Questo è un post intimista.
E’ il 1° marzo, mattinata diafana, con un sole anemico che cerca d’infilarsi tra nuvole e smog. La radio del PC diffonde una struggente canzone di Enzo Jannacci, Messico e Nuvole.

Messico e nuvole
La faccia triste dell'America
Il vento soffia la sua armonica
Che voglia di piangere ho…

Sfoglio i giornali, mentre bevo il caffè. Mi piacerebbe una sigaretta, ma ho smesso dieci anni fa. Allora mi dedico ad accarezzare Meo, il mio gatto. Un  sontuoso persiano nero. Poi, l’occhio mi cade sulla notizia che annuncia l’abbandono di San Siro. Leggo meglio, mi intristisco ancor di più. Dovevo guardarmi dalle ‘idi’ della tristezza, non leggere i giornali e invece non l’ho fatto. “Sono amareggiato, da sindaco, da cittadino, da tifoso – dichiara Sala- perché il vecchio San Siro non  lo vuole più nessuno.“
Inter e Milan rinunciano alla costruzione congiunta di un nuovo stadio  e se ne vanno ognuno per la sua strada. Il Milan punta a un terreno contiguo all’Ippodromo del Trotto, l’Inter ha un piano B che pare sia  un’area fuori città. Se nessuna delle due squadre fosse interessata al Meazza e "il Milan andasse a La Maura  - ha aggiunto il primo cittadino  -saremmo costretti a trovare una destinazione per San Siro. Non potrebbe rientrare negli interessi istituzionali del Comune, l’unica possibilità sarebbe aprire agli operatori che vogliono fare eventi, concerti etc.. probabilmente degli interessati ci possono anche essere".

Io vorrei Io vorrei Ritornare laggiù da lei Ma so che non andrò Oh no, no

Le parole del sindaco “ il vecchio San Siro non lo vuole più nessuno” mi procurano  uno stato di latente depressione, forse dovrei prendere un Prozac. Invece, prendo un altro caffè e ripenso a una giornata di primavera inoltrata di qualche anno fa. In sella alla mia mountain bike pedalo su via Novara, voglio andare al Trenno che è un parco vicinissimo a San Siro.
Proprio agli inizi della lunga via Novara incontro una comitiva di ragazzi e ragazze che mi fanno cenno di fermare. Sono tutti biondi, alti, sorridenti e tedeschi. Li ricordo come se li vedessi in questo momento, onestamente rammento meglio la statuaria vichinga che mi chiese con un sorriso da valchiria: “San Ziro, per favore…”. Indicai la strada, senza rinunciare a dare uno sguardo finale alla fraulein che oltre a dirmi crazie, mi regalò uno splendido sorriso di primavera.Poi pensai: la Scala, il Duomo, il Castello Sforzesco e, naturalmente, San Siro, lo stadio che i ragazzi tedeschi hanno visto in Tv in occasione delle partite di Coppa del loro Borussia o chissà quale altra squadra tedesca. I luoghi della storia di Milano...

Lei è bella Lo so È passato del tempo ed io Ce l'ho nel sangue ancor

A metà mattinata di questo 1° marzo – un maledetto giorno da Prozac – decido che devo rileggermi la storia di San Siro e con il giusto sottofondo musicale. Luci a San Siro di Vecchioni.
Andiamo con ordine, Intanto, perché, inizialmente lo si è chiamato San Siro? Perché il quartiere dove oggi c’è lo stadio era un antico borgo medievale conosciuto per la sua chiesa S.Siro alla Vepra. Qui si rifugiarono i milanesi per sfuggire alla distruzione della città ordinata dall’imperatore Federico I° nel 1162.

Luci a San Siro di quella sera Che c'è di strano, siamo stati tutti là Ricordi il gioco dentro la nebbia? Tu ti nascondi, e se ti trovo ti amo là

La storia ci certifica che, nel 1925, a volere uno stadio calcistico, nelle vicinanze dell’Ippodromo per il Trotto – tu guarda talvolta le coincidenze della vita – fu Piero Pirelli, presidente del Milan. Adesso, lasciatemelo dire… insomma siamo sempre noi rossoneri a dare il via ai progetti. No, questo lo sottolineo, solo per amore della verità… ecco sì… storica.
Piero Pirelli era un grande appassionato di sport. Fu tra i soci fondatori, nel 1899, del Milan Football Club. Fu lui a volere uno stadio con una struttura simile a quella degli stadi inglesi. Lo realizzarono in 13 mesi con un costo di cinque milioni di lire. La struttura era composta da 4 tribune rettilinee e aveva una capienza di 35 mila spettatori. Progettato da Ulisse Stacchini e Alberto Cugini come campo ufficiale della squadra di calcio Milan F.C., fu inaugurato nel 1926 con un derby amichevole vinto dall’Inter per 6-3. E tipareva… vabbè lasciamo stare.

Milano mia portami via fa tanto freddo e schifo e non ne posso più facciamo un cambio prenditi pure quel po’ di soldi quel po’ di celebrità ma dammi indietro la mia seicento i miei vent’anni ed una ragazza che tu sai

 Nel 1935, il Comune acquista San Siro e avvia l’ampliamento della struttura. La capienza venne portata a 55.000 posti. Il Duce, che di calcio non capiva nulla, ma di folle se ne intendeva, capì subito il forte richiamo che il football esercitava sulle masse. Sotto il regime, il campionato italiano raggiunse livelli di popolarità tale da superare tutte le altre discipline sportive.
Mussolini, che di strategie militari ne sapeva poco e pertanto condusse il paese nel baratro di una guerra disastrosa, vide subito nel pallone un formidabile strumento di  propaganda. Ordinò la costruzione di nuovi stadi in molte città. Proprio, durante gli anni del regime, non a caso, l’Italia si aggiudicò due campionati mondiali e una medaglia d’oro alle Olimpiadi di Berlino.

Ma il tempo emigra, mi han messo in mezzo Non son capace più di dire un solo no Ti vedo e a volte ti vorrei dire "Ma questa gente intorno a noi che cosa fa?" Fa la mia vita, fa la tua vita Tanto doveva prima o poi finire lì Ridevi e forse avevi un fiore Non ti ho capita, non mi hai capito mai

La guerra finisce, lascia in eredità tantissime macerie, non solo materiali. Ma, bisogna ricominciare. Scatta la voglia di ricostruire, pensare al futuro che è una promessa e non più una minaccia.
Così, nel 1947, anche San Siro viene ampliato ulteriormente. Adesso può contenere sino a 85.000 spettatori. Venne aggiunto, in quell’anno, un secondo anello di tribune che, parzialmente, coprirono le vecchie tribune. Ne risultò un ammodernamento dell’architettura dello stadio grazie alle rampe elicoidali che consentivano l’accesso al secondo anello.
Nella stagione 1947/48 lo stadio diventò la  casa comune delle due squadre milanesi.

Hanno ragione, hanno ragione Mi han detto: "È vecchio tutto quello che lei fa" Parli di donne da buoncostume Di questo han voglia, se non l'ha capito già E che gli dico? "Guardi, non posso Io quando ho amato, ho amato dentro gli occhi suoi Magari anche fra le sue braccia Ma ho sempre pianto per la sua felicità..."

Negli anni ’60 Milano divenne la capitale incontrastata del calcio italiano.
Inter e Milan si aggiudicarono entrambe due Coppe dei Campioni e le due compagini dominarono la scena anche nel campionato nazionale. I nerazzurri vinsero tre scudetti e arrivarono secondi quattro volte in dieci anni. I rossoneri conquistarono due titoli e altrettante volte si piazzarono al secondo posto. Sono anche gli anni del boom economico.
Milano traina non solo l’economia nazionale, ma diventa un immenso laboratorio di grandi trasformazioni sociali.
Migliaia di immigrati, provenienti dal Sud, affluirono in città. Trovarono lavoro nelle industrie localizzate nell’hinterland milanese Alfa Romeo, Innocenti, Pirelli, Zanussi. Nel 1980, le tifoserie di Inter e Milan, una volta tanto, si trovarono d’accordo nell’intitolare lo Stadio a Giuseppe Meazza. Vestì le maglie di entrambe le squadre e fu uno dei protagonisti in assoluto per la conquista della Coppa del Mondo con la nazionale.

notti magiche inseguendo un goal sotto il cielo di un’estate italiana

Negli anni ’90 San Siro – pardon Meazza – si fa bello per ospitare le partite del Mundial.
Il Comune, in coincidenza con l’evento, decide di procedere a un profondo rinnovamento della struttura. Si scelse una soluzione architettonica di grande spessore. L’ardita costruzione di un  terzo anello e la copertura di tutti gli 85.700 posti a sedere. Fu ufficialmente inaugurato il 25 Aprile 1990, poche settimane prima di ospitare la partita di apertura del campionato del mondo.

E’ già pomeriggio. Vado a pescare un libro adatto alla giornata. Scelgo Splendori e miserie del gioco del calcio di Eduardo Galeano, grande scrittore e giornalista uruguaiano. Occupa un posto di rilievo nel panorama della letteratura latino-americana.
Sfoglio e alla fine trovo la riflessione aderente al mio stato d’animo.

Scende l’ombra sullo stadio che si svuota. Sulle gradinate di cemento ardono qua e là alcune fiamme di fuochi fugaci, mentre le luci e le voci si spengono. Lo stadio resta solo e anche il tifoso torna alla sua solitudine di io che è stato noi.
Il tifoso si allontana, si sparpaglia, si perde, e la domenica è malinconica come un mercoledì delle ceneri dopo la morte del carnevale.

(Eduardo Galeano)