L’economia è una materia che si basa strettamente sulla ragione. Per quanto una simile frase possa apparire banale, pone le sue fondamenta su un concetto molto importante che è quello della ratio
Che cosa sta a indicare questo termine latino? Molto semplice. Prima della nascita del sistema monetario, ovvero della possibilità di scambiare beni con l'utilizzo di un surrogato valutario quale è il denaro, come si faceva a comprendere quanto valessero questi beni? Se io proponevo tre capre, quanti buoi potevo avere in cambio? Ebbene, la ratio era proprio il principio, o il parametro, che permetteva di mettere a confronto i due beni di natura diversa, affinché si potesse bilanciarli. 
Dunque l'economia è una disciplina strettamente ancorata al concetto di confronto. Guarda caso, quando ero ancora un fresco diplomato magistrale, e mi avvicinavo da totale neofita alla materia ragionieristica, mi veniva difficile comprandere quale fosse la ratio che mi permettesse di valutare i bilanci aziendali. Quando una società è florida e quando è sull'orlo del baratro? Come faccio a capire se le sue prospettive sono buone o fallaci?
Ebbene, fu un abile professore a rispondermi con due semplici parole: non puoi! E infatti non potevo, se alla base del mio ragionamento non ponevo la pietra angolare del confronto. Confronto dimensionale, temporale, settoriale. Per capire se un'azienda è solida, a dirlo è il confronto che faccio dei suoi numeri attuali con quelli del passato, dei suoi concorrenti e dell'intero mercato. Senza, il suo bilancio è solo una lista di conti numerati privi di qualsiasi senso. 
Quella fu per me una lezione molto importante, perché mi preparò a quella che sarebbe stata la mia carriera sul campo, come consulente. La nostra materia non a caso si chiama ragioneria, perché bisogna ragionare. Indici rivelatori, quozienti mirati, rating bilanciati... tutte baggianate per chi vuole ridurre la nostra disciplina a una manfrina da rabdomanti
Forse si penserà che queste furono le parole tronfie di un professore un po' troppo pieno di sé, ma la realtà alla fine - almeno secondo il mio personale punto di vista - gli diede ragione. Lehmans & Brothers, i cui indici e rating erano tra i migliori al mondo, ne seppe qualcosa in quel lontano 2008. 
Per questo - e mi scuso per questo mio lungo proemio -, mi viene a dir poco da ridere quando sento che le nostre società di calcio vengono valutate sulla base di singoli indici. Indici la cui inefficacia è di fatto dimostrata dallo stato dell'arte dell'ultimo decennio, dove il grado di indebitamento e di squilibrio finanziario non hanno fatto che crescere all'interno del sistema calcio. 

Secondo la sezione II, art. 85, punto VIII del NOIF, Norme Organizzative Interne della F.I.G.C., le società partecipanti ai vari tornei devono essere sottoposte a un controllo dell’equilibrio economico-finanziario, ovvero il calcolo di tre indici in particolare: 

  • indicatore di liquidità

  • indicatore di indebitamento

  • indicatore di costo del lavoro allargato

Evitando di arrischiarmi su un terreno di tecnicismi inutili e tediosi, vi basti sapere che per ognuno di tali indici è previsto un parametro soglia, sotto o oltre il quale - a seconda dell'indice - la società si considera in situazione critica. In tal caso, la norma prevede che la società venga interdetta dagli investimenti sul mercato e, nei casi peggiori, sottoposta a controlli specifici per comprendere se abbia ancora il diritto di iscriversi al campionato nazionale di competenza. 
La verità? Mi spiace dirlo: sonore bubbole. 
Partendo dal presupposto che analizzare singoli indici di un singolo anno non ha alcun valore analitico, se non per gli amanti dei giudizi frettolosi, mi sovvengono alcune criticità palesi di questo sistema, di cui ve ne elenco solo alcune:

  1. su quale base vengono elaborati valori soglia, ovvero con quale ratio?
  2. esistono dei sistemi che individuino possibili manomissioni dei valori?
  3. i valori-soglia comportano provvedimenti diretti o clausole di salvaguardia?

Prendiamo per assodato che i primi due punti siano corroborati da pratiche ben oliate e sicure - cosa per cui in sincerità nutro qualche dubbio, focalizzandoci così sull'ultimo punto. 
In questo caso, bisogna partire dal concetto che tale valore abbia fluttuato costantemente nel corso delle ultime stagioni. A quanto pare il settore calcistico vive di una volatilità di equilibrio che non ha rivali... scherzi a parte, in questo suo costante livellamento, può portare il sospetto secondo cui, invece che a doversi adattare al sistema debbano essere le società, è il sistema stesso a mutare affinché le società possano rientrare nelle regole
Se già tale supposizione potesse trovare anche una minima conferma, il fatto sarebbe alquanto grave. In verità, la cosa peggiore sta a valle dell'intero sistema, in quanto cito testualmente il regolamento:
"nel caso una società non dovesse riuscire a raggiungerlo [il valore-soglia, nda] comunque, può sempre operare con aumenti di capitale o finanziamenti postergati da parte dei soci"
Tradotto: la tua società è fuori dai parametri e brucia capitali? No problem. Bruciane altri di tua tasca e fai quello che vuoi. Mai ode più grande e maestosa fu innalzata in onore del disavanzo. 
Ora, un sistema di valutazione con questi presupposti, il quale avrebbe come scopo primario la salvaguardia dell'intero sistema, nonché il perseguire la sana competizione tra le parti, come può pensare di raggiungere simili scopi? In tutto questo guazzabuglio di numeri lanciati senza alcuno scopo - dato che alla fine, se tu socio sei dotato di tasche danarose, non hai limiti -, dove sta la ratio su cui l'intero sistema dovrebbe basarsi?
Risposta secca: non c'è. O meglio, esiste ma sembra essere più interessata alla sopravvivenza del sistema stesso, al di là che si basi su good o - very, very, very - bad practice. E così l'indebitamento smodato non ha fatto che crescere, i vivai sono diventati un deserto dei tartari in quanto ricerca di talenti e l'inflazione - stagnante in qualsiasi altro settore - ha raggiunto livelli esponenziali in fatto di stipendi, provvigioni ad agenti e valutazione dei cartellini. 
Laddove presidenti quali Commisso e pochi altri hanno mosso parole dure riguardo all'utilizzo di tali valori, la vera battaglia dovrebbe invece essere fatta sul campo del metodo. Ogni anno infatti le squadre non presentano solo tali citati indici, ma registrano bilanci, budget, previsionali semestrali. Una documentazione talmente ricca che, se fosse stata messa su un piano di confronto temporale e settoriale, avrebbe da lungo tempo fatto scattare un allarme spaccatimpani. Il sistema è morente! Il cambio di passo, da semplice opportunità qualche anno fa, si è tramutata ora in una necessità da cui non si può prescindere!

C'era un tempo la favoletta del Fair Play Finanziario... una buona favoletta, senz'ombra di dubbio, ma guarda caso sempre invisa alla maggior parte delle società - le cosiddette big -, in quanto castrante di fronte al punto di vista delle spese pazze. Un sistema fallace, questo è certo, buono solo nei presupposti. Oggi però non c'è più nemmeno quello e la situazione non è di certo migliorata, anzi. 
Morale della favola, se proprio non si vogliono applicare i sistemi di controllo all'interno del sistema calcio, quantomeno si dovrebbe pretendere di eliminarli. Invece che far passare l'idea che le società, e il sistema stesso, debbano passare da un setaccio sensato e proficuo, cosa negata dai fatti, che almeno ci si degni di rivelare lo spirito crowleyano fondante dell'attuale sistema.  Quello del fai un po' come cavolo ti pare.

Al contrario, in un mondo immaginario che manco Asimov e Bradley riuscirebbero ad essere più fantasiosi, si potrebbe invece ovviare per una semplice alternativa che preveda: 

  • un seria valutazione delle società in un arco triennale economico e quinquennale finanziario
  • la creazione di parametri trasparenti e rigidi
  • un attento controllo dell'indebitamento

Così facendo, nessuna squadra italiana vincerebbe più una champions, direbbero alcuni. Ah beh... d'altronde con questo sistema ne abbiamo vinte a manciate nell'ultimo decennio. Signori, siamo seri. Se si vuole migliorare, bisogna investire. Se si vuole investire, bisogna cambiare mentalità, progettare il medio-lungo periodo, prodursi i talenti in casa e mettere fine al sistema di ricatti che il mondo dei procuratori sta via via consolidando.
In parole più semplici e brevi, riportare il sistema a una ratio equilibrata ed efficace, sempre che ve ne sia mai stata una. 
Ma non succederà, miei cari amici di Calciomercato. Su questo possiamo stare tranquilli… almeno sino a che qualche creditore imbruttito non pignorerà qualche società importante.
 Dalla regia mi dicono che è già accaduto… la mia memoria fa le bizze con l’età, perdonatemi. 

Un abbraccio. 
Igor