Diciamocelo, più che una guerra civile in seno al calcio europeo, la diatriba UEFA-Superlega alla fine si è sgonfiata in una parodia parossistica della peggior categoria. Un guazzabuglio di botti e miccette lanciate a caso giusto per fare rumore, per intirizzire un po’ gli animi, ma nulla più. Peggio: la strategia perfetta con cui la UEFA, invece che portarsi a casa una vittoria morale, è riuscita come al solito a fare opera del più malsano masochismo. Voglio che sia chiaro: sono solamente felice che Juventus, Real e Barcellona - anche se non sono sicuro su questi due, mi mancano le fonti - abbiano schivato il rischio atroce di saltare le prossime coppe europee. Come infatti già sottolineavo in un articolo precedente, non è in questo modo che si portano avanti le battaglie morali che dovrebbero cercare di salvare il calcio. Dunque ben venga il ritorno delle pecorelle smarrite e si ricominci, una buona volta, a parlare di cose serie. Una in particolare: dopo questo volo pindarico, con tanto di frontale diretto con l’asfalto in chiusura, che fina fa la reputazione della UEFA? In effetti, se volessi fare un breve accostamento cinematografico, tutta questa manfrina mi ricorda sempre più da vicino un film che adoro particolarmente, diretto a suo tempo dal grande Monicelli: Il marchese Del Grillo. Ve lo ricordate quel personaggio piacione, ma scorretto, ironico, ma elitario interpretato superbamente dal grande Alberto Sordi? 

Ebbene in questo inatteso reboot dell’opera, prodotta dalla UEFA & Superleague associate, la parte del marchese è ricaduta sui signorotti secessionisti, i vari Agnelli & Co. Perché diciamocelo, i già citati non è che si siano comportati proprio bene, e non solo nei confronti della UEFA. Gli atteggiamento avuti nel corso dell’intera diatriba sono passati rapidamente dall’essere poco simpatici a divenire, senza mezzi termini, strafottenti, tanto da ricordare al sottoscritto una delle più famose battute dell’Albero nazionale. “Scusate ma… io so io, e voi non siete un cazzo”. Se mi si perdona il citato francesismo, il concetto casca perfettamente nella situazione, se si pensa come la Superlega in effetti avesse proprio lo scopo di aumentare ancora di più il gap tra i club della cosiddetta elite e la sconfinata platea di società europee, da sempre etichettate come medio-piccole. Un atto che, per quanto possa essere comprensibile dal punto di vista economico e finanziario, perde totale sostanza dal da quello morale. Ma dato che l’onore non è più una virtù in questo nostro mondo moderno, poco ci dovrebbe sorprendere. Ben altro è invece l’oggetto della nostra sorpresa, ovvero la reazione tremendamente mal calibrata di chi stava dall’altra parte della barricata. Indossando in maniera a dir poco impacciate le vesti di Papa Pio VII - al tempo un altro grande, Paolo Stoppa - Ceferin non ne ha infatti imbroccata mezza. E con ciò non mi riferisco solo alla vicenda in questione, ma al suo intero mandato da presidente UEFA. Questa però è un’altra storia, che è meglio accantonare in questo momento.

Severo, ma equilibrato e riflessivo nel film di Monicelli - così come fu nella realtà storica pare -, il Pio VII rivisto da Ceferin è invece un miscuglio di orgoglio, eccessiva istintività ed esagerazione. Invece che utilizzare l’esclusione dalle coppe come mero deterrente, lo ha sbandierato ai quattro venti come se quasi fosse l’unica vera soluzione possibile. Ben diverso da quel pontefice cinematografico che, pur minacciando il marchese burlone con la potenziale carcerazione a Castel Sant’Angelo, alla fine ricorreva a un più sobrio “trenta Pater, Ave e Gloria da dire trenta volte al giorno, per trenta giorni”. Una bacchettata sulle mani, insomma. Uno scappellotto che il buon parroco ci tirava sul coppino quando si faceva i discoli, non per punire, ma educare. La misura, amici miei, è la virtù del saggio. 

Se l’obiettivo era infatti costringere all’abiura gli ultimi naufraghi della Superlega, Ceferin e la UEFA hanno sbagliato su tutta la linea per ben due volte. La prima, sbraitando come pazzi e facendo dell’esclusione la loro unica arma mediatica. La seconda, almeno per quel che concerne la Juventus, ritirare il tutto con un semplice sussurro, senza nemmeno degnarsi di spiegare il motivo della decisione finale urbi et orbi. E così, all’indomani di un simile cambio di rotta, ci viene da chiedere quanto la UEFA possa essere certa di avere una propria credibilità. Un’istituzione che non cerca la via della diplomazia, preferendo lo scontro a viso aperto - e possibilmente all’ultimo sangue -, senza nemmeno sapere se le armi a sua disposizione sono sufficienti e ben affilate. Non è la prima volta che una simile situazione accade. Chi infatti ha buona memoria, potrà trovarci diverse similitudini nello scontro avuto con il Manchester City, che per poco ha sfiorato la vittoria finale in una Champions che - secondo la UEFA, e a mio avviso giustamente - non avrebbe nemmeno dovuto giocare. 

Si sarebbe potuto fare altrimenti? Per quanto possano suonare superbe queste mie parole, credo proprio di sì. E se comunque una vera alternativa non ci fosse, almeno Ceferin avrebbe dovuto rivedere ampiamente le sue metodiche e i toni. Dicendo ciò, ancora una volta mi sovviene una scena stupenda della già citata pellicola. Tornato a Roma dopo la resa dei francesi - e l’aver tradito il suo stesso Papa - il marchese vede il povero carbonaro Gasperino, colpevole solamente di somigliargli terribilmente, avvicinarsi alla ghigliottina per espiare una colpa non sua. Terrificato dalla scena e forse mosso anche da un briciolo di senso di colpa, prima che avvenga il misfatto il dispettoso marchese alza una mano e chiede di fermare quello spettacolo. E’ in quel momento che Papa Pio VII dimostra la sua immensa grandezza, graziando il nobile traditore, subito dopo avergli fatto quantomeno toccare da vicino il trapasso. Si chiude così quella pellicola con il marchese tornato ben felice a fare da portantino alla sedia gestatoria del pontefice. Ecco, magari difficilmente UEFA e secessionisti incalliti sarebbero potuti tornare ad abbracciarsi felicemente, ma credo vivamente che se Ceferin e i suoi si fossero dimostrati più accorti, forse la Superlega alla fine sarebbe vaporizzata in autonomia. Come fai sbagli, dice un famoso lento, ma ciò non vuol dire che la UEFA avrebbe fatto meglio a rimanersene passiva. Certo è che la sua strategia non ha pagato, ma anzi è stata persino deleteria, facendo percepire l’intera organizzazione come un ente mal armato e assai fragile nelle proprie posizioni. Quando si decide di arrivare allo scontro infatti, tutto è possibile fuorché gettare la spugna prima ancora le ostilità siano effettivamente cominciate. Il rischio di fare la figura del can che abbaia, ma non morde, è molto alto. E, così facendo, la propria reputazione va a farsi benedire, inficiando nei processi e nella diplomazia futuri. Torno a ribadire: giusta è stata la scelta di evitare l’esclusione dei colpevoli di tradimento, ma non in questo modo e non con queste tempistiche. Questi infatti il reale rischio di non giocare le prossime coppe europee manco l’avevano avvistato sui propri radar. Non si erano avvicinati alla ghigliottina a cui erano stati destinati, la quale era stata più una vox populi, un pettegolezzo da retrobottega, di cui tutti parlano e a cui nessuno crede. Sarebbe bastato poco. Sarebbe bastato pazientare almeno qualche settimana ancora, magari attendere la fine dell’europeo e avvicinarsi così alla fase play-off di Champions ed Europa League. Il silenzio spesso fa più male, e incute timore, molto più delle minacce. I giornali avrebbero cominciato a porsi domande sul destino di queste squadre; se dalle minacce si sarebbe passati ai fatti. E mentre il rischio della Ghigliottina avrebbe cominciato a farsi reale, forse i club incriminati si sarebbero posti qualche domanda in più. A fronte di un pur seppur solamente accennato rischio di importanti perdite economiche, alla fine qualcuno di loro avrebbe potuto alzare la mano in mezzo alla folla e chiedere la fine della questione. La UEFA in quel caso avrebbe potuto fare quello che voleva: rimanere della propria idea - impensabile -; perdonare e riaccogliere completamente le pecorelle smarrite - credibile -; commutare la pena capitale, con i famosi trenta Pater, Ave e Gloria, definibili con una partecipazione alle coppe a partire direttamente dai playoff - difficile, ma non impossibile -. Sarebbe potuta essere qualsiasi cosa, ma almeno la UEFA avrebbe mantenuto intatta la propria credibilità. Così non è stato e ora il futuro si fa sempre più incerto. Voci di corridoio sostengono come Ceferin abbia molti sostenitori, ma anche pericolosi detrattori. Da qui al 2023 ne deve passare di acqua sotto i ponti, ma il prossimo biennio è focale. Solitamente, è il momento in cui i presidenti potenzialmente dimissionari promulgano importanti riforme, anche a scopo di rielezione. Se Ceferin e i suoi vogliono invertire realmente il trend, terribilmente discendente, intrapreso sin dall’inizio, devono mettere mano alla giurisprudenza con serietà e acume. In gioco c’è il destino del calcio europeo e della credibilità di un sistema secolare. Se così non dovesse essere, il calcio sarà sempre più una elitè per pochi che, con tracotanza, sottometteranno l’intera sistema al suo del già citato “io sono io, e voi non siete un cazzo”. 
Chi vivrà, vedrà. 
Un abbraccio

Igor