Sotto le Due Torri, ancora oggi, si narra la leggenda sull’origine dei mitici turtlén.
Pare che un oste dell’antichità vide, attraverso il buco della serratura, Venere, mentre faceva il bagno e modellò i famosi  tortellini sull’ombelico della mitologica bellezza. A Bologna, in verità, la bellezza non si pensa, si respira, si assorbe, anzi visto che siamo in tema, possiamo dire che diventa commestibile. E’ anche una città che rende allegri e, come ha scritto, Guido Piovene,nel suo Viaggio in Italia “ si arriva all’aspro attraverso una specie di esuberanza e di euforia”.
Insomma, i bolognesi mettono a frutto anche la loro proverbiale cordialità.
Nella primavera del 1964, però, sembravano intenzionati a derogare all’immagine che li rappresenta allegri e cordiali e facevano prevalere, di gran lunga, l’aspro che sconfinava nella ribellione. Era la  primavera dello scontento per Bologna e la sua amata squadra.  Punita per sospetto doping, con punti sottratti in classifica e l’allenatore squalificato. L’esasperazione montava  tra i tavolini del Bar Orefici – covo della tifoseria felsinea – si facevamo proclami  quasi insurrezionali.  Rabbia e delusione scanditi musicalmente dalla canzone di Mina – in vetta alle classifiche – “E’ l’uomo per me” – successo che preannunciava il ritorno in TV della diva cremonese che era stata bandita dalla Rai per via della sua relazione extra-coniugale con l’attore Corrado Pani. L’Italia, per antica tradizione, non si lascia mai sfuggire  l’occasione per rincantucciarsi nell’angusta immagine di italietta bacchettona e provinciale. Ad ogni modo il brano era vissuto, dalla tifoseria bolognese,  come un inno presago di successi e di rivincite grazie all’uomo che guidava  il Bologna Football Club: Fulvio  Bernardini.

UN ESTETA IN PANCHINA
Di Fulvio Bernardini, romano, si è sempre detto e, soprattutto, scritto, che era un esteta e snob della panchina. Di sicuro è stato l’unico allenatore che, nel 1956, interruppe il dominio milanese-torinese del campionato, portando la Fiorentina alla conquista dello scudetto con ben dodici punti di vantaggio sulla seconda e una finale di Coppa Campioni che il Real Madrid  praticamente gli scippò a Firenze. Come tutte le persone intelligenti era dotato di ironia e di autoironia. Intellettuale, libero pensatore, non faceva mistero di essere un uomo di destra. L’ipocrita adesione al conformismo di quei tempi non era nelle sue corde. Tuttavia il  rapporto con il regime mussoliniano, non era stato idilliaco, anzi fu decisamente conflittuale. Nel 1935, alla guida della sua macchina, in Piazza Venezia, per un soffio non speronò una Lancia Astura, di colore blu ministeriale, che gli impedì il sorpasso. Sulla vettura di Stato c’era Benito Mussolini. Gli fu ritirata la patente e per riaverla dovette recarsi a Villa Torlonia, farsi battere a tennis dal Duce che nel ridargliela gli disse: “Ha imparato a guidare?”

SI CHIUDONO LE INCHIESTE
Le attese, le speranze e le ansie dei tifosi del Bologna si trasferirono nelle aule di giustizia, sportiva e ordinaria. Il 19 aprile i periti della Procura consegnarono i risultati delle controanalisi sulle provette di Coverciano. Filtrò subito la voce che non c’era alcuna traccia di sostanze proibite. Intanto, Dall’Ara, si era rimesso e cominciava a guardare con cauta fiducia all’esito favorevole delle inchieste. Bernardini, ancora in tribuna, vide i suoi ragazzi vincere ben quattro partite di seguito. L’Inter fece altrettanto. Poi il Bologna rimediò uno 0-0 a Mantova. I nerazzurri invece giunsero alla finale di Coppa Campioni. Sconfissero la Juve 1 a 0. Guidavano la classifica con tre lunghezze di vantaggio e gli osservatori, addetti ai lavori, stampa sportiva in testa, avevano già assegnato lo scudetto alla squadra di Angelo Moratti. Ma, questa vecchia storia di doping, come abbiamo scritto in apertura della puntata precedente , presenta continui colpi di scena. Somiglia molto alle Matrioske, le bambole russe di dimensioni decrescenti poste una dentro l’altra. L’ultima ‘matrioska’ la tirò fuori la magistratura ordinaria che comunicò di aver accertato «l’assoluta mancanza di sostanze dopanti nelle urine conservate presso il Centro di Coverciano», sconfessando così il pronunciamento della giustizia sportiva di due mesi prima. Il 10 maggio arrivò la sosta del campionato che consentì alla CAF di acquisire i risultati delle controanalisi e quindi emettere un nuovo giudizio.

TUTTI ASSOLTI E PUNTI RESTITUITI
16 maggio 1964, data storica che rimase incisa, per sempre, nei cuori e nei ricordi di una intera generazione di tifosi bolognesi, la CAF scagionò tutti i responsabili e restituì i tre punti allo squadrone che tremare il mondo fa. Nel dispositivo si legge “per non essere stata accertata in forma non dubbia l’infrazione alle norme di cui all’art. 22 del Regolamento di giustizia FIGC".
A questo punto in classifica Inter e Bologna viaggiano appaiati. Il 17 maggio, nel frattempo, il campionato proseguì con due pareggi, in trasferta, delle due capintesta.
Settimana successiva vinsero ancora in fotocopia 2 a 0. Il Campionato proseguiva con le due squadre appaiate in cima alla classifica. Che si fa, nel caso il torneo si chiudesse con le due squadre a pari punti, si chiesero allora i vertici della Federcalcio. La  lungimiranza  non è, oggi come in quegli anni, virtù che i nostri vertici calcistici, annoverano tra le loro migliori qualità. Vero è che fino ad allora, vale a dire in 35 anni di serie A, la circostanza di due squadre in testa alla classifica, non si era mai verificata, ma è altrettanto vero che visto come stavano andando le cose  un minimo di preveggenza avrebbe evitato di finire nelle ambasce. Il presidente della FIGC, Giuseppe Pasquale, convocò d’urgenza il Consiglio Federale all’Hotel Jolly di Bologna. Lo spareggio, in caso di arrivo a pari punti, non era previsto dal regolamento. Come uscirne, dunque?  

GIORNALISTI A CONSULTO
Il sinedrio federale, nell’affannosa ricerca di soluzioni, per uscire dall’impasse convocò le ‘due penne’ più impegnate in questa esaltante e altalenante vicenda calcistica. Gualtiero Zanetti, direttore della Gazzetta dello Sport e Aldo Bardelli, caporedattore di Stadio.
Zanetti se ne uscì con una soluzione risarcitoria che prevedeva l’assegnazione all’Inter dello scudetto 1964 e la restituzione al Bologna dello scudetto 1927 che era stato revocato al Torino e assegnato ai rossoblù.
Ma Leandro Arpinati, gerarca fascista bolognese, presidente della Federcalcio durante il regime, invitò, perentoriamente, i rossoblù a rifiutare. Non voleva dare adito a sospetti di conflitto di interessi essendo lui il presidente della Federazione. Si optò alla fine per la proposta Zanetti. Il Consiglio Federale, raccomandò ai due giornalisti, di non anticipare la decisione che sarebbe stata comunicata ufficialmente entro qualche giorno. Ma, Zanetti, non tenne fede al patto di riservatezza. Ci teneva a far sapere all’Italia calcistica che era stata la sua proposta a decidere l’assegnazione dello scudetto 1963/64. Sparò la notizia in prima pagina. Bardelli, dal canto suo, parlò con Pasquale e lo convinse a optare per lo spareggio. Titolo su nove colonne: Spareggio a Roma e così fu. Nel frattempo l’Inter il 27 maggio, al Prater di Vienna, travolse il Real Madrid ( 3 a 1) e vinse la sua prima Coppa Campioni. Particolare curioso, quella sera nel mitico stadio viennese, in tribuna, seduto nella fila sopra quella di Angelo Moratti, c’era Alfred Hitchcock, probabilmente interessatissimo ai continui e clamorosi colpi di scena, di questa volata-scudetto, come nei suoi migliori film. L’ultima giornata di campionato vide l’Inter battere l’Atalanta (2 a1) e il Bologna superare la Lazio ( 1° 0). Pari punti in cima alla classifica. Si va a Roma. Si gioca domenica 7 giugno.

NEL NOME DI RENATO DALL’ARA
Il finale del Campionato 1963/64 ebbe un drammatico risvolto con l’improvvisa morte di Renato Dall’Ara. Il presidente bolognese, il 3 giugno,  si recò a Milano per una riunione della Federazione .Soffriva di cuore e i medici gli avevano detto di evitare strapazzi e, soprattutto, emozioni. Ma, nel capoluogo lombardo, si doveva discutere della gestione degli incassi dello spareggio e con Angelo Moratti sui premi partita ai giocatori. Era un caldissimo pomeriggio.
Alle 17.30, il vulcanico presidente bolognese sbiancava in volto e si accasciava sulla spalla di Moratti. Praticamente gli morì tra le braccia. Arrivò il suo medico personale, ma non poté fare altro che constatarne il decesso. Per Bologna, per i suoi tifosi fu un  colpo durissimo. La tifoseria più estrema, sotto la spinta emotiva di quella drammatica notizia, non ebbe esitazioni, né dubbi: L’hanno fatto morire! Solo lui poteva tener su la baracca, era indispensabile che fosse vivo. Era un cervello elettronico, pensava e faceva tutto lui. Bernardini riunì la squadra e la portò in ritiro a Fregene, al mare. Fuffo voleva tenere lontani i suoi giocatori dal clima torrido sia climatico che da quello alimentato dalle furiose polemiche che soffiavano intorno al big match. Due giocatori – Pascutti e Corradi – presenziarono alle esequie del loro presidente a Bologna. Bernardini comunica ai suoi giocatori che la Federcalcio è disponibile a un rinvio. La riposta unanime fu: Giochiamo, lo dobbiamo al nostro Presidente! Bulgarelli, qualche tempo dopo, ricordò che la “la mattina dello spareggio Bernardini ci radunò e ci disse semplicemente: 'stiamo tranquilli'. Ma tranquillo, non deve essere stato nemmeno lui... Gli guardammo i piedi: aveva una scarpa da ginnastica e una normale.”

LO STORICO SPAREGGIO
Davanti a 60.000 spettatori, un caldo opprimente, le due squadre, con il lutto al braccio, disputarono l’unico spareggio della storia della Serie A. Il Bologna si schierò con Negri, Furlanis, Pavinato, Tumburus, Janich, Fogli, Perani, Bulgarelli, Nielsen, Haller, Capra.  L’Inter con Sarti, Burgnich, Facchetti, Tagnin, Guarnieri, Picchi, Jair, Mazzola, Milani, Suarez, CorsoArbitro, naturalmente, il numero uno delle ‘giacchette nere’: Lo Bello di Siracusa.
La chiave tattica della partita fu Bernardini ad azzeccarla. Dovete rinunciare a Pascutti per infortunio e al suo sostituto naturale, Renna, in non perfette condizioni fisiche. Schierò dunque un terzino, Capra, all’ala sinistra con il compito di marcare stretto Mariolino Corso, fonte ispirativa del calcio nerazzurro. Haller si posizionò in una fase più avanzata del solito e quindi, in sostanza, giocò come spalla offensiva di Nielsen.
L’altra mossa vincente di Fuffo fu quella di portare, con diversi giorni di anticipo, i giocatori nella capitale e, soprattutto, in ritiro a Fregene. Scelta che consentì ai bolognesi di acclimatarsi con il clima caldissimo di Roma.
I nerazzurri invece giunsero solo all’ultimo momento e reduci dal fresco di un paese montano.
Crollarono alla distanza. Il Bologna andò in vantaggio con una punizione di Fogli, in parte deviata da Facchetti e poi il raddoppio di Nielsen.
Fu il settimo sigillo nella storia degli scudetti rossoblù.
In città esplose la gioia dei tifosi che accolsero come eroi i trionfatori dell’Olimpico. Ma, sulla festa, aleggiava malinconica l’amarezza per l’assenza del primo artefice della conquista: Renato Dall’Ara.