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Pereira 8 marzo 2023

 

Oggi, 8 marzo 2023, il paese del femminicidio, delle molestie, delle violenze domestiche, dei diritti negati, si purga la coscienza e celebra, ipocritamente, la Festa della Donna.
La chiamano ‘festa’ per non chiamarla con il suo vero nome: “Giornata Internazionale dei diritti della Donna”. La differenza c’è ed è notevole. Festa è più allegro, non fa pensare (eh… eh) più  commerciale, piace ai pubblicitari che ci costruiscono intorno bisogni e desideri che fanno lievitare le vendite di qualsiasi mercanzia.
Giornata Internazionale dei diritti della Donna invece sottintende una riflessione, un ragionare sulle vere esigenze del mondo femminile.
E qui casca l’asino. Nel dopoguerra, Teresa Mattei, ex partigiana, politica impegnata sul fronte dei diritti delle donne, nel corso di un vivace scambio di opinioni, a proposito della parità tra uomini e donne, con un deputato liberale che si opponeva argomentando: “Signorina, ma lei lo sa che in certi giorni del mese le donne non ragionano? disse il deputato. E lei rispose: «Ci sono uomini che non ragionano tutti i giorni del mese».

I NUMERI DELL’ORRORE
Chi scrive non ama le sdolcinature, il cuore che necessariamente deve fare rima con amore. Pertanto scelgo l’aspra eloquenza dei numeri. Confortato nella scelta da una frase di Alda Merini: ”Sarà la festa della donna quando non ci saranno più donne uccise, picchiate, sfigurate, perseguitate, molestate, da qualcuno che dice di amarle. Siamo state amate e odiate, adorate e rinnegate, baciate e uccise solo perché donne”.
Secondo i dati dell’ultimo aggiornamento del Ministero dell’Interno, nel 2022. In Italia, si sono registrati 319 omicidi di cui 125 con vittime di sesso femminile (circa il 39%). Un totale di 140 episodi hanno avuto luogo in un contesto domestico e in questo caso 103 hanno colpito donne (quasi il 74%). Se specifichiamo ulteriormente, sono stati 67 i delitti commessi da partner o ex partner, 61 con vittime donne, ovvero il 91%. Secondo l’Istat, nei primi anni ’90, per ogni donna uccisa erano uccisi 5 uomini.
Negli anni seguenti tale rapporto è gradualmente diminuito fino ad arivare nel 2021 a 1,6. L’incidenza degli omicidi di donne commessi in ambito domestico è rimasto sostanzialmente invariato, registrando soltanto un lieve, seppur oscillante, calo.
Il picco si è registrato nel 2013, quando sono state uccise da un parente o un (ex) partner 0,42 donne ogni 100mila. Mentre nel 2020 la cifra è scesa a 0,32. Risulta invece marcatamente in aumento il rapporto tra gli omicidi in ambito domestico e il totale degli omicidi volontari di donne. Nel 2017, il momento in cui è stata più bassa, la quota si attestava al 73% circa. Mentre nel 2020 ha superato l’85%, dopo un graduale incremento.

L’ISTITUTO EUROPEO PER L’UGUAGLIANZA DI GENERE
L’Eige (Istituto europeo per l’uguaglianza di genere) ha dato una definizione universale del femminicidio: omicidio di una donna per via della sua appartenenza di genere. La definizione è stata mutuata da quella elaborata dalla commissione statistica dell’Onu. E’ stata adottata anche da Istat in Italia. Secondo gli esperti dell’Eige, considerato il ritmo attuale con il quale si registrano i progressi, ci vorranno ancora 60 anni prima che la completa uguaglianza di genere sia conseguita.
In Europa l’indice sta migliorando anche se molto lentamente. Vediamo più da vicino in cosa consiste questo indice sull’uguaglianza di genere. Si tratta, in primis, di un importante strumento politico che misura l’evoluzione della parità di genere registrata nell’Unione Europea nel corso del tempo. Ogni anno l’indice assegna all’UE e agli Stati membri un punteggio da 1 a 100. Il punteggio di 100 significa che un paese ha raggiunto la piena parità tra donne e uomini. I punteggi misurano le differenze tra donne e uomini e i traguardi raggiunti in sei domini chiave: lavoro, denaro, conoscenza, tempo, potere e salute, nonché nei loro sottodomini.
L’indice comprende due ulteriori domini: la violenza contro le donne e le disuguaglianze intersezionali. L’analisi delle disuguaglianze intersezionali esamina in che modo fattori quali disabilità, età, livello di istruzione, paese di nascita e tipologia di famiglia intersecano la dimensione di genere per creare percorsi diversi nella vita di uomini e donne.

IL SONDAGGIO IPSOS 2023
Sette persone su dieci (67%) in Italia ritengono vi sia attualmente una disuguaglianza tra donne e uomini in termini di diritti sociali, politici e/o economici e sono soprattutto le donne ad essere d'accordo con questa affermazione (73% contro il 61% degli uomini). Il sondaggio internazionale dell’Ipsos, condotto in occasione della Giornata Internazionale della Donna 2023, rileva qualche segnale positivo e di cambiamento a favore dell’uguaglianza di genere. In particolare, rispetto agli anni precedenti alla pandemia da Covid-19, quasi la metà degli italiani e delle italiane (49%, +3 punti rispetto al 2019) ritiene che nel nostro Paese ci siano stati dei miglioramenti relativi al riconoscimento di pari diritti tra uomini e donne e il 50% (+7 punti rispetto al 2018) sostiene che, nel corso della propria vita, la parità tra uomo e donna sarà finalmente raggiunta.
Un ottimismo che, in entrambe le affermazioni, prevale però principalmente tra gli uomini. Infatti, è il 57% degli uomini (contro il 42% delle donne) a pensare che in Italia si siano compiuti passi in avanti in materia di pari diritti ed il 55% (contro il 45% delle donne) a ritenere che l’uguaglianza di genere potrà essere raggiunta nel corso della propria vita.

VANTAGGI DELLA PARITA’ DI GENERE
Sostanzialmente, il sondaggio Ipsos 2023, è vero che ha registrato, sul tema della parità di genere, qualche dato positivo, ma rimane opinione diffusa che senza un sostegno concreto da parte degli uomini ( 64%) l’uguaglianza difficilmente potrà essere raggiunta. L’istituto di ricerca inoltre ha rilevato che, nonostante l’Italia si posizioni al quartultimo posto tra i 32 Paesi esaminati, la maggioranza delle persone (56%) ritiene che l’alleanza tra uomo e donna sia un fattore importante e di sostegno alla parità di genere, con le donne che mostrano livelli di accordo superiori (61%) rispetto agli uomini (51%). Al contempo, il 42% dell’opinione pubblica italiana (+4 punti rispetto al 2019) sostiene che in molti casi ci si aspetta che gli uomini facciano troppo per sostenere la parità e questo pensiero è condiviso principalmente dagli stessi uomini (47%) rispetto alle donne (37%). Con un ulteriore 42% in disaccordo, la questione lascia spazio ad un’importante riflessione: l’uguaglianza di genere è un vantaggio solo per donne o per l’intera società? In generale, la maggioranza relativa dell’opinione pubblica italiana (43%) ritiene che la parità di genere sia vantaggiosa allo stesso modo per entrambi i sessi. Il 20% sostiene che nessuna delle due categorie considerate ne tragga beneficio e soltanto il 12% pensa che possa giovare soltanto alle donne o soltanto agli uomini.

ROMPERE IL GLASS CEILING
Quello di genere è, decisamente, uno dei tre gap che l'Italia deve colmare se vuole crescere. Gli altri due sono il territoriale e il generazionale. 
Ad ogni modo siamo fermi al 63 ° posto, su 146, in termini di disparità di genere per quanto riguarda la partecipazione economica, livello di istruzione, salute ed empowerment politico. Lo ha rilevato il Gender Gap Report 2022 del World Economic Forum. Colmare il divario di genere, non solo nell’ambito della vita privata, ma anche in quella pubblica, avrebbe un impatto sul PIL di quasi il 12 %. Superare il gap gender è una delle sfide posta al nostro paese, dal PNRR, che non a caso destina ben 3 miliardi di euro per recuperare il divario tra uomini e donne.
Oltre al finanziamento è prevista anche l’introduzione, presso ogni azienda, di un importante strumento: la certificazione per la parità di genere. Questo significa che le aziende dovranno impegnarsi concretamente all’eliminazione delle disparità di genere nel mondo del lavoro e nella vita sociale. Un impegno che consentirà alle imprese vantaggi in termini di crescita, inclusione e innovazione.

RISPARMIO EN ROSE
Le italiane sono pronte a gestire da sole i propri risparmi. In materia di investimenti il numero delle donne, consapevoli e preparate è in deciso aumento. Secondo una ricerca di Moneyfarm il 65% delle cittadine italiane ha sufficiente fiducia nelle proprie competenze benché solo una su cinque si ritenga esperta in materia. Con il 90% delle intervistate che mostra vivo interesse a sentirsi indipendente e protagonista nell’impiego delle finanze personali, lo studio restituisce così l’immagine di una donna ‘formica’ che accantona guardando al futuro (al fondo pensione soprattutto) e cerca spesso un professionista per farsi consigliare.
Sono però ancora meno di una su quattro (il 22%) le italiane che si sentono molto competenti in materia di gestione dei risparmi, a fronte del 35% che si dice per nulla preparata. A incoraggiare, tuttavia, è quel 43% che si ritiene comunque sufficientemente informata e, soprattutto, il dato inequivocabile sull’interesse: il 77% desidera approfondire il tema. Una propensione molto forte nel 38% dei casi, mentre solo il 23% sembra aver rinunciato a prendere le redini del proprio portafoglio.

VIOLENZA ECONOMICA
La ricerca di Moneyfarm ha anche rilevato che in Italia sono quasi 20 mila le donne vittime di “violenza economica”, vale a dire donne che vorrebbero colmare le loro lacune nell’ambito della finanza personale, ma non possono perché il partner non lo permette, il desiderio di indipendenza finanziaria e l’impegno a migliorare le proprie competenze accomunano la maggioranza delle italiane.
Solo una su dieci delega totalmente la gestione del proprio denaro ad altri, mentre il 92% delle intervistate vuole seguire in prima persona i propri risparmi: chi da sola (43%), chi affiancata da un professionista (49%).
Sembra anche esserci consapevolezza che l’indipendenza non sia “gratuita, bensì richieda impegno e fatica: quasi il 60% riconosce la complessità della materia, ma è altrettanto conscia del fatto che le conoscenze siano fondamentali.

Patrizia Franchi, Investment Consultant Manager di Moneyfarm, ha commentato così gli esiti della ricerca:
”In un’industria del risparmio tradizionalmente costruita dagli uomini intorno agli uomini, la preparazione delle donne nella gestione dei risparmi, il loro crescente interesse ad approfondire e il desiderio di maggiore educazione finanziaria che emergono da questa indagine sono conferme estremamente incoraggianti di una società che si evolve, in cui le risparmiatrici vogliono avere sempre più il controllo del loro futuro finanziario
”.