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«Era lurido di fango, la faccia grigia di terra e immota nello sforzo.
Pedalava come se qualche cosa di orrendo gli corresse dietro e lui sapesse che a lasciarsi prendere, ogni speranza era perduta. Il tempo, null’altro che il tempo irreparabile gli correva dietro.
Ed era uno spettacolo quell’uomo solo nella selvaggia gola in lotta disperata contro gli anni»

Dino Buzzati, Corriere della Sera 10 giugno 1949

 “Giovannino, ho conosciuto una donna che è una sventola, appena si fa rivedere qui alle corse te la presento…”

Domenica 8 agosto 1948
La Tre Valli Varesine,
una ‘classica’ del ciclismo su strada, è da poco terminata e Giovanni Correnti, gregario del ciclismo, diventa il primo testimone di una storia d’amore che farà scandalo. Ricorderà in seguito che, dopo aver ascoltato la confidenza di Fausto Coppi, lo fissò e si accorse che i suoi occhi  erano già innamorati.  
La storia d’amore tra Coppi e Giulia Occhini fu uno dei più scottanti episodi di cronaca sportiva e di costume che divise l’Italia negli anni’50. Riempì le pagine dei giornali e provocò la reazione sdegnata della parte più bigotta della tifoseria del Campionissimo. Non perdonò al suo idolo di aver infranto le regole di una fiaba meravigliosa, quella del ciclismo, fatta di amore e senza gelosie, di fidanzati esemplari e di coniugi perfetti.
Sono tempi in cui l’Italia sconta le sue arretratezze, non solo economiche, ma anche sociali. Prevalgono mentalità e atteggiamenti che allignano sul terreno del bigottismo ipocrita di quegli anni.
Fausto e Giulia erano già sposati e con figli. Nel paese dei vizi privati e delle pubbliche virtù, la trasgressione era inconcepibile.
Storia complessa da rievocare, affidandosi solo alla parola scritta. Ci vorrebbe un Louis Ferdinand Celine, che aveva la capacità di dare al lettore l’illusione di ascoltare una voce, ovvero quella che gli addetti ai lavori definiscono l’oralità dello scrittore.
Il fatto è, per dirla tutta, che questa vicenda non è solo fatta di prodezze sportive e agonistiche, di rivelazioni scottanti, di foto rubate e di processi, ma anche di qualcosa di intangibile, quell’arte inconsapevole o, se preferite, quel magic moment che va sotto il nome di seduzione. Un  rito ancestrale che si esprime al femminile, ma spesso anche al maschile.

SE TU FOSSI ALLEGRO SARESTI UN LUOGO COMUNE
Chi era Giulia Occhini? Nasce a Napoli nel luglio del 1922, ma dal 1940 fino al 1945 visse ad Ancona ospite degli zii Dina e Carlo Caimmi. Nella città dorica portò a termine i suoi studi.
Giulia ha 18 anni, capelli neri avvolti in due lunghe trecce che scivolano sulla schiena, occhi andalusi. Modi raffinati, un portamento che è un mix di ritrosia adolescenziale e una sensualità esuberante. Sulla spiaggia del Conero, affollatissima, accendeva di desiderio e di ammirazione gli occhi dei suoi numerosi ammiratori che, al suo passaggio, sembrava mendicassero un’occhiata fugace.
Erano gli anni del Regime. Il fascismo non fu capace di produrre un modello di bellezza femminile in grado di essere apprezzato sia nel paese che all’estero. La politica utilizzava strumenti e metodi di persuasione volti a orientare le donne verso due doveri fondamentali: casa e riproduzione. Ma, già allora, la cultura commerciale esercitava una forte attrazione sulle giovani donne che in essa trovarono opportunità, modelli e suggerimenti decisamente antitetici agli scopi del regime.
Nel 1945, proprio in estate, in agosto, durante una gita a Senigallia, incontrò Enrico Locatelli, ufficiale medico, in servizio a Fano che, con qualche intima trepidazione ma piglio deciso, dichiarò il suo amore. Era, come si diceva allora, un buon partito. Proprio come nei  romanzi di Jane Austen le cui trame si basano sui valori tradizionali delle famiglie: proprietà, decoro e matrimonio.  
Un mese dopo, nel Municipio di Loreto, Giulia divenne la signora Locatelli.
La coppia andò a vivere a Varano Borghi, un piccolo paese della provincia di Varese dove Enrico esercitava le funzioni di medico condotto.
Il destino, com’è noto, spesso gioca le sue carte con una fantasia, in qualche modo, perversa, chiude gli occhi e getta i dadi sul tavolo.
Il dott. Locatelli era un grande appassionato di ciclismo e, come buona parte degli italiani, tifosissimo di Coppi.
Quando l’8 agosto del 1948 si disputò la Tre Valli Varesine, insieme attesero Fausto dopo la corsa e la bella Giulia si avvicinò raggiante al campionissimo e, con voce decisa, disse: “Voglio un autografo”. Appuntò il suo sguardo sugli occhi tristi di Fausto. L’airone era un eroe malinconico. Nella sua malinconia c’era anche quella di tanti italiani. Era il mood di allora che ben sintetizzò Orio Vergani:Grazie Coppi, se tu fossi allegro saresti un luogo comune”.
Da quel momento, comunque, si accese una fiammella che, negli anni a seguire, divenne un incendio. I coniugi Locatelli avevano una bambina di due anni, Loretta, detta Lolli, nata nel 1946 anno, magico di Fausto alla Bianchi.
Il Campionissimo era già marito di Bruna e papà di Marina.

UNA EMMA BOVARY ALL’ITALIANA?
Dopo l’incontro, in occasione della Tre Valli Varesine, ce ne furono altri. Coppi e Locatelli cominciarono a frequentarsi. Ci fu uno scambio di visite. Fausto si recò a Varese. La coppia ricambiò recandosi a Novi Ligure, dove Coppi viveva con la moglie. Dopo questa visita, tra Giulia e Il Campionissimo iniziò un’intensa relazione epistolare. Un fitto scambio di lettere che consentì a entrambi di rivelare i sentimenti più intimi, ma anche manifestare il disagio di una vita matrimoniale che era diventata angusta.
Fausto confessò di non amare più la moglie. Si erano conosciuti praticamente da adolescenti e, come spesso accade in circostanze simili, l’amore svanisce scandito tristemente da un tempo che tra le mura domestiche non passa mai.
Giulia, dal canto suo, rivelò di vivere un menage matrimoniale insoddisfacente. Disse che non era quella la vita che aveva sempre sognato. Varano Borghi, decisamente, non era il luogo giusto per i sogni e le aspirazioni di una bella e giovane donna. Quando, come vedremo in seguito, la relazione divenne di dominio pubblico, la stampa non esitò a ricorrere al più ovvio dei paragoni per enfatizzare il ruolo di Giulia: Emma Bovary. Il ricorso al capolavoro di Gustave Flaubert era quasi scontato. Troppe analogie. Il marito medico, un piccolo paese di provincia, la differenza di età tra i due coniugi, i sogni e le velleità di una giovane avvenente signora. Voilà… le jeux sont faits.
Ma Giulia Locatelli non era Emma Bovary, delusa e mortificata dal marchese imbroglione. Era semplicemente una bellissima donna stanca di sopportare il marito. Certo la stampa di allora, sempre alla ricerca di storie a forte impatto, utilizzò il romanzo per suscitare clamore, ma impostò la vicenda secondo i canoni del feuilleton. Flaubert rileva che gli uomini spesso sono, per tante ragioni, presuntuosi, qualche volta imbecilli e, nella migliore delle ipotesi, teneri fanciulloni senza anima. Chi ha letto bene e compreso il romanzo sa che l’unica a essere dotata di qualità virili è una donna, proprio lei Emma Bovary.

UN UOMO SOLO AL COMANDO
10 giugno 1949.
E’ un pomeriggio tiepido, preludio di un’estate calda e nell’aria c’è qualcosa di sospeso, una sorta di attesa premonitrice di un evento destinato a rimanere inciso nella memoria. Si lavora, si studia, si passeggia, si aspetta la ragazza, nascosti dietro l’angolo in modo che i suoi, dalla finestra, non vedano nulla.
Passa un ciclista, che va a fare le consegne e grida all’edicolante: “A Ma’, a che ora è 'a radiocronaca der Giro?”
"Oh... Gino o sai che un ce lo so… spetta un po’ che mo' guardo sul Corriere dello Sport... alle 4… ore 16 come sta scritto qui…”
"Anvedi, me devo dà 'na mossa, so' le 3 e mezza, vado al Bar de Nando che c’ ha a radio… te saluto”.

Seguiamo anche noi Gino, andiamo anche noi a bere una spuma da Nando.
Mezza Italia, quel pomeriggio, si piazzò davanti a una radio.
L’altra mezza, impegnata o al lavoro, passava e ripassava davanti alle finestre aperte nella speranza di intercettare una delle tante radio accese a tutto volume. L’attesa era per la sedicesima tappa del 32°Giro d’Italia, la Cuneo-Pinerolo, 254 chilometri, una spettacolare traversata delle Alpi con 5 colli da scalare, in parte sul versante francese per rinnovare l’amicizia con il nemico di ieri.
Fu proprio un 10 giugno di 9 anni fa che da un balcone di Piazza Venezia gli italiani appresero che avevamo ‘consegnato la dichiarazione di guerra a Gran Bretagna e Francia'.
L’itinerario della tappa è tosto, anzi tostissimo: partenza da Cuneo ed arrivo a Pinerolo, attraversando i passi di Vars, Izoard, Maddalena, Monginevro in Francia e poi tornare in Italia a scalare il Sestrière. Maglia rosa era Adolfo Leoni e alla fine del Giro mancano solo tre tappe. Ma torniamo al bar.
Nando, con il grembiule intorno alla vita, scatta verso l’enorme radio e gira la manopola. Si sente gracchiare… qualcuno impreca: “A Na... e vedi de cambiallo sto catorcio de radio… no?”. 
Nando sistema e si allontana senza voltare le spalle all’apparecchio, come si fa in chiesa davanti all’altare.
Poi l’annuncio: “Un uomo solo è al comando, la sua maglia è biancoceleste, il suo nome è Fausto Coppi.
A pronunciarla è Mario Ferretti, radiocronista Eiar (La Rai di allora si chiamava così, ndr) l’Omero del Campionissimo, una frase destinata a rimanere nella storia.

La Cuneo-Pinerolo è ancora oggi considerata la più bella tappa di sempre.
Coppi, quel giorno, fu protagonista di un’impresa epica.
A 5 chilometri dalla vetta della Maddalena, Primo Volpi, maglia rosa del Giro, si lanciò in fuga. Coppi gli corse dietro e da quel momento la corsa non fu più impresa sportiva... divenne Storia.
192 chilometri in fuga solitaria fino al traguardo di Pinerolo.
Devastato dalla fatica, al traguardo, riuscì a dichiarare: "Non avevo neppure pensato a una pazzia simile, anzi, ho sbagliato. Ho soltanto risposto a uno scatto di Volpi quando la salita, dopo Argentera, si faceva più ripida, e mi sono trovato in testa.
Ho visto Bartali un po’ indietro e ho continuato, ed eccomi qui. Ma quanto è stata dura! Troppo lunga!».

Le fragili ali dell’Airone si fasciarono di rosa.

(SEGUE)