Io ho sempre pensato, con Erasmo da Rotterdam, 
che le cose più grandi nella vita e nella Storia siano
sempre frutto, non della ragione, 
ma di una sana, lungimirante, visionaria follia.

Silvio Berlusconi

Gli intimi raccontano che il suo livre de chevet era l’Elogio della follia di Erasmo da Rotterdam. Come editore di una collana di classici della filosofia, che si chiamava Biblioteca dell’Utopia, aveva un culto particolare, non solo per il lusso della veste grafica, ma soprattutto per le idee, alcune decisamente rivoluzionarie, di cui si facevano portatori questi libri.  
Il 7 dicembre del 1990, a Milano, giorno di Sant’Ambrogio, presentò una lussuosissima e nuovissima edizione dell’Elogio della follia che faceva parte di questa serie, colta e raffinata, edita dalla Silvio Berlusconi Editore, la sua prima casa editrice dedicata ai maitre a penser che. in qualche modo, sentiva più contigui alla sua visione della vita e non vi è dubbio che il pensiero di molti di essi abbia contribuito alla costruzione della sua audace Weltanschauung che poi fu il sostegno morale  nelle tante battaglie della vita e del lavoro. Di quel libro, scrisse la prefazione. Dell’umanista olandese condivideva diverse idee. Non possiamo fare a meno di sorridere, un tantino maliziosamente, se, risfogliando, il saggio di Erasmo   leggiamo che la follia è allegoricamente rappresentata come una dea in vesti di donna  la quale sarebbe all’origine di ogni bene sia per l’umanità, sia per gli dei che riceverebbero al pari dei mortali i suoi doni: io, io sola sono a tutti prodiga di tutto. Un altro aspetto che, meglio di altri, illustra la personalità di questo controverso personaggio è una frase che usava ripetere spesso nei dibattiti che aveva con gli avversari politici. Lasciava terminare il suo interlocutore, lo fissava negli occhi e poi con calma gli chiedeva: Ma, senti… tu il sole in tasca ce l’hai?

L’UOMO NUOVO
Sul finire degli anni ’80 un famoso banchiere disse di lui: “Possiede l’umanità di Borghi, la fantasia di Mattei, la grinta di Monti”.
Era un personaggio sul quale Balzac ci avrebbe scritto un avvincente romanzo. Scalò le vette della ricchezza con la grinta e la determinazione di un self made man di stampo yankee, non disgiunti da quel pizzico di erasmiana follia cui abbiamo accennato prima. Come ha scritto un bravo giornalista, fosse nato nel Rinascimento sarebbe diventato un Colleoni o uno Sforza. E invece di costruire città le avrebbe conquistate.
In realtà, le sue conquiste stavano tutte nelle sue grandi capacità seduttive. Perché, come, giustamente, si dice, chi conquista seduce. Si tratti di una donna, di un uomo, una folla, un popolo.
Come ha scritto Albert Camus: si fa dire di sì senza fare domande. I grandi seduttori si sono sempre assicurati un posto nella Storia. Viveva come un moderno Grande Gatsby in una villa a Arcore. Hobby ne aveva  pochi. Adorava  la musica leggera: Prediligeva i cantanti francesi: Trenet, Becaud, Aznavour. Cantava, con voce intonata, accompagnato al pianoforte da Fedele Confalonieri, gentiluomo lombardo di antico lignaggio che era l’unico che poteva  permettersi il lusso di mandarlo a quel paese.
La sua vera, grande passione era il Milan e voleva acquistarlo a tutti i costi.  A proposito di passioni, però, ci corre l’obbligo di una precisazione: gli piacevano le donne, ma agli inizi giurava e spergiurava che era fedele alla moglie Carla. La prima.

QUANDO SILVIO CACCIO’ GIANNI
Il 1986 segnò la rinascita del Milan. Si può senz’altro affermare  che la storia moderna della squadra rossonera iniziò proprio in quell’anno. Molti, tra noi, per via del malinconico privilegio dell’anagrafe, lo ricorderanno. Si veniva da due retrocessioni, in quattro anni, in Serie B. A livello societario le cose non andavano meglio. Dissesti finanziari e scandali avevano portato alla messa in vendita della squadra. Dalla baracca rossonera giungevano terrificanti e sinistri scricchiolii. Dieci anni senza vincere uno scudetto furono una sofferenza infinita per i casciavit. La stella arrivò nel 1979, anno in cui Gianni Rivera lasciò il calcio. Rivera che nel pantheon rossonero, occupa un posto di rilievo. Offuscò, però, la sua immagine, quando, dopo aver attaccato le scarpe al chiodo, entrò a far parte della dirigenza, proprio nel periodo più buio della storia milanista.
La sua carismatica presenza, ad ogni buon conto, non fermò il tracollo finanziario e, soprattutto, non evitò la deriva morale a seguito della clamorosa vicenda del calcio-scommesse che, proprio alla fine degli anni’70, portarono il Diavolo nel purgatorio della cadetteria.
Quando, nel 1986, Berlusconi, varcò la soglia di Via Turati (vecchia sede del Milan) nelle vesti di  nuovo proprietario, disse chiaro e tondo al Golden Boy che non c’era più trippa per i gatti.
Due visioni del calcio, e di altre faccenducole, decisamente in contrasto. Non potevano convivere sotto lo stesso tetto.   
Finale quasi obbligatorio: il fantasista rossonero lasciò via Turati da un’uscita secondaria. Una resa senza condizioni.  
Va anche detto che Berlusconi agì, successivamente, nei suoi confronti, con l’astuzia di un principe che aveva ben appreso le  lezioni sul potere, dettate dal manuale machiavelliano.
Allo scopo di cancellare la memoria di Rivera, dall’immaginario della tifoseria, impose ai club, a lui intitolati, di cambiare nome. Gli ritirò, tra l’altro, la  tessera –omaggio per assistere gratis alle partite. Tra le altre cose, a ridosso di quegli anni Gianni Rivera finì dentro uno scandaletto rosa sul quale la stampa ci ricamò moltissimo. Ebbe una figlia da una giovanissima attrice e si rifiutò di sposarla. Giani Brera, che come sappiamo non lo amava alla follia, scrisse, maliziosamente, “Ebbe molte donne per poco amate e una figlia che invece gli è cara. Vive con la madre a Sanremo. Giusto, a questo punto, riferire anche il giudizio, decisamente più tecnico, sul giocatore Rivera, di Alf Ramsey, l’allenatore che guidò la nazionale inglese alla conquista del suo unico Campionato del Mondo nel 1966. Alla domanda di un giornalista, che gli chiese di indicare, i quattro calciatori più forti degli anni 70, rispose: ”Rivera, Rivera, Rivera, Rivera!".

LE OLIGARCHIE DEL CALCIO
Gerry Cardinale, che di potere se ne intende, qualche mese fa, in un convegno su calcio e affari, ha detto di Berlusconi: “E’ stato il primo oligarca, ha fatto del Milan uno dei più grandi marchi del calcio europeo. Ma, qual era, al tempo del suo teatrale ingresso nel mondo del calcio, la mappa del potere calcistico? La Juventus è la squadra – ma forse è meglio dire il giocattolo - della famiglia Agnelli che controllava un impero economico, oltre alla Fiat avevano in portafoglio banche, assicurazioni, imprese cementizie, agenzie di pubblicità. Per farla breve un valore totale stimabile intorno ai 60 miliardi di dollari.
Controllavano anche, tramite una corposa quota, la Rizzoli e quotidiani di peso, tra questi il Corriere della Sera.  Al vertice c’è un altro principe rinascimentale, Gianni Agnelli, playboy europeo di grande fascino. In fatto di seduzione non è secondo a nessuno. Ha flirtato per anni: da Rita Hayworth a Jackie Kennedy.
Degli Agnelli, osservatori maliziosi hanno detto che erano una sorta di monarchia italiana non ufficiale. L’avvento di Berlusconi modifica, e non poco, la geopolitica del potere economico e anche di quello calcistico. L’uomo di Arcore, nel volgere di un ventennio, edificò un gigantesco impero. Cominciò dal settore immobiliare, poi puntò le fiches sul settore televisivo, intuendone le grandi potenzialità di sviluppo in virtù del fatto che il regime di monopolio TV lasciava ampi margini di intervento.
Si allargò successivamente all’editoria, alla pubblicità e alle assicurazioni. Su queste basi, solidissime, consolidò la sua strategia per giungere alla vetta del potere. Nel 1994, divenne,infatti, presidente del Consiglio . Di fronte a questi successi la sinistra insorse. Troppi i conflitti di interesse per un premier. Una grave minaccia per la democrazia. Gli oppositori sottolinearono un aspetto oggettivamente grave. Nell’economia globalizzata i media detengono un potere ancora più pervasivo. Si rilevò, dunque, allora “che persone come Silvio Berlusconi sono in grado di operare a livello globale , possono sviluppare economie di scala che li rendono ancora più oligarchici e politicamente intoccabili.”

POTERI OCCULTI
Le società forti hanno sempre esercitato un potere occulto sul sistema calcistico nazionale a cominciare dagli arbitri. Ora, la cosiddetta sudditanza non è mai stata una favoletta che si racconta ai bambini, prima di mandarli a letto. C’è stata, c’è e ci sarà. Non saremo certo accusati di vilipendio alla Vecchia Signora se diciamo che, in qualche campionato, la Juve ha usufruito di più di una compiacenza arbitrale. Non è il caso di dilungarci. Anche perché, anche in casa Milan qualche scheletruccio frugando bene nell’armadio salta fuori. Quello che  ci preme, qui e adesso - hic et nunc e capire come, nel corso degli anni, Juve e Milan hanno declinato il loto potere.
Per andare subito al sodo del discorso c’è una vecchia battuta che, meglio di qualsiasi altra analisi, fotografa la concezione del potere in casa Juve-Fiat, il compito del presidente del Consiglio è lucidare le maniglie di casa Agnelli.
Chiaro il concetto? Ora, per capirci bene, non c’è dubbio alcuno che a Torino abbiano tirato su un impero economico’ anche grazie alle doti manageriali e carismatiche di Gianni Agnelli. Doti, che per sua stessa ammissione, comprendevano anche pratiche corruttive della classe politica. Agli inizi degli anni’90, confessò, pubblicamente che, nel decennio precedente, la Fiat aveva versato 35 milioni di dollari in bustarelle.Un sistema che crollerà sotto i colpi di maglio della magistratura negli anni di Mani Pulite.

SILVIO, IL NUOVO OLIGARCA
Il potere rossonero, con l’avvento del nuovo oligarca, si declina in maniera differente rispetto a quello patrizio o, se preferite, sabaudo degli Agnelli. In Casa Milan, il glamour è l’arma principale. Indubbiamente, riflette, un aspetto della personalità del ‘capo’. L’espressione tangibile, di questa atmosfera di fascino e, diciamocelo pure, di sensualità è rappresentata da Milanello.
Attingiamo alla descrizione di un giornalista straniero: Costruzioni basse e allungate circondate da terrazze pergolate, un roseto e alberi magnificamente integrati con il paesaggio. Gli interni poi sono ispirati a un gusto di qualità eccelsa. Porte in rosso laccato, con bordi neri. Divani bianchi. Un ambiente minimalista alla Ian Schrager, l’imprenditore americano che ideò il concept della boutique-hotel. Quando arrivò Berlusconi si occupò subito di Milanello. Discusse ogni minimo dettaglio con i giardinieri. Chiese e ottenne il roseto e le terrazze. Il senso estetico del presidente, in realtà, era solo un piccolo aspetto del grande fiuto per lo spettacolo. Il marchio di fabbrica degli oligarchi.
A questo punto è lecito chiedersi come si declina il potere rossonero, con i divani alla Schrager? Della Juve non si è mai capito bene come sia riuscita negli anni ad assicurarsi i favori in ambito calcistico. Del Milan, invece, si sa che da sempre esercita un soft-power sulla stampa, sui media, Difficilmente, tanto per esplicare meglio il concetto, la Juve concedeva ai suoi calciatori di rilasciare interviste e  quando lo faceva, lo faceva con grande riluttanza.
Al Milan i calciatori sono a disposizione della stampa per ore. Berlusconi che ‘dribblava’ alla grande le domande dei giornalisti politici, quando si trattava di parlare del Milan non si tirava mai indietro. Quando, inviati di giornali stranieri, si rivolgono all’Ufficio Stampa della società rossonera perché incaricati di un reportage sulla squadra e sul suo presidente vengono letteralmente presi in carico e vezzeggiati per tutto il tempo della loro permanenza a Milano. Se chiedono di assistere a una partita, trovano al cancello di ingresso di San Siro un’avvenente adetta-stampa che, dopo  aver stampato -scusate il bisticcio- due baci sulle guance dell’attonito reporter gli consegna il biglietto e poi lo conduce – presumo ancheggiando – al suo posto riservato in tribuna stampa.

SEGUE