Nulla ha peso senza mistero,
senza una nebbia che lo avvolga
(Javier Marias, scrittore spagnolo)

21 maggio 1968. Aeroporto G.Marconi di Bologna

C’era un’animazione festosa, in quella limpida mattinata di primavera avanzata, all’aerostazione  di Bologna. Bandiere rossoblu sventolavano  nei pressi delle transenne che delimitavano l’imbarco per il volo diretto a Budapest. Un boato accompagnò l’ingresso, al gate,  di un signore alto,occhiali neri da sole,  soprabito leggero, portato con disinvoltura sulle spalle, quella nonchalance che fa eleganza, una vaga somiglianza con un attore americano che, in quegli anni, andava forte John Wayne. Era Giuseppe Ferruccio Viani, per gli amici Gipo, professione allenatore-Direttore Tecnico. Dietro di lui, in fila indiana, come tanti studenti in gita scolastica, Giacomo Bulgarelli, Ezio Pascutti, il biondissimo Haller, Janich…erano  i calciatori dello squadrone che tremare il mondo fa, come sosteneva un antico mantra della tifoseria felsinea. La squadra partiva per Budapest per giocare la  semifinale di Coppa delle Coppe contro il Ferencvaros.Una volta a bordo, Gipo, tornato nella sua amata Bologna dal 1966. prese posto accanto a Giampaolo Dalmastri, medico sociale dei bolognesi. Era reduce dai trionfi rossoneri culminati nel 1962 con la conquista della Coppa dei Campioni a Wembley. Con Nereo Rocco allenatore e lui scafatissimo e astutissimo Direttore Tecnico. Gipo appariva  più taciturno del solito. Dalmastri, ricorderà anni dopo, che il silenzio, in realtà, era il preludio di una qualche rivelazione che il navigato pokerista aveva voglia di fare. Ottima intuizione da medico aduso all’osservazione di sintomi e segnali. Com’è e come non è i due cominciarono, lentamente, a chiacchierare e, soprattutto, a rievocare.  Si finì,pertanto,  a un certo punto, a parlare di quel convulso campionato del 1964, quello del doping. Quell’anno, Gipo, era al Milan.

C’ENTRA IL MILAN, NON L’INTER

Giampaolo, ascoltami e ascoltami bene. Sto per farti una rivelazione clamorosa…

Dalmastri, lo guardò in tralice…con un mezzo sorriso ironico. Conosceva bene il personaggio. Amava i colpi di scena come tutti gli attori bravi e Gipo lo era.
-Ti ascolto…Gipo….
“ Tutti accusano l’Inter per il caso del doping, ma invece sai che c’è? Io…insomma so che c’entra il Milan..”Lo disse tutto d’un fiato e con un  sorriso guascone che poi era il suo autentico e inimitabile marchio di fabbrica. Dalmastri raccontò l’episodio solo nel 1998 nel corso di un’intervista a un giornale bolognese. Certo, la rivelazione fu clamorosa, ma se proprio dobbiamo trasformarci in detective e dire come la pensiamo al riguardo ci corre l’obbligo di vagliare ragionamenti e manifestare qualche perplessità. E poi fare la tara sia con i primi che con le seconde. Allora, per la verità,  sin da subito i sospetti si concentrarono sul Milan. Nel covo storico della tifoseria felsinea, bar Otello di via Orefici, non ci furono dubbi. “ E’opera di quel maneggione di Gipo Viani – sentenziò il sinedrio del tifo rossoblu. Lo conoscevano bene. Era stato alle dipendenze di Dall’Ara dal 1952 al 1956: Ma, perché l’avrebbe fatto? E qui entriamo nel campo delle ipotesi non suffragate dai fatti, ma solo da sensazioni e sospetti. Vale a dire che è come procedere al buio e bendati. Però proviamoci lo stesso. Un’indagine seria non deve trascurare nemmeno il più insignificante dei dettagli. Nereo Rocco, dopo la conquista della Coppa dei Campioni, lasciò il Milan e andò al Torino. Volle mantenere l’impegno che, alcuni mesi prima, aveva preso con i granata. Viani rimase solo a Milano. Si disse che non l’aveva presa bene, anzi, diciamo meglio che proprio non l’aveva digerita. Prese l’impegno con se stesso di dimostrare al Paron che il Milan avrebbe vinto lo scudetto anche senza di lui. A qualsiasi costo! Anche a quello di fermare il Bologna con mezzi decisamente illeciti? Si, decisamente. Parliamoci chiaro il tipo ne era sicuramente  capace. Gli scrupoli non erano frequentatori abituali della coscienza dello spregiudicato Gipo.

ALTRE IPOTESI AL VAGLIO

Procediamo nella nostra indagine. Mettiamo da parte, per ora, Gipo Viani – che comunque rimane il principale indiziato – anche perché c’è di mezzo una confessione, ovvero, come dicono gli addetti ai lavori, la regina delle prove. Però prima  valutiamo altri aspetti. Torniamo alla domenica del 2 febbraio, quella del 4 a 1 contro il Torino di Nereo Rocco,la partita da cui scaturì il giallo della pipì, come fu infelicemente definito dalla stampa di allora. Vagliamo i movimenti della squadra in quella fatale domenica. Si pranza alle 11 ( allora le partite si giocavano alle 14,30) al Pappagallo in brodo. Ristorante di un certo tono e prestigio. Lo cita  Giorgio Bassani ne Il giardino dei Finzi Contini. Diamo un’occhiata al menù. Cerchiamo di capire dalle pietanze se qualche ingrediente abbia potuto innescare una reazione metabolica che poi ha prodotto qualcosa che l’analisi ha rilevato come dopante. Riso al burro, filetto di bue ai ferri, contorno di spinaci, cicoria e insalata verde, pere cotte, acqua gassata e un bicchiere di Sangiovese a testa, niente caffè, né digestivo. Un pranzo da convento francescano nel periodo della quaresima.  Interroghiamo il proprietario. Sentiamo cosa ci dice. “ I camerieri sono tutti tifosi del Bologna. Per quanto riguarda le pietanze poi non ne parliamo proprio. Bernardini, sul cibo servito, è di una pignoleria assoluta. Se il riso non è al dente o la carne non è cotta a puntino rimanda tutto in cucina”.

Ma, - chiediamo - Qualcuno avrebbe potuto versare qualcosa nei piatti durate il tragitto dalla cucina ai tavoli?
-Lo escludo categoricamente. Il tragitto è troppo breve.”
Dopo pranzo che cosa accadde? L’intera squadra si trasferì alla pasticceria Gamberini, in via Ugo Bassi. Cosa consumarono i giocatori ? Cinque caffé normali, tre caffé corretti al Fernet e un amaro Ramazzotti: anche qui, nulla di sospetto. Decisamente pranzo domenicale  e digestivo come una normalissima famiglia borghese. Niente di peccaminoso. Poi vanno  allo Stadio dove il Torino del Paron, che viaggia a metà classifica, si becca quattro brucianti sberle.

PROFILING DI GIPO VIANI

Torniamo al principale indagato. Proviamo ad abbozzarne un ritratto…pardon, visto il contesto faremmo meglio a dire profiling così entriamo subito nel climax investigativo. Giuseppe Ferruccio Viani, detto Gipo, era nato a Nervesa della Battaglia (Treviso) Il 13 settembre del 1909. Qualche teste malizioso, da noi interpellato, ci ha detto che forse, dato il personaggio, sarebbe stato meglio dire nato a Nervesa dellaBottiglia. Insinuazione che abbiamo prontamente respinto e ci siamo focalizzati solo sulle reali capacità e attitudini del Viani. Vi diciamo subito che il personaggio, stando alla documentazione in nostro possesso, non è stato un comprimario del  mondo del calcio, ma un attore-protagonista. Non certo come calciatore  anche se ha giocato nell’Inter e nella Juve. Il meglio lo ha dato come allenatore e direttore tecnico. Lo chiamavano Lo sceriffo e a guardarlo faceva un po’ paura 1,93 per 83 chili di peso e usava le mani, nel senso che menava e anche forte. Aveva 17 anni e la campagna trevigiana gli andava stretta. Giocava nel Treviso, grazie al fisico imponente aveva una buona visione di gioco e sapeva gestire il pallone. Voleva fare l’avvocato, ma allora, per studiare occorrevano schei che la famiglia non aveva e che il Gipo voleva a tutti i costi. Così, di nascosto al padre e d’accordo con la madre se ne scappò  a Milano. Fu ingaggiato, come mezzala, dall’Ambrosiana, ma l’allenatore nerazzurro, l’ungherese Viola, lo impiegò come centromediano metodista. Fu una felice intuizione tattica. Nel 1930 i nerazzurri vinsero lo scudetto e così cominciò a maneggiare i primi schei. Il Gipo aveva una gran sete di vita e già allora Milano offriva le sue tentazioni. E si sa come vanno queste cose…la carne è debole. Viani, d’altronde,   condivideva la teoria  di Oscar Wilde: il miglior modo per evitare le tentazioni e cedervi. E lui  si arrese a tutte: gioco, alcol e donne. Stile di vita non in linea con lo status fisico e atletico del calciatore. A 23 anni, l’Ambrosiana gli notificò che non aveva più bisogno delle sue prestazioni. Passò quattro stagioni alla Lazio, più una a Livorno e si concesse una comparsata di cinque partite nella Juventus ’39-40.

VIANEMA, POKER E DONNE

Nel 1940, in Italia, soffiavano forti i venti di guerra. Gipo aveva 30 anni e si ritrovava con un fisico che cominciava a perdere colpi. Per dirla spiccia, come calciatore non lo voleva più nessuno. Bussò alla porta dell’amico Ottorino Barassi, presidente della Federcalcio. Gli consigliò di fare l’allenatore. Gipo rispose a modo suo:” È come consigliare a un ladro disoccupato di fare il questurino”.Ma, alla fine, ci ripensò e finì a Siracusa. Gli aretusei erano una squadra poverissima e lui diceva “senza schei non se zoga e non se magna”. Però, in qualche modo, questi benedetti soldi bisognava procurarseli. Come? Ma, naturalmente a poker. Gipo, ogni sera, giocava a con gli ufficiali di marina di stanza al porto e riuscì così a pagare stipendi e premi. Il Siracusa vinse il campionato, ma nel girone finale perse per un punto la promozione in B: Si trasferì a Salerno. Conquistò la Serie cadetta ,ma siamo nel 1943, anno tragico per l’Italia. Dopo la guerra, sempre a Salerno, con i granata, Viani s’inventa una tattica di gioco che sarà poi il seme del catenaccio: il Vianema. Si trattava di un tatticismo che prevedeva un battitore libero in difesa con il compito di intervenire in doppia marcatura e in ogni frangente pericoloso  creato dagli avversari. Fu il suo colpo di genio. Illustrò il modulo ai giornalisti. Lo chiamò Vianema e il suo nome uscì dall’anonimato. Lavorò a Lucca. Due stagioni al Palermo in A. Lo chiamò poi la Roma che riportò nella massima serie. Era maturo per il salto di qualità. Lo ingaggio Dall’Ara, presidente con il quale s’intendeva perfettamente. I due erano fatti della stessa pasta. Il presidente rossoblù apprezzava la sua abilità nel calciomercato e,naturalmente, lo ammirava per le sue altre capacità: le donne e il poker. Gipo amava Bologna, ma quando  Andrea Rizzoli, nel 1956, lo chiamò al Milan, intuì che era la mano fortunata  di poker e, da scaltro giocatore, disse: Vedo!

(SEGUE )