Storia di qualche tempo fa. 
Come faccio sempre, mi dirigo nel mio ufficio verso le 7 del mattino. Sebbene il mio orario inizi intorno alle 9, mi piace organizzarmi la giornata nella tranquillità e nel silenzio, dando uno sguardo a mail e appunti mentre mi faccio un caffé o mi fumo un  buon cigarillo alla vaniglia per iniziare la giornata.  
Mentre faccio scorrere la casella, ecco però che i miei occhi cadono subito sulla mail del mio caro amico, nonché cliente, Claudio. L'oggetto della missiva riporta perfettamente il suo senso di urgenza. 

PROBLEMA!!!
Igor, ho un problema. Ieri mattina abbiamo ricevuto un controllo fiscale da parte delle Fiamme Gialle. Dopo una giornata intera di analisi, ci hanno notificato che potrebbero esserci delle incongruenze sui bilanci di tre o quattro anni fa. Parlano di “plusvalenze ritoccate”... sai che non me ne intendo di sta roba. Mi devo preoccupare?

Leggendo quelle due paroline - plusvalenze ritoccate - non perdo tempo a rispondere. Posticipo un paio di appuntamenti, faccio qualche telefonata e mi infilo quanto prima in macchina. Tra me e l’azienda di Claudio ci sono una cinquantina di chilometri, una tratta sufficiente per elucubrare qualche riflessione perché, se ancora non si fosse capito, la cosa è spessa come si dice dalle mie parti; è gravosa. 
In linea di massima, non ho motivo di preoccuparmi. Controlli e sospetti sono all’ordine del giorno, inoltre l’azienda di Claudio è florida, composta da professionisti seri e onesti. Detto ciò, la questione non deve comunque essere presa sottogamba. E infatti, appena arrivato, tali incongruenze segnalate dalle Fiamme Gialle si palesano di fronte ai miei occhi. Per quanto legga e rilegga quei dati, c'è qualcosa che continua a non tornare. 
La cosa mi lascia basito perché, come già detto, l’azienda di Claudio scoppia di salute; non ha bisogno di simili giochetti. Ritoccare le plusvalenze è infatti una pratica - illegale e immorale - per far risultare un utile più corposo in fondo al bilancio. I folli che ci hanno ricorso in passato - pagandola cara in seguito -, lo facevano per disperazione, al fine che le banche non chiudessero i rubinetti o per evitare fughe di azionisti. Episodi che nella storia, anche recente, dell’industria si sono ripresentati a più riprese e che, in particolare negli ultimi vent’anni, hanno cominciato ad albergare persino nella cronaca sportiva. 

I casi attuali di Juventus e Inter - ma non solo tali società - riguardano proprio questo aspetto di plusvalenze fittizie e/o gonfiate - che non sono esattamente sinonimi -, ma di che si tratta in particolare?
Cercherò di essere breve.
Plusvalenze e minusvalenze sono il valore differenziale di un bene che si riscontra in una compravendita, in cui il valore di cessione risulti superiore - plusvalenza - o inferiore - minusvalenza - al suo valore contabile al momento dello scambio
Esempio semplice semplice. Il giocatore Tizio è stato comprato per 10 milioni e ha firmato un contratto quinquennale. Ciò significa che, a ogni anno di contratto, il suo valore di partenza diminuirà di un quinto, sino ad azzerarsi completamente a fine contratto. Immaginiamo che venga poi rivenduto al termine del terzo anno di contratto per una cifra di 7 milioni. Che cosa accade in questo caso? Facile: 

  • al suo valore di partenza (10 milioni) sono state ammortizzate 3 annualità

  • ogni annualità vale 2 milioni (10 milioni / 5 anni)

  • il suo valore contabile del momento è dunque 4 milioni [10 - (2X3)]

  • vendendolo a 7 milioni, si crea una plusvalenza di 3 milioni (7 di offerta - 4 contabili = 3 di plusvalenza)

Fin qui tutto semplice. Se è tutto in ordine, la società acquirente verserà i sette milioni con regolare bonifico nelle casse di quella venditrice. Nel calcio le plusvalenze sono considerate ricavi ordinari, dunque sono soggette alla formazione del reddito e vengono tassate globalmente come tali. 
Quando allora le plusvalenze sono fittizie o gonfiate? Come dicevo di partenza, i due termini rappresentano situazioni simili nella nomenclatura, ma estremamente diverse nella sostanza. 
Si parta dal presupposto che la legge, in fatto di bilancio, è molto chiara. Esso deve riportare i fatti economici e patrimoniali di un’azienda in maniera chiara, trasparente e, soprattutto, veritiera. Se un suo dato viene considerato fittizio, sta a significare che ci si trova di fronte a una possibilità di reato. 
Nel caso specifico, un esempio di plusvalenza fittizia si ha quando due società decidono un prezzo di scambio, questo viene segnalato in bilancio, ma alla fine non c’è reale passaggio di denaro dall’una all’altra. In questo caso, scoprire il reato è “relativamente” semplice: basta confrontare le fatture (che riportano il dato economico) e gli estratti conti (che confermano il passaggio di denaro). Se non c’è corrispondenza, allora vi è un potenziale sospetto di reato, perché c’è un dato oggettivo - documenti - che lo dimostrerebbe. 

Ben diversa la questione di plusvalenze gonfiate.
In questo caso si tratta di un caso di valutazione di “contezza del dato”, come si dice in gergo. In altre parole: il valore dato al giocatore è equo, giusto, equilibrato? Come direbbero alcuni, una discussione sulla lana caprina insomma, perché si va a identificare quanto sia valido vendere un giocatore a un prezzo, piuttosto che a un altro. Cosa impossibile in maniera oggettiva, soprattutto in settore simile, non essendoci tariffari previsti di legge che diano valori medi ai calciatori. A differenza delle fittizie dunque, nelle plusvalenze gonfiate spesso manca il dato oggettivo, il che porta frequentemente alla caduta delle accuse. A meno che...  
… a meno che non si trovi la cosiddetta pistola fumante. Laddove Inter e Milan furono assolti da ogni accusa nel 2004 per un caso simile, Chievo e Cesena vennero invece condannate. Come mai? Perché negli ultimi due casi furono trovate intercettazioni in cui i dirigenti parlavano appunto di gonfiare i prezzi dei giocatori, accordandosi con le società acquirenti che venivano rimborsate della spesa eccessiva per vie traverse. Il tutto per evitare perdite e potersi iscrivere al campionato. Sappiamo bene che fine hanno fatto le due società. 
Se non si trovano dunque intercettazioni, Inter e Juve sono salve? Non è detto. Tralasciando il fatto che si tratta di casi diversi, partiti da segnalazioni differenti, e gestite da procure anch'esse altre, può essere che ci vorrà un po' prima che dirigenza e tifosi possano dormire sonni tranquilli. Esistono infatti pratiche legali, ma strane, che possono indurre a pensare che una società abbia fatto strani giri di giocatori, gonfiandone il prezzo e utilizzando altri scambi per non farli pagare. Attività che, sebbene siano velate dalla legalità, attirano l’attenzione della magistratura, la quale va a indagare se, all’interno dei loro meccanismi, vi siano stati passaggi poco puliti. Nello specifico, nella Juve pesano diverse scambi di giocatori dalla primavera. Nell'Inter, i giri effettuati con Pinamonti e il portiere Radu. 

Come si conclude dunque la riflessione? In maniera ancor più semplice.
Se tali passaggi poco puliti non si trovano, giungerà un classico non luogo a procedere. Se invece emergeranno, allora un fuoco di paglia potrebbe invece tramutarsi in un incendio
Falsare o gonfiare una plusvalenza, con ovvie prove alla mano, è un reato noto come Falso in Bilancio o, meglio ancora, False comunicazioni sociali citato all’art. 2621 del codice civile. La pena va da uno a cinque anni di reclusione per chi ha commesso il fatto.
E per quel che riguarda le società? Laddove nell’ordinanza classica pagano con multe e ammende, nel calcio la questione è invece più gravosa. Si può partire da una multa anche lì, procedendo poi con qualche punto di penalizzazione. La cosa si fa truculenta se, facendo i dovuti calcoli, si scopra come, senza le cifre illegali inserite a bilancio, le società avrebbero avuto difficoltà a rientrare dentro i parametri UEFA o a muoversi sul mercato. In quel caso, si potrebbe arrivare alla restituzione dei proventi da partecipazioni alla champions, all’esclusione pluriennale dalle coppe o, pena massima, esclusione dal campionato e richiesta di messa in liquidazione della società (fallimento)
Con ciò che i media hanno per ora in mano, è inutile farsi simili viaggi mentali e non resta che attendere.

Ah, prima di salutarvi, quasi mi dimenticavo del buon Claudio. Alla fine si è risolto tutto in una bolla di sapone. Si era trattato di un errore - dimostrabile - di registrazione contabile. Dopo aver pagato un’ammenda e aver avuto gli occhi addosso da parte delle autorità per qualche tempo - fidarsi è bene… -, le acque hanno smesso di agitarsi. 
… non sempre però va così. 

Un abbraccio
Igor