito Comunista Argentino per parlare di lotta armata durante il Mondiale e di aver nascosto in casa sua alcuni oppositori. Ma è giusto anche rilevare che el Flaco ebbe un ruolo consistente nel promuovere l’immagine dell’Argentina dei generali, con cui spesso flirtò in maniera ambigua. Nella sua autobiografia ha scritto che il calcio della sua Albiceleste richiamava alla mente quell’Argentina libera e creativa che era esistita prima della dittatura, ma in realtà la fisicità del gioco di quella Nazionale e la rigidità degli allenamenti di Menotti piaceva al regime, che li metteva in diretta contrapposizione con l’idea stereotipata di alcune Nazionali europee, come l’Olanda e alla Scozia, che erano associate al lassismo della droga e dell’alcol.La verità presumibilmente  è che  la junta era perfettamente a conoscenza delle sue idee politiche ma, semplicemente, non se ne interessò più di tanto D’altronde, è anche vero che certe sue prese di posizione furono nette e senza tentennamenti. Come il discorso che tenne alla squadra prima dell’inizio della finale. «Siamo il popolo, veniamo dalle classi oppresse e rappresentiamo la sola cosa che ha legittimità in questo paese: il calcio. Non stiamo giocando per le tribune di lusso, pieni di ufficiali dell’esercito. Rappresentiamo la libertà, non la dittatura».

WELTANSCHAUUNG MENOTTIANA
Potrà sembrare eccessivo ricorrere a un termine che proviene dalla filosofia tedesca – Weltanschauung o visione del mondo – ma, oggettivamente, a noi pare il più immediato per meglio esplicitare la visione del mondo del calcio di Cesar Luis Menotti.
Il suo dogma calcistico aveva, ovviamente, un sostrato politico. “C'è un calcio di destra e un calcio di sinistra - disse  una volta -. Il calcio di destra vuole suggerire che la vita è lotta. Richiede sacrifici. Dobbiamo diventare d'acciaio e vincere con qualsiasi metodo... obbedire e funzionare, questo è ciò che chi ha il potere vuole dai giocatori. È così che creano ritardati, utili idioti che vanno con il sistema”.

Oggi Menotti ha 84 anni e, circa tre anni fa, scoprì di avere uno spirito affine nel mondo calcistico: Pep Guardiola. I due, a quanto pare, si incontrano regolarmente. In comune hanno molte cose, in primis ovviamente il modo giusto di giocare. Per Menotti, Pep è il Che Guevara del calcio.
"Ho sempre detto che un rivoluzionario vince o muore nella lotta e l'idea di Pep rimane ferma. Non la cambierà mai: vuole giocare bene, vuole possedere lo spazio e vuole il controllo della palla".

(Fine)

clicca qui per la prima parte: 
Argentina '78, il Mundial Desaparecido (Parte I)