La diarchia è una forma di governo che, nel corso della storia, ha quasi sempre fallito. Si pensi ad esempio alla famosa diarchia spartana. Per quanto fosse figurativa, in molte occasioni fu culla di profondi conflitti tra i due regnanti, nonché di invidie profonde e complotti letali. Al contrario, fu nella Roma imperiale che, questo strano e bislacco sistema governativo, trovò un po’ di fortuna. Era il secondo secolo d.C. e dopo i regni laminati d’oro di Adriano e Antonino, giunsero sul seggio imperiale un certo Marco Aurelio, in seguito soprannominato “il Filosofo”, e suo fratello acquisito Lucio Vero. Per quanto fossero diversi, Marco e Lucio si rispettavamo e si stimavano l’un l’altro. Il primo addirittura, tanto era il sentimento che provava per il suo “collega”, a questi diede in moglie la propria figlia, ovvero Lucilla. Divisero dunque in maniera equa poteri e diritti spettanti al singolo imperatore, così come forse i loro predecessori, Adriano e Antonino Pio, avevano desiderato. E le cose andarono bene per diverso tempo, ma nessuno sa dire con certezza quanto sarebbe durata. Infatti, a differenza di Marco Aurelio che fu più longevo, Lucio Vero perì dopo appena otto inverni di impero, a 39 anni. Della serie “il gioco è bello quando dura poco”, non è improbabile che, con l’andare del tempo e numerosi vicissitudini, anche una collaborazione così forte avrebbe potuto trovare qualche ostacolo di fronte a sé. Questo perché la coesistenza non è semplice, soprattutto quando c’è di mezzo un discorso di leadership

Giunti nell’epoca attuale, troviamo dunque una nuova e scialba diarchia. Essa in realtà non riguarda troni o seggi reali, bensì il comando di una scuderia motoristica.  Questa è infatti la storia di quella che forse un giorno sarà narrata come l’epica disputa tra “Sebastiano il vecchio” e “Carlo il superbo”. Color che, in singolar tenzone ad oggi, si lottano il seggio di supremo signor del casato di Ferrari, il cui grandioso destino cala in ombra da ben lungi. Scherzi a parte, purtroppo quanto accaduto a Interlagos tra i due piloti Ferrari, Sebastian Vettel e Charles Leclerc, ha fatto il giro del mondo. E, così facendo, ha lanciato l’ennesima gittata di fango su un blasone storico come quella del Cavallino Rampante. Una diarchia violenta è infatti divenuta quella esplosa tra l’esperto alemanno e il corsaro monegasco. Una lotta infida e ricolma di ostacoli per entrambi, ma controproducente soprattutto per la bandiera sotto la quale essi corrono. Si potrebbe infatti dire che, dopo il suicidio del Brasile, la Ferrari stia vivendo il periodo più cupo degli ultimi vent’anni. Non solo è infatti fuori da qualsiasi lotta per l’ennesima volta, l’ennesimo mondiale, ma addirittura si ritrova con una brutale lotta intestina tra i propri protagonisti. Nulla di imprevedibile, per carità. Il fatto che Vettel e Leclerc fossero in competizione era già da tempo sotto gli occhi di tutti. Ma quella rivelatasi sul tracciato di Interlagos ha abbandonato definitivamente il campo dell’agonismo, penetrando sul terreno dello scontro all’ultimo sangue. Una rivalità tanto accesa, che una simile non si vedeva da almeno tre decenni. Un conflitto che si è acceso quando, alle soglie del paddock ferrarista, è giunto questo giovanotto dal carattere sbarazzino e dal futuro roseo. Charles Leclerc, superfluo dirlo, è stato probabilmente uno dei migliori acquisti effettuati dalla Ferrari negli ultimi anni. Meno brillante però è parsa subito la gestione del sul carattere, soprattutto in relazione con il progetto vigente. Leclerc è stato infatti assoldato con obiettivi di prospettiva. In altre parole, fu scelto dalla Ferrari come gregario e apprendista stregone del quattro volte campione Sebastian Vettel. Un ruolo infame è però quello del maestro, soprattutto quando la tua testa è focalizzata su obiettivi decisamente più personali, come la conquista del tuo quinto titolo mondiale. Peggio ancora, quando l’allievo dimostra la furbizia di una faina e la sete di sangue di una iena, il tuo compito non solo si fa più arduo, ma diventa persino pericoloso. Non esiste infatti peggior apprendista, di colui che sogna di conquistare anzi tempo il ruolo del proprio maestro. E questo è proprio quello che è successo in casa Ferrari, nella stagione che sta volgendo al termine. 

Complici numerosi problemi e un feeling non eccezionale con l’auto, Sebastian Vettel ha dovuto ben presto far fronte alle invettive del suo stesso compagno di squadra. Come un leone ferito, si è ritrovato nella situazione peggiore, a doversi difendere sia dai predatori, che dal giovane leone del suo branco, mosso dal desiderio di prenderne il posto. Per quanto questa lotta intestina sia stata tenuta sotto traccia il più possibile, alla fine le prime gocce di sangue hanno cominciato ad arrossare il terreno. Non una, ma entrambe le monoposto fuori gara a causa di questa lotta fratricida. Un disastro non solo dal punto di vista della classifica, ma soprattutto da quello dell’immagine. L’impressione avuta da molti dopo i fatti di Interlagos è che nessuno, da Binotto ai più alti dirigenti, sia in grado di controllare e raffreddare la rivalità tra i due piloti. Entrambi hanno infatti il medesimo obiettivo e muovono motivazioni altrettanto valide per pretenderlo. Da una parte Vettel ha il diritto di richiedere la leadership, data la sua esperienza, nonché il suo palmares. Dall’altra, il talento e la sagacia di Leclerc hanno dimostrato come, nonostante la giovane età, non sia secondo a nessuno. Un problema non facile da districare, almeno non senza allargare una frattura di già di dimensioni importanti. Chiaramente, il desiderio della scuderia sarebbe quello di sanare il conflitto, facendo rientrare l’allarme atomico esploso dopo Interlagos. Purtroppo però, osservando bene gli eventi, questa possibilità sembra ben lontana dal potersi realizzare. 

Che fare dunque? In simili casi, a volte la chiave di lettura più semplice è quella della separazione. Leclerc è giovane, con ampie prospettive di crescita. Potrebbe essere veramente il campione del mondo dei prossimi anni, colui che potrebbe riportare la Ferrari al titolo dopo molti anni. Vettel è invece al tramonto della propria carriera. Da tempo la sua freddezza ha cominciato a scemare, nonché la pressione che sta vivendo si fa ogni giorno più difficile da reggere, per lui. Offrirgli una buona uscita, e permettergli magari il ritorno nella sua amata Redbull, potrebbe essere la scelta più semplice. Finirebbe così una diarchia pericolosa, il cui posto vacante verrebbe assegnato a un pilota dimissionario, oppure a un ottimo gregario studiato e ingaggiato esclusivamente per aiutare il giovane corsaro. Per fare ciò però, servirebbe che molti fattori s’incastrino alla perfezione. Inoltre, come già detto, la Ferrari spererebbe nella possibilità di continuare con la medesima squadra, anche nella prossima stagione. Tale alternativa vedrebbe concedere un congelamento condizionato della leadership sino ai primi quattro o cinque gran premi della prossima stagione. In altre parole, i due galli avrebbero modo di sfidarsi per qualche gara, alla fine di comprendere realmente chi sia il più forte, nonché il più idoneo a competere per il mondiale. Riconosciuto il reale pretendente alla leadership però, lo sconfitto dovrebbe come minimo farsi da parte e correre un intera stagione nel ruolo di semplice gregario. Una scelta che andrebbe particolarmente indigesta sia a Vettel, quando a Leclerc. È dunque possibile che un simile scenario si realizzi? Per quanto riguarda il sottoscritto, sarà molto difficile. Perché come detto in precedenza, Marco Aurelio e Lucio Vero a parte, ogni diarchia è sempre finita in unico modo. Tra sangue e devastazione.