Vieni... c'è una strada nel bosco
Il suo nome conosco
Vuoi conoscerlo tu

Vieni... è la strada del cuore
Dove nasce l'amore
Che non muore mai più…

Milano 8 settembre 1943, ore 19,30
Calano le prime ombre della sera e poche persone si attardano nei bar e per le strade. E’ una serata caldissima, finestre e balconi delle abitazioni sono aperti e, da qualche radio accesa, giungono le note di canzoni romantiche che fanno sognare, ma soprattutto aiutano a dimenticare l’incertezza del futuro e l’angoscia del presente. Gino Bechi, baritono che va per la maggiore canta, la sua hit del momentoLa strada nel bosco”e gli ultimi avventori dei pochi locali aperti socchiudono gli occhi. Immaginano di  seguire Bechi in quel  bosco dove c’è una strada che conduce all’amore ma ,improvvisamente, i vibranti gorgheggi del cantante vengono interrotti da una voce compunta, preceduta dal gracchiare della radio. Interrompiamo i programmi per trasmettere un proclama alla Nazione del Maresciallo d’Italia Pietro Badoglio.

Sono le 19,42 di mercoledì 8 settembre 1943
“Il governo italiano, riconosciuta la impossibilità di continuare la impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell’intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla Nazione, ha chiesto un armistizio al generale Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate anglo-americane. La richiesta è stata accolta. Conseguentemente, ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza.“
Un coro festante, degli ultimi avventori dei bar ai quali si uniscono persone uscite di casa, accoglie l’annuncio e dalle finestre giungono urla festanti: La guerra è finita!
Una simpatica vecchietta, richiamata dal clamore che giunge dalla strada, si affaccia al balcone e commenta: “Mi capissi no perché insisten tant con sti fascim che nol ghe pias a nissùn!
E’ la didascalia semplice e spontanea all’immagine di un paese spossato da anni di guerra, di privazioni, di lutti.
Cesare Pavese 
rievocò l’emozione di quella sera nel suo libroCasa in collina’.
Alla radio la voce monotona, rauca, incredibile, ripeteva macchinalmente ogni cinque minuti la notizia. Cessava e riprendeva, ogni volta uno schianto di minaccia. Non mutava, non aggiungeva mai nulla. C’era dentro l’ostinazione di un vecchio, di un bambino che sa la lezione”.
Cominciò così uno dei capitoli più tragici della nostra Storia.

LA FUGA VERGOGNOSA
Quella sera l’Italia s’illuse che la guerra fosse finita. Il Paese era allo sbando, senza ordini e direttive all’Esercito e ai membri del Governo.  
Il Re, Badoglio e un
nutrito gruppo di generali e ufficiali scelsero la fuga.
Alle 5,10 del 9 settembre salirono a bordo di autovetture che, come per un rally automobilistico, s’incolonnarono per raggiungere Pescara. Ma, qui, la popolazione aveva dato segni di insofferenza verso la comitiva di fuggiaschi. Si scelse quindi di andare a Ortona al mare. Tre unità navali della Regia Marina li avrebbero portati a Brindisi, momentanea capitale di un Regno del Sud che si batteva a fianco degli alleati. Badoglio, con opportunistica lungimiranza, s’imbarcò a Pescara.
Il Re attese il suo turno a Ortona. Località che, nei piani di fuga, doveva rimanere segreta, ma in Italia, si sa, i segreti sono fatti per essere svelati. Sul molo di Ortona 250 alti ufficiali con attendenti, familiari e carabattole erano in attesa.
Per evitare che la popolazione assistesse all’indecorosa fuga fu attivato l’allarme aereo.

Gli aspetti che più hanno caratterizzato il dramma dell’armistizio sono stati l’incertezza, l’assenza di riferimenti, di indicazioni.
Gli italiani si ritrovarono soli davanti all’emergenza. Senza Stato, senza esercito e sotto la minacciosa pressione dei tedeschi che, per dirla in maniera semplice, non avevano gradito la rottura dell’alleanza. Anche se c’è da dire che l’evento lo avevano messo in conto e certamente non si lasciarono trovare impreparati.
Nel settembre del ’43 l’Italia era divisa in  due, come scrisse Benedetto Croce.
Due governi, al Nord quello di Salò, al Sud quello di Brindisi e i tedeschi con la loro logica occupazionale fatta di editti perentori rappresaglie, arresti e fucilazioni.
Un vuoto istituzionale che obbligava ogni singolo italiano a fare una scelta. Con chi stare? Dalla parte della normalizzazione nazifascista oppure scegliere la libertà di opposizione e di militanza? L’emergenza dell’8 settembre, nell’immaginario collettivo, si caratterizzò con valenze diverse: dal rifiuto della guerra – avversione popolare – ai sentimenti antitedeschi, retaggio della Prima Guerra Mondiale, contrarietà alla coercizione militare, difesa del debole.
E’ questo l’humus culturale e sociale sul quale s’innerverà la lotta partigiana.

NASCE LA RESISTENZA
Nella scelta di campo, chiaramente, influirono sia motivazioni personali che politiche. Le opzioni più consapevoli però furono dettate, fortemente, dalla voglia di riscatto individuale e collettivo.
Beppe Fenoglio, autore di un libro emblematico sulle vicende resistenziali,Il partigiano Jonny”, descrive compiutamente il magma di emozioni e pulsioni che portò molti italiani a intraprendere la ‘via della montagna’.
Chi scelse la lotta partigiana si sentì investito, in nome del popolo italiano, ad opporsi in ogni modo al fascismo, a giudicare, ad eseguire, a decidere militarmente e civilmente. Era inebriante tanta somma di potere, ma infinitamente più inebriante la coscienza dell’uso legittimo che ne avrebbe fatto”. 
Al di là delle motivazioni e delle rappresentazioni che indussero molti italiani, all’indomani dell’armistizio, a scegliere la ‘via della montagna’, è probabilmente utile capire a questo punto la distribuzione geografica dei nuclei di resistenza armata.
Gianni Oliva nel suo I vinti e i liberati ha elaborato una sorta di mappa.
Il Piemonte fu la regione dove la Resistenza trovò il suo terreno più fertile. Grazie anche a una  conformazione territoriale con numerose vallate, facili da raggiungere. Ma grazie anche alla tradizione di lotte operaie e dalla presenza di quadri antifascisti.
Meno diffuso il fenomeno in Lombardia. Sui rilievi di Lecco si ritrovarono gruppi formati da militari, ex prigionieri, operai e studenti. Milano non poteva diventare terreno di battaglia per la sua posizione, caratterizzata dalla pianura aperta che aveva davanti e alle spalle valli corti.
Più lento l’insediamento partigiano nell’Appennino Ligure.
A Chiavari si formò il gruppo di Favale che si unì dopo alla banda Cichero che diede, successivamente, vita ai garibaldini genovesi. Difficile la situazione nel Triveneto a causa della massiccia presenza di forze militari tedesche. Migliaia di soldati trovarono scampo sulle Prealpi.
Tra la Toscana e l’Emilia influirono, sulla formazione di nuclei di resistenti, fattori come la fuga di tanti soldati sbandati, ma anche le tradizioni di solidarietà e le radici ideologiche social comuniste.
Giusto ricordare, a questo proposito, il ruolo svolto dalla famiglia di Alcide Cervi.
In Umbria e nelle Marche a formare le prime formazioni partigiane furono prigionieri politici slavi evasi dai campi di concentramento, esponenti antifascisti locali e ufficiali effettivi che si erano sottratti alla cattura. Ed è proprio nelle Marche, a Sarnano, un fiabesco borgo medievale, che si svolse una leggendaria partita di calcio tra partigiani e soldati tedeschi.

LA LEGGENDA DI SARNANO
E’ adagiato come un presepe su una dolce collina, a 539 metri di altezza, che si affaccia sulla Strada Statale 78, una delle arterie che parte da Macerata e poi s’immette nella Salaria che conduce a Roma. Ha oltre sette secoli di Storia. Era l’antico castrum con un centro arroccato e fortificato che si snoda tra vicoli e casupole. Un’atmosfera incantata, qui la clessidra del tempo ha smesso di far scorrere la sua sabbia. Sarnano si trova nella parte orientale dei Monti Sibillini, a 40 km da Macerata.
In queste valli, secondo la leggenda, dimorava la Sibilla, la profetessa che vaticinava gli oracoli di Apollo.
All’alba del 29 marzo 1944, l’incanto del borgo fu violato dall’esplosione di numerosi colpi di mortaio e dalle urla, dal duro accento, che evocarono le antiche incursioni degli Unni di Attila, un popolo che seminò il terrore. Era in atto un’operazione congiunta di Alpenjäger  (truppe da montagna dell’esercito tedesco), militi della Guardia Nazionale Repubblicana e del Battaglione M «IX Settembre».
Obbligarono tutti gli abitanti a lasciare le loro abitazioni. Radunati nella piazza principale furono minacciati di impiccagione se non avessero rivelato dove si nascondevano i partigiani. Nazisti e fascisti, incattiviti dal silenzio degli atterriti abitanti, cominciarono a perlustrare le frazioni. Uccisero tre uomini, poi a Piobbico, un agglomerato di poche case, si scontrarono con i partigiani del Battaglione Primo Maggio. Due italiani e due montenegrini furono falciati dalle mitragliatrici degli Alpenjäger , al termine dell’azione, i tedeschi insediarono a Sarnano un loro presidio militare.

L’ARBITRO MARIO MAURELLI
In quel tragico marzo del 1944 si trovava anche a Sarnano Mario Maurelli. Vi era nato nel 1914 ed era tornato alla fine del luglio del 1943 dopo lo sfollamento della capitale seguito al bombardamento del quartiere di San Lorenzo. Maurelli era un arbitro di calcio sin dal 1937. Poi, nel dopoguerra, raggiungerà la Serie A e si affermerà anche a livello internazionale. In qualche modo, aveva evitato la chiamata alle armi. Non aveva quindi avuto modo di sperimentare la spietata durezza dei tedeschi. Ma, verso di loro nutriva un’istintiva avversione. Suo padre trovò la morte sull’altopiano di Asiago durante la prima guerra mondiale. Con i soldati tedeschi insediati, in pianta stabile, nel paese, Maurelli, come gli altri abitanti del borgo, evitava di farsi vedere in giro. Un giorno, però, senti una vigorosa bussata alla porta della sua abitazione. Esitò, ebbe paura. Intuì che non erano vicini di casa. Non avrebbero dato quei colpi sulla porta. Aprì, comunque, con una certa cautela, la porta e si trovò davanti due tedeschi in divisa.

-Buonciorno, è lei l’arbitro Maurelli?
- Sì… ma adesso c’è la guerra e…
- Non si preoccupi… vogliamo solo fare una proposta, disse il sergente che parlava un discreto italiano in quanto altoatesino.
- Ditemi pure… se posso…
- Si può organizzare una partita di calcio. 11 tedeschi contro 11 italiani…unica regola: tutti della stessa età.Prometto, sul mio onore, che ai giocatori italiani, partigiani e non, sarà evitata la deportazione. Anzi, dopo partita noi offrire, a spese del Reich, un grande pranzo.
-Ma, come, giocare al calcio… in questa situazione
-Sono difersi anni noi lontani casa e famiglie. Defo distrarre i miei uominiAspetterò sua risposta solo 24 ore. Arrifederci.
Maurelli rimasto solo si accasciò sulla sedia. Ma, che partita e partita – pensava nervosamente – questi non capiscono che sono visti come spietati oppressori. Come si fa a giocare con loro, come se niente fosse? Come posso organizzare una patita di calcio con i nazisti. Significava mancare di rispetto a coloro che ogni giorno combattevano, e morivano, per cacciare gli occupanti.
La notizia si diffuse subito in paese e non fu molto apprezzata. A Maurelli dissero che doveva dire di no. Della squadra italiana avrebbero fatto parte alcuni partigiani nascosti sulle colline oltre a disertori dell’esercito regio. Sarebbe stato come consegnarsi al nemico.
Maurelli di fronte alle contestazioni dei compaesani sbottò: Ma, avete pensato in quale casino andremo a cacciarci se diciamo di no ai tedeschi?

(SEGUE)

Ringraziamenti
Dott. Gianni Tenti
Regione Marche – Giunta Regionale
Dipartimento Sviluppo Economico
Settore Turismo

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Dott.ssa Ludovica Marani
Ufficio Turismo Comune di Sarnano