Ricordate? Accadde proprio in maggio, per l’esattezza il 24 dell’anno – di pochissima grazia - 2009. Al Meazza – o San Siro – si giocava Milan-Roma. Il campionato era ormai cucito sulle maglie dei cugini. Il Milan aveva passato il testimone, agli interisti, la settimana prima, a Udine, dove ne aveva beccati due. Quella contro i giallorossi non era una partita priva di significati, di emozioni come l’ultimo giorno di scuola che si vive tra sbadigli e disattenzioni, in attesa del trillo finale della campanella.
C’era da celebrare un addio importante al Milan. Paolo Maldini scendeva in campo per l’ultima volta a San Siro. Lo storico capitano del Milan aveva annunciato il ritiro a fine stagione, dopo 25 stagioni e 902 presenze in rossonero, e qualcosa come 26 trofei alzati.
Insomma, un pezzo di storia rossonera aleggiava quella domenica sugli spalti del caro, amatissimo stadio.

Arrivò, dunque, il momento della cerimonia che si preannunciava toccante e, invece, si rivelò raggelante. Maldini, cominciò il suo giro d’onore, e rispondeva agli applausi del popolo rossonero applaudendo a sua volta. Passo dopo passo il capitano giunse sotto la Curva Sud e qui si verificò il fattaccio. Una bordata di fischi!
Su quel palcoscenico, dove si stava recitando una idilliaca piece, qualcuno non stava seguendo il copione e andava a braccio seguendo i propri istinti e rancori. Comunque, a braccio fino a un certo punto, perché i ribelli il giorno dopo rivendicarono l’azione con un comunicato firmato Curva Sud. Questa rivendicazione, a freddo, avrebbe dovuto far riflettere qualcuno, stampa per prima. Ovvero, si è trattato di un’azione premeditata, studiata a tavolino? Maldini, chiaramente, non è quel tipo di persona che, per quieto vivere, fa buon viso a cattivo gioco.
Non la prese bene e lasciò precipitosamente lo stadio nonostante Leonardo cercasse di trattenerlo in tutti i modi. Anzi, al colmo dell’ira, Paolo spintonò il compagno e gli urlò in faccia orgoglioso di non essere uno di loro, di squadra e se ne andò negli spogliatoi.

UN CUORE COSI’ BIANCO
Paolo Maldini, lo dico apertamente, è uno dei pochissimi personaggi del Barnum calcistico che stimo, anzi che rispetto. Mi fa venire in mente il personaggio di un bel libro del compianto Javier Marias Un cuore così bianco, titolo tratto dal Macbeth di Shakespeare.
Un cuore così bianco lo possiede non chi è senza colpe, ma chi non è stato contagiato dalle parole e dalle colpe degli altri. Maldini, a mio avviso, è un cuore così bianco.
Ora, a questo punto, è moralmente giusto che, anche chi sta vergando questa breve nota, ispirata dall’empatia verso i colori rossoneri, palesi il nitore del suo cuore (così bianco) e dica pane al pane e vino al vino.
Maldini, parliamoci chiaramente, senza menare il can per l’aia, non ha mai avuto rapporti di profonda amicizia con la curva, intesa come espressione, ma forse anche metafora di un tifo che oltrepassa la ragione e si declina solo attraverso l’istinto, le pulsioni e le passioni. Non è il suo habitat mentale. Di sicuro, però, lo dico in termini brutali, non si aspettava lo sgarro proprio nella sua giornata d’addio. C’era qualcosa che sapeva di vendetta servita come piatto freddo, freddissimo direi, quasi glaciale se è vero, come si disse allora, che le ragioni di quell’imboscata stavano annidate tra le pieghe di fatti accaduti anni prima.
Si parlò di un Milan-Parma del 1998, penultima di campionato. I rossoneri avevano preso cinque pappine, la domenica precedente, dalla Roma. La Curva gridava il nome di Franco Baresi, ritiratosi l’anno prima, e urlava con rabbia a Maldini: “Non sei tu il capitano”. Altri fanno risalire le radici del disamore, alle contestazioni dure, all’aeroporto,  al ritorno da Istanbul, dopo la sconfitta con il Liverpool.
Paolo, in quell’occasione, non le mandò a dire. Usò parole sferzanti: Io giocavo da una vita e dovevo chiedere scusa a un ragazzo di 20 anni? E poi scusa di cosa? Di aver perso una partita giocata in modo straordinario? Per inciso, quella sera il Liverpool ci surclassò a livello di tifo”.

LA TEORIA DEL COMPLOTTO
Paolo Maldini, dopo la contestazione di quella sera, in più di un’occasione ha sempre stigmatizzato il comportamento della società che, dal presidente all’ultimo dei dirigenti, non disse una sola parola per condannare l’episodio Sarò un idealista dichiarò nel corso di un ‘intervista ma credo che una società come il Milan si debba dissociare da certi episodi”.
Mi corre l’obbligo di essere sincero fino alla brutalità e mettere da parte qualsiasi pudore lessicale che, in qualche modo, possa fare velo alla mia ammirazione per Maldini. Sì è vero, non è un simpaticone, non ha il carisma viscerale del calciatore che si rivolge alla Curva e la incita al tifo. Come ha fatto Guardiola ieri sera durante Manchester-Real Madrid.
Ma tant’è, ognuno ha il suo carattere e con quello deve farci i conti. Maldini ha l’aplomb dell’ufficiale di carriera. Precisione, disciplina, eloquio ragionato. Esternazioni mirate, poche concessioni al pathos, aggettivi misurati, che distilla con la meticolosità e la sapienza di un alchimista e che, in qualche caso, si rivelano medicina assai amara per chi ascolta.

Ma torniamo al filo conduttore di questo capoverso del complotto. Cerchiamo di mettere le tessere di questo mosaico nell’ordine giusto, assegnando a ciascuna il giusto peso. Si disse -  e si dice ancora  come ho avuto modo di constatare - che quella giornata di maggio sarebbe stata studiata a tavolino. Procediamo, come nelle indagini, all’esame oggettivo dei fatti e dei reperti.
Quella domenica  apparvero – come per incanto a fine partita – due striscioni il cui contenuto non era di commosso commiato a capitan Paolo. Galliani e Berlusconi si affrettarono a dichiarare che si trattava dell’iniziativa di un gruppetto di tifosi. Ma, altri ‘testi’ invece affermarono che in realtà l’operazione sarebbe stata concepita per creare  dissapori tra Maldini e la tifoseria. Nel febbraio 1986, stando a quanto dichiarano alcuni testi che certe cose le hanno messe per iscritto, Berlusconi si era inizialmente interessato all’acquisto dell’Inter. Però, poi, gli suggerirono di provare a comprare il Milan che era sull’orlo del fallimento. Dopo l’acquisizione della società il giocatore-simbolo di allora, Gianni Rivera, venne immediatamente messo da parte. Ovviamente, il Golden Boy troncò ogni contatto con la nuova dirigenza. Berlusconi scelse Galliani come suo Delfino. Passarono gli anni, il Milan  conquista coppe e trofei ovunque e il Silvio annuncia che quando Paolino appenderà le scarpe al chiodo per lui ci sarà la poltrona di vice-presidente. Maldini stesso, in più di un’occasione, manifestò l’intenzione, a fine carriera, di non fare l’allenatore, ma piuttosto di ricoprire un ruolo dirigenziale. Sarebbe stato – fece capire tra le righe –anche un riconoscimento politico alla Dynast rossonera dei Maldini.

CHI HA PAURA DI MALDINI DIRIGENTE?
E torniamo allordito shakespeariano, accennato prima, sulla lotta per il potere. Non è stata una citazione a caso. Comunque, pensate alla catena di comando del Milan di allora. Chi ne aveva tutte le leve in mano? Fatevi la domanda e provate a darvi una risposta. Vi ricordo che Berlusconi si era impegnato in politica a tempo pieno. Maldini, alla vice-presidenza, avrebbe rappresentato una minaccia per chi faceva il bello e il cattivo tempo in via Turati (la sede di allora della società rossonera ndr). Insomma, l’arrivo di Paolo Maldini, avrebbe ridotto, notevolmente, l’ambito dei poteri di Adriano Galliani. Si scrisse allora che il pactum sceleris tra lui e la tifoseria sarebbe stato di questo tenore: promessa di una linea più morbida, in futuro, da parte della società in vista del processo contro alcuni capi ultras accusati di presunta estorsione proprio alla dirigenza.
Per onestà intellettuale mi corre l’obbligo di rammentarvi che queste nostre ‘esumazioni’ di fatti e presunti misfatti sono sotto l’egida del più rigido dei condizionali. Insomma, come dicevano i nostri insegnanti, relata refero!

Ma, qual è l’aspetto più inquietante di questa vicenda
? Nel 2005, Maldini, dopo il diverbio con i capi ultras, all’aeroporto al ritorno da Istanbul, non ci furono dalla curva altre contestazioni clamorose nei confronti del capitano.
Perché l’imboscata venne organizzata quattro anni dopo e proprio in una giornata  particolarissima?
Possibile che la tifoseria abbia tenuto in serbo il rancore per tanto tempo per poi manifestarlo nel corso di un tiepido pomeriggio di maggio?  Perché la società non s’impegnò in una difesa più convincente del suo giocatore, in quegli anni, più rappresentativo? Solo due righe sul sito della società. Decisamente poco, o no?
Ah… saperlo!