I numeri non sono semplici simboli messi a caso in astruse e pindariche formule. I numeri sono una lingua e hanno una loro voce, le quali sono in grado di raccontare aspetti assai interessanti se si ha la capacità, e soprattutto la voglia, di ascoltarle. 

Abituati come siamo a valutare il calcio quasi esclusivamente nella dimensione di campo, spesso tutti noi ci ritroviamo impreparati e alquanto confusi quando, agli inizi dell'autunno, i dati di bilancio delle nostre società beniamine vengono approvati e pubblicati. Sebbene essi appaiano come un insieme informe e poco comprensibile di numeri messi lì a caso, se ordinati questi ultimi ci possono mostrare la direzione futura in cui i club si stanno muovendo, rispondendo così a domande focali legate ai nostri più reconditi desideri di tifosi. Possiamo permetterci qualche investimento di peso, il prossimo anno? Il rinnovo richiesto dal top player di turno è sostenibile? La società è in linea con i regolamenti UEFA?

Tutte domande che a più riprese ci siamo posti un po' tutti, ma a cui difficilmente abbiamo trovato risposte concrete e consolidate dai fatti. 
Ora, chi ha già provato a leggermi in passato sa che nella vita mi occupo di numeri aziendali, professione che mi segue spesso anche nel tempo libero e nelle passioni, tra cui il calcio riveste un ruolo di tutto rispetto. Proprio in questo periodo, i bilanci dei club principali della nostra Serie A sono stati approvati e, nonostante i documenti ufficiali non siano ancora stati pubblicati, diverse indiscrezioni sono già state messe nero su bianco sui più noti rotocalchi. Grazie a tali dati - ripresi in particolari da fonti di tutto rispetto come La Gazzetta dello Sport CalcioeFinanza -, ho avuto modo di stilare una piccola dashboard riguardante i conti di Milan, Inter e Juventus che ritrovato nell'immagine di frontespizio. 

Dando una prima lettura delle informazioni finanziarie di tali club, posso dire che la situazione emersa da questo periodo di - si spera - uscita dal Covid ha portato effetti assai nefasti nei conti delle società calcistiche, anche se con qualche piacevole eccezione. 

Causa crollo dei fatturati dovuto agli stadi chiusi, i bilanci hanno registrato perdite particolarmente ingenti e le casse si sono svuotate al punto che quasi tutti i club hanno dovuto ricorrere all'indebitamento smodato per potersi sostenere. Come sempre però, non tutti i mali vengono per nuocere. L'attuale periodo ha infatti portato diverse dirigenze ha porsi una seria domanda: per quanto il calcio potrà continuare su questa strada di estrema dilapidazione di capitale? Risposta, per ben poco ancora. 

Il costante aumento speculativo - e tecnicamente non motivato - dei costi per ingaggi dei giocatori, protagonista assoluto degli ultimi due decenni, ha squilibrato in maniera importante l'impalcatura delle spese interne dei club. Uno squilibrio che forse avrebbe regnato incontrastato per molto tempo ancora, se la crisi dovuta al Covid - che Dio ce ne scampi, ovviamente - non avesse mostrato quanto tale esborso sia diventato insostenibile. E quando dico insostenibile intendo che, se non si farà qualcosa per combatterlo nel breve periodo, due potrebbero essere gli scenari infausti a cui si andrà incontro, se non entrambi: 

  • mercato dei fuoriclasse sempre più territorio di pochi - pochissimi - eletti;
  • crisi finanziaria dell'intero settore

Come molti penseranno leggendo queste mie parole, per vincere nel calcio bisogna spendere. Per quanto non mi permetta di obiettare quella che sembra una legge naturale scolpita nella pietra, vi sono però delle situazioni eccezionali che paiono indicare come una strada alternativa all'indebitamento convulso esista. Per vederlo, andiamo ad analizzare rapidamente quanto emerso dai bilanci di Milan, Inter e Juventus. Anticipo che la differenza di risultati che troverete - e che, ricordo, potete osservare nella grafica offerta - sia alquanto peculiare. 

Milan - dalle stalle alle stelle

Se i milanisti hanno buona memoria, la chiusura dell'annata 2018-2019 fu un vero e proprio disastro. Il momento in cui il Milan, sia come società che come squadra, toccò il fondo: mancato approdo in Champions e sprofondo rosso di bilancio di ben 145 milioni di perdite. 
Ma come spesso capita, quando si tocca il fondo non c'è che darsi un perentorio colpo di reni e risalire con calma, e molta fatica, la china. Messaggio che la squadra capitanata da Gazidis e Maldini ha recepito alla perfezione. 
Sebbene l'anno di esplosione del Covid, la stagione 2019-2020, ha portato con sé una perdita ancor più ingente - record negativo di 195 milioni circa -, in quel risultato si cominciava a leggere qualcosa di interessante. Attraverso la terapia voluta dalla società, il monte ingaggi era già andato a ridursi considerevolmente, raggiungendo nell'ultima stagione chiusa al 2° posto circa i 79 milioni lordi: il 35% in meno rispetto ai 121 di due stagioni addietro. Una revisione particolarmente considerevole dei costi, che ha permesso alla società di vedere assottigliarsi di oltre la metà le perdite 2020-2021, che hanno chiuso intorno ai 96 milioni di euro. 

Tenendo conto che questa stagione rivedrà buona parte degli introiti da stadio non avuti l'anno scorso, e che questi andranno a sommarsi ai diritti della Champions, si potrebbe auspicare un aumento di ricavi vicino ai 100 milioni di euro. Se tale previsione dovesse rivelarsi corretta, e auspicando in un contenimento dell'attuale impalcatura dei costi, significherebbe che al termine della stagione in corso il Milan potrebbe avvicinarsi seriamente al pareggio di bilancio. E, senza mezzi termini, conseguire il principale obiettivo della proprietà detenuta da Elliot: rendere il Milan una società in grado di autofinanziarsi
Unito all'indebitamento assai esiguo e una gestione finanziaria precisa, ciò porterebbe il Milan a essere una delle società più solide sullo scenario europeo, il che aiuterebbe la stessa proprietà a rivenderla nel prossimo triennio a cifre interessanti. Dimostrazione che, sebbene per vincere sia necessario spendere, la buona gestione delle finanze è imprescindibile per poter continuare a investire.

Inter - il vicolo cieco Cina

Inutile dirlo: quando Suning comprò l'Inter in epoca pre-Covid, i tifosi nerazzurri ebbero buon diritto a esultare. Al tempo Suning era infatti un vero e proprio colosso di mercato, con forte propensioni di espansione commerciale e le casse piene di liquidi. 
Con l'arrivo della pandemia, le cose sono purtroppo mutate rapidamente e in maniera assai radicale. Il calo dei consumi, il clima di incertezza e nuove politiche economiche interne alla Cina, hanno portato il gruppo guidato da Zhang sull'orlo del disastro. E, con esso, la stessa F.C. Internazionale. 
Ora, qui il problema è più finanziario, che economico. L'aumento delle perdite registrato nelle ultime annualità si devono sostanzialmente ai mancati ricavi per la pandemia, anche se è da segnalare un aumento poco equilibrato dei costi per stipendi. Un problema che, con un po' di testa, non è irrisolvibile. 
No, ciò che più preoccupa - e ha seriamente preoccupato anche la stagione scorsa - la dirigenza nerazzurra è la difficoltà nel reperire liquidi. Al di là dei suoi problemi, la holding di Zhang non può trasferire capitali cinesi all'estero. Essendo poi già indebitata da tempo, anche il reperire fondi all'esterno, ovvero attraverso istituti di credito e simili, non è stato per nulla facile, tanto che alla fine Zhang ha dovuto affidarsi a Oaktree. Questi è un classico fondo di investimento che, a fronte di importanti prestiti di denaro, chied tassi di interesse molto elevati e garanzie strangolanti.
Inutile dire che Zhang non avrebbe potuto fare altrimenti, dato che non c'erano altri modi con cui sostenere i semplici costi di gestione della squadra. 
Ora, grazie al prestito di Oaktree e le cessioni di Lukaku e Hakimi, l'Inter dovrebbe sopperire ai flussi in uscita fino a circa metà della stagione attualmente in corso, forse qualche mese in più. Sarà intorno a febbraio/marzo che i giochi torneranno a farsi duri, anche perché Oaktree - se le indiscrezioni sono veritiere - ha vincolato l'Inter in maniera molto seria: 

  • interessi intorno al 9%
  • pagamenti ciclici e non dilazionabili
  • ristrutturazione dei costi attraverso importanti sacrifici

Nel caso si dovesse venire meno anche a uno solo di questi aspetti, nessuno può prevedere con certezza a cosa si andrebbe incontro. Nella peggiore delle ipotesi - sempre che le voci siano reali -, Oaktree subentrerebbe a Suning come socio di maggioranza relativa, imponendo il depauperamento degli asset per ripagare gli oltre 700 milioni di indebitamento finanziario
Nel frattempo, nulla toglie che Zhang possa vendere a un possibile acquirente. Qui però bisogna chiarire un aspetto. Nelle attuali condizioni, per vendere l'Inter, il magnate dovrebbe accettare per sé una cifra assai povera, dato che il subentrate dovrebbe poi sopperire ai vari debiti. In caso contrario, difficilmente qualcuno metterebbe si arrischierebbe tanto e Zhang dovrebbe così lentamente diminuire i debiti, a suon di sudore e sacrifici. 

Juventus - l'ossessione per la vittoria non conviene mai

Forte di ben 9 scudetti consecutivi, la Juventus ha puntato tutto - strategie e finanze - sul cercare di centrare il massimo obiettivo europeo, che le manca da oltre vent'anni. 
Per farlo, è giunta persino a portarsi a casa forse il più forte giocatore al mondo, Cristiano Ronaldo, nonostante il suo ingaggio andasse ben oltre la media degli stipendi professionistici della Serie A. Simili investimenti si ripagano da soli si diceva in quel periodo, peccato che in termini economici tal affermazione già puzzava di sonora panzana. E questo perché il costo di mantenimento del campione andaluso era assai esoso, senza contare che non fu l'unico acquisto di quella stagione. Basti sapere che nell'annata 2019-2020, il monte ingaggi juventino aumentò di oltre il 100% rispetto a quella precedente. Covid da una parte, nessuna Champions in bacheca dall'altra e difficoltà in campionato nel mezzo, i ricavi sono crollati e le casse bianconere ne hanno risentito estremamente, facendo risuonare un campanello d'allarme a cui Agnelli non è rimasto indifferente. 
A dimostrarlo vi è stato il fatto che, nella stagione conclusasi a giugno, il costo per stipendi dei bianconeri è calato di oltre 40 milioni, ovvero del 17%. Data la partenza di Cristiano Ronaldo ad agosto, tale cifra non farà che ridursi ancora di più, permettendo al bilancio della Juventus di respirare, anche se per risolvere la situazione saranno necessarie ben altre azioni. 
Confrontata con l'Inter, sebbene la sua perdita sia ben più importante, la Juventus ha dalla sua la forza delle casse Exor, holding che ne detiene la proprietà. Un colosso tale che non è stato difficile ricapitalizzare il club, sia per ripianare la perdita di oltre 200 milioni, che per finanziarla al fine di poter gestire senza troppi problemi i futuri costi societari. Chiaro è che tutte queste ricapitalizzazioni avranno prima o poi una fine, dunque è bene muoversi in un'ottica di ristrutturazione. Il denaro, lo ricordo sempre, è pur sempre il bene più scarso al mondo. 

In conclusione a questo sintetico articolo, come avrete capito, ciò che ci offrono oggi i numeri di bilancio emergenti dalla dimensione calcistica destano non poche preoccupazioni. Il Fair Play Finanziario, portato da Platini oltre un decennio fa, aveva lo scopo di ridurre il gap tecnico tra le squadre, costringere le società all'autofinanziamento e tagliare l'indebitamento. Nonostante qualche lieve progresso, purtroppo i buoni propositi dell'operazione non si sono visti, tanto che la UEFA ha oggi pensato di cambiare - in peggio - le carte in tavola. 
Se mi si chiedesse il mio modesto parere, un cambio di passo, ma soprattutto di mentalità, si sta facendo sempre più urgente. Quanto accaduto nella sessione estiva di calciomercato, con il PSG a sfoderare l'asso pigliatutto dei capitali qatarioti, potrebbe divenire ben presto un triste cliché: da una parte pochi - pochissimi club in cui non vedo nessuna società italiana - che possono ingaggiare giocatori sempre più esosi; dall'altra la distesa sterminata di società che si dovranno accontentare. 

Trovare una soluzione non è semplice, questo bisogna dirlo, ma ciò non significa che si debba mollare la spugna solo per la complessità del problema. In cuor mio, avrei decisamente preferito un salary cap molto più rigido ed espresso in termini assoluti - ad esempio, 200 milioni massimi di monte ingaggi -, piuttosto che in quel 70% sui ricavi che lascia il tempo che trova dato che, storia insegna, si fa presto a truccare il dato sugli introiti. Ogni riferimento a cose, persone, o società detenute da magnati del petrolio natii della penisola araba e imparentati tra loro è puramente casuale.

Un abbraccio. 
Igor