«Di Berlino rammento la grandiosità dell’apparato. Di Hitler, invece, ho un ricordo confuso. Mi volle conoscere e stringere la mano. Mi disse qualcosa ma parlava in tedesco e io non ci capii nulla. Poi non ho dimenticato le feste, il sindaco e la banda alla stazione di Bologna e il prefetto che fa trasferire il suo segretario perché aveva preparato un mazzo di fiori piuttosto mosci. Avevo vent’anni, allora, e avrei dovuto partecipare anche all’Olimpiade precedente, quella del 1932 a Los Angeles. Ma sarei stata l’unica donna della squadra di atletica e così mi dissero che avrei creato dei problemi su una nave piena di uomini. La realtà è che il Vaticano era decisamente contrario allo sport femminile».
(Ondina Valla, prima donna italiana a conquistare un oro olimpico) 

Ondina, il sole in un sorriso! E’ il titolo, su nove colonne, con il quale un giornale sportivo italiano  il 7 agosto 1936 celebrò la vittoria, nella gara degli 80 metri ostacoli, alle Olimpiadi di Berlino, di Ondina Valla avvenuta il giorno prima nell’immensità dell’Olympiastadion della capitale tedesca. Nella semifinale, il 5 agosto 1936, aveva stabilito il record mondiale in 11’’ 6, che fu omologato come primato mondiale.
Ondina aveva 20 anni e diventerà la più giovane atleta italiana a vincere un oro olimpico. Il record durerà fino al 2004. La vittoria le fu assegnata grazie al fotofinish - diremmo oggi -perché arrivarono, contemporaneamente, in quattro sul traguardo. I tedeschi, che avranno molti difetti, ma in fatto di tecnologie bisogna lasciarli stare, attribuirono la vittoria a Ondina grazie alla Zielzeitkamera, ovvero la foto di arrivo. Quarta arrivò Claudia Testoni, amica-rivale di Ondina.
Era abituata ai record. Nel 1937, nel salto in alto, stabilì il primato nazionale con la misura di 1,56 m. Rimase suo fino al 1954. Era nata a Bologna il 20 maggio del 1916. La sua era una famiglia agiata. Unica femmina, prima di lei cinque fratelli. Il suo vero nome era Trebisonda. Nome ingombrante che il padre volle darle a tutti i costi per la grande ammirazione che aveva per l’antica Trapezunte, suggestiva città turca che si affaccia  sul Mar Nero. Una città che possiede tutte le meraviglie - diceva l’affettuoso papà – così come avrebbe dovuto averle l’adorata Ondina come fu poi più facilmente chiamata. Grande tifosa del Bologna ( al ritorno in patria, fra i tanti riconoscimenti, ricevette anche un abbonamento allo stadio). Sin da giovanissima mostrò subito le sue qualità. A 13 anni vinse i campionati interscolastici bolognesi. A 14 anni indossò la casacca azzurra e divenne campionessa italiana assoluta. Collezionò 18 presenze in Nazionale. Aveva un’innata versatilità che le consentì di gareggiare per 15 anni nelle corse piane e sugli ostacoli. Una spondilosi vertebrale (si tratta di una malattia degenerativa che vede le articolazioni consumarsi e l’avvicinarsi dei corpi vertebrali ndr) ne rallentò l’attività agonistica. A fine carriera Ondina  sposò un chirurgo ortopedico, Guglielmo De Lucchi, e si trasferì  all'Aquila, dove ebbe il suo unico figlio, Luigi. Morì il 16 ottobre 2016. Aveva 90 anni.

CALCIO, LA DISFATTA TEDESCA
Oltre 50 mila spettatori gremivano le tribune del Poststadion della Lehrterstrasse. Grande era l’attesa per il secondo quarto di finale tra Germania e Norvegia. Lo stadio si trova su una strada residenziale di Moabit, un sottodistretto di Mitte, uno dei 12 distretti di Berlino i cui confini sono stati ridefiniti dopo la caduta del muro di Berlino nel 1989. Per gli amanti dei luoghi della Storia aggiungeremo  che è la strada dell'ex posto di blocco, al tempo della guerra fredda,di Berlino est-ovest di Invalidenstraße. La compagine tedesca, allenata da Otto Nerz era considerata una delle favorite del torneo. Prima di affrontare la Norvegia aveva travolto il Lussemburgo per 9 a 0. Forte di questa sicurezza sostituì i giocatori titolari  con delle riserve. Voleva risparmiarli per la finale. Fu un errore. Arbitrava l’inglese Arthur Barron che alle 17,30 precise fischiò il calcio di inizio e diede anche l’avvio al dramma. Dopo soli 7 minuti la Norvegia passò in vantaggio complice uno svarione difensivo dell’intero reparto arretrato teutonico. La rete fu messa a segno da Isaksen. La Germania era in bambola. Difesa vulnerabilissima e attacco che non riusciva a concretizzare. Dopo i primi 45 minuti di gioco, il copione della partita  rimase invariato. La Norvegia, squadra veloce, rapida negli scambi, provò a quel punto a piazzare il colpo del KO. L’occasione capitò di nuovo a Isaksen che insaccò inesorabilmente. Germania eliminata, Norvegia in semifinale, dove avrebbe trovato l’Italia di Pozzo. Il Fuhrer è molto irritato – annota Goebbels  nel suo diario. Una vera e propria crisi di nervi. Il pubblico è su tutte le furie. Una battaglia mai vista prima. Il gioco come suggestione di massa.”

L’OSTICA NORVEGIA ALL’OLYMPIASTADION
Nell’immenso stadio berlinese – 90 mila spettatori – ci toccò dunque la Norvegia. I nordici schierarono una vera e propria nazionale maggiore nonostante le regole fiabesche del CIO. Aveva battuto la Germania, padrona di casa, credenziali non da poco e fatto inviperire Hitler che assistette sgomento all’incontro.
Fu una lotta. Si arrivò ai supplementari. Passammo in vantaggio al 15’ con Neri. Pareggiò Brustad al 57’. Nel tempo supplementare la solita zampata di Frossi ci portò in finale. La partita ha un retroscena che è stato rivelato dallo stesso Pozzo. «Dolosamente, qualcuno di quei diavoletti nipponici, con un fallo malizioso, ci aveva messo fuori combattimento il capitano ed ala sinistra, Giulio Cappelli. Non poté più comparire sul campo. Nella squadra c’era stato un cambiamento solo, quel giorno. Bertoni aveva preso il posto di centroavanti, sostituendo Scarabello. Mi dava delle soddisfazioni, ma anche dei grattacapi, Bertoni. Era un bel tecnico. Vedeva il giuoco, alla Meazza, toccava la palla a proposito. E, come Meazza, faceva funzionare con la  sua presenza l’intero settore di avanguardia. Ma, era venuto a Berlino, tacendomi di un principio di strappo muscolare ad una gamba. Poi, al vedere la squadra andar bene, ed al sentire il dolore riacutizzarsi, si era spaventato. Anche perché da uno strappo, come spesso avviene, ne nacque un secondo. Era un ragazzo onesto, e ai compagni, diceva che mi aveva ingannato: e piangeva. Io credevo in lui, sapevo che cosa voleva dire la sua presenza in squadra. E per lui andai a… rubare. Rubai un dottore. Il dottor Zezi, che era uno specialista dei raggi Roentgen, sapeva manovrare gli apparecchi per le cure elettriche più moderne, ma era addetto ai nostri canottieri, al Wannsee. Io glielo portai via, con ira di tutti. Però mise Bertoni in grado di prendere parte alla semifinale contro la Norvegia.”

AUSTRIA-PERU’: PASTICCIO O COMPLOTTO?
Incontrammo l’Austria in finale, ma forse avremmo dovuto vedercela con il Perù. Nel quarto quarto di finale  Austria –Perù si verifico un pasticciaccio. Proviamo a riassumerlo per sommi capi. Si giocò sabato 8 agosto allo stadio dell’Hertha. Gli austriaci andarono subito in vantaggio nel primo tempo: 2 a 0. I peruviani reagirono e, nella ripresa, riuscirono a pareggiare. Tempi supplementari. Nel primo, l’arbitro norvegese Kristiansen annullò ben tre goal ai sudamericani. Poi, negli ultimi 3 minuti, i peruviani segnarono altri due goal. Mancava un minuto alla fine del secondo tempo supplementare. 119’: invasione di campo. Ma chi erano? Non si è mai riuscito a stabilirlo. Un migliaio di persone invase il terreno di gioco, si disse allora  armate di bastoni, coltelli e anche una pistola. Fossero peruviani si sarebbe trattato di un bizzarro modo di festeggiare la vittoria. Nel bailamme un giocatore austriaco lamentò un colpo alla gamba e l’Austria inoltrò reclamo. La FIFA, incaricata di organizzare il torneo di calcio olimpico, prontamente lo accolse. Non bisognava deludere la nazione che ospitava i giochi. Ordinò dunque la ripetizione della partita per il 10 agosto e a porte chiuse. I dirigenti della squadra peruviana, bloccati da una parata militare che blindava la capitale, non riuscirono a raggiungere in tempo la sede dove si stava discutendo il caso. Appresa la decisione di ripetere la partita il Perù, per protesta, abbandonò i Giochi.
La vittoria fu assegnata, a tavolino, all’Austria. In poche parole la squadra peruviana fu elegantemente espropriata della vittoria. La domanda che tutti si posero fu -e ancora oggi è - com’era  stato possibile che in un’Olimpiade, che la signora Leni Riefestahl aveva riempito di cineprese e telecamere, l’unico evento privo di testimonianze filmate fu quella partita?

CIELO AZZURRO SOPRA BERLINO
Alle 17,30 in punto – quasi l’ora delle corride – le due squadre entrarono in campo. L’Italia si schierò con Venturini, Foni, Rava, Baldo, Piccini, Locatelli, Frossi, Marchini, Bertoni, Biagi, Gabriotti.L’Austria con E. Kainberger, Kargl, Künz, Krenn, Wallmüller, Hofmeister, Werginz, Laudon, Steinmetz, K. Kainberger, Fuchsberger.
L’arbitro è il tedesco Bauwens. Una scelta che a Pozzo non piacque. Il pubblico era schieratissimo. Considerava l’Austria come parte integrante della Germania  (cosa che avverrà due anni dopo il 12 marzo del 1938 con l’Anschluss ndr). L’Italia partì benissimo. Il reparto arretrato difendeva con ordine. Buona la tessitura a centrocampo. Ripartenze veloci che costrinsero da subito gli austriaci sulla difensiva. Si disse allora che anche il secondo posto sarebbe stato un successo, considerato come era cominciata l’avventura. Ma, ora che si era a un passo dalla gloria perché rinunciare? A 20 minuti dalla fine Frossi si districò bene in una mischia, nella difesa austriaca, e mise a segno il suo sesto goal olimpico. Sembrava fosse finita. Invece, Kainberger trovò la rete del pareggio. Bauwens al 90’ fischiò la fine della partita e quindi si andava ai supplementari. Le due squadre erano esauste e, a quel punto, provarono a gettare, sul piatto della partita, gli ultimi spiccioli di agonismo.
Al 92’ un lampo. Come andò la raccontò qualche  anno dopo Annibale il cannibale – altro soprannome di Frossi - «Al 92′ minuto strappai la rete risolutiva. Centro di Gabriotti, magnifica finta di Bertoni che simulò un’entrata di testa. Irrompendo in piena corsa mi trovai il pallone sul sinistro. Sono sempre stato scarso e incerto su quel piede, ma quella volta colpii duro e secco: pallone in rete e più tardi il nostro tricolore si alzava sul pennone più alto dello stadio, nel silenzio solenne di centomila spettatori».Settanta anni dopo – il 9 luglio 2006 – quello stesso stadio, si sarebbe colorato nuovamente di azzurro. Campioni del Mondo per la quarta volta dopo un’incredibile finale contro la Francia decisa ai rigori. Ancora un cielo azzurro sopra Berlino.

P.S. A conclusione di questo lungo – e per certi versi estenuante, me ne rendo conto – excursus storico su Berlino 1936 voglio ringraziare quanti eroicamente lo hanno letto e anche gratificato di pollici rivolti all’insù.
Permettetemi un suggerimento: guardate e ascoltate il video che accompagna questo post. E'struggente.


GRAZIE!
Pereira