Se il vecchio saggio lento dice il vero, non esiste miglior maestra della sconfitta. Una locuzione che, nella mia personalissima esperienza, è più di una semplice frase fatta. E anche se non mi prendo il rischio di annoverarla nel campo iperuranico delle verità assolute, quanto meno mi sento di poterla collocare in quello più umano delle verità relative. Nello sport, come nella vita, la sconfitta fa parte del gioco. Non esiste persona o compagine al mondo che abbia sempre vinto, senza mai assaporare almeno una volta il sapore amaro della disfatta. È un dato di fatto, non c’è altro da dire. Inutile domandarsi se esista una semplice chimera al mondo. Tutt'al più è invece molto interessante cercare di capire cosa accade, nella mente, nel cuore, nelle viscere di uno sportivo, quando si trova ad affrontare un risultato inatteso quanto tremendo. E qui, guardando la storia, la varietà di casi specifici diventa sterminata. 

Nel corso della storia dello sport, o della competizione in generale, molti sono stati i modi di interpretare una sconfitta. Chi ne veniva travolto; chi la superava come un qualsiasi fatto della vita; chi ne faceva un motivo quasi paranoico di rivalsa. Il perché a uno sportivo o a una compagina capiti una cosa piuttosto che un'altra, è un completo mistero. In tale frangente rientra infatti una ignota amalgama di componenti assai differenti, quali indole, esperienza, genetica e chi più ne ha, più ne metta. Ciò che invece è certo, è che una sconfitta non necessariamente definisce un percorso negativo, di fronte a colui che la subisce. Anzi, per quel che riguarda la mia personale esperienza sportiva, non sono stati rari i casi in cui la sconfitta è stata un comburente assai potente per le vittorie successive. E che vittorie, mi permetto di sottolineare, i cui motivi all'origine sono anche qui molteplici. 

Partiamo dal primo, il più importante e viscerale: detesto perdere. In qualsiasi competizione mi si metta, dalla pallacanestro giocata, passando per gli scacchi, sino ad arrivare ai tornei di scala 40 al bar, il mio obiettivo di partenza è sempre vincere. Per quanto l'età magari mi stia portando lentamente ad accettare meglio le sconfitte, a prenderle più con filosofia e ad assorbirle più rapidamente, il mio spirito competitivo è ancora leonico. Faccio eccezione quando si parla di Milan: lì non ci sono santi che tengano, guarda caso da qualche anno mi guardo le partite in solitudine. E, dicendo ciò, come pensate che abbia preso la sonora sconfitta per 3 a 0 nel derby di ieri? Inutile perdere tempo a darsi una risposta. 

Veniamo dunque al punto. La sconfitta del Milan di ieri, che dal punto di vista del risultato è netta e incontrovertibile, può mettere veramente la parola fine sulla lotta scudetto di quest'anno, come molti quotidiani hanno affermato?

Ora, facciamo una premessa. Per mio modesto parere, a inizio stagione mai avrei pensato di ritrovare il Milan lassù a questo punto del campionato. Di partenza mi ero augurato una stagione sostanzialmente lineare, con una qualificazione in Champions come meno patemi rispetto all'anno precedente. Oltre non andavo. Sebbene le cose siano andate in maniera sorprendente, ancora oggi rimango della medesima idea. Il Milan di oggi non è ancora da scudetto - così come l'Inter lo è meno dell'anno scorso -. È un'ottima squadra, con ottime prospettive e un progetto serissimo di cui vado fiero, ma è ancora acerba. Se veramente ha una possibilità di giocarsi lo scudetto, lo è a causa della situazione generale della Serie A odierna, che ha visto un livellamento verso il basso delle prestazioni. Eppure, proprio per questa sorta di stagnazione tecnica che si sta vivendo in Italia, qualcosa dentro mi porta a credere che la sconfitta di ieri possa non essere totalmente malvagia e, perché no, una sorta di opportunità. 

Laddove la tecnica deficita infatti, l'indole e la parte istintiva la fanno da padrone. E quest'anno il Milan ha dimostrato di averne da vendere. A dirlo è la breve cronistoria di questo suo campionato: quante volte la squadra di Pioli si è trovata vicino a fare guancia a guancia con il tappeto, per poi risollevarsi con vigore contro ogni aspettativa? Una cosa che è stata possibile sostanzialmente perché il campionato di quest'anno, più che a una competizione strategica, assomiglia molto più a una rissa da strada. E, come diceva il mio maestro di Qwan Ki Do, quando sei in strada non c'è tecnica che tenga: vince chi mena di più e assorbe meglio le botte. O sei Bruce lee, o il rischio di prenderle è sempre alto. Chi ha un attimo di sconforto è perduto. 

Ecco perché nutro ancora qualche minima - seppur gelida e distaccata - speranza che il Milan possa ancora farcela. Perché sebbene sia povero di tecnica e di grande virtuosismo funambolico, l'indole dimostrata sul campo quest'anno è quella del picchiatore di quartiere. Lo puoi mettere all'angolo, lo puoi gonfiare di botte, ma stai pur certo che due colpi te li tira, magari sotto la cintola, dove non batte il sole e il dolore è atroce. E, se glielo permetti, magari si rimette in gara. Com'è finito infatti l'ultimo derby di campionato? L'Inter che domina, che gioca, che copre bene il campo; due minuti con la guardia abbassata, il fianco scoperto, ed ecco che il tizio messo all'angolo sferra un uppercut che la manda al tappeto. Rissa da strada, come dicevo prima; nessuna regola, solo botte.

E anche ieri sera, sebbene abbia visto ben poco della partita, si è respirato un po' lo stesso spirito. Della tecnica del derby di campionato neanche l'ombra - più uno scapoli contro ammogliati come giustamente ha detto Sacchi -, ma ancora grande capacità di reazione della compagine rossonera, sebbene meno efficace. A dirlo sono i numeri (dati riportati rispettivamente per Inter e Milan, fonte diretta.it): 

  • 10 a 19 nei tiri totali
  • 4 a 6 quelli in porta
  • 79 a 93 gli attacchi pericolosi

Se non si conoscesse il risultato finale, con questi numeri si penserebbe a una partita molto equilibrata, con qualche sprazzo in più a favore del Milan. Nel calcio però conta la freddezza, così come il peso degli episodi. Questo almeno nel breve periodo. Nel medio-lungo conta ben altro. Conta l'organizzazione, la visione prospettica, la solidità del progetto, il clima nello spogliatoio. Tutte componenti che il Milan possiede e coltiva, ma che, ancora una volta, hanno poco peso in una rissa. In una rissa le speranze e i calcoli non hanno senso, anzi possono essere un peso sgradevole da portare. Come infatti diceva Brad Pitt in Fight Club, nelle vesti dello schizzoide Tyler Durden, è solo dopo aver perso tutto che siamo liberi di fare qualsiasi cosa. Ecco perché credo che la sconfitta di ieri possa essere un'enorme opportunità. Il fatto che all'esterno la si veda come la disfatta definitiva, la fine delle speranze, l'uscita incontrovertibile dalla lotta scudetto, non è necessariamente negativo, quando invece può essere letto come il togliersi pesi gravosi dalla schiena. 

Cosa diceva Nietzsche d'altronde, nell'immortale Così Parlo Zarathustra?

Tutte queste cose pesanti lo spirito gagliardo si addossa: simile al cammello che parte carico pel deserto, anch’egli s’avvia pel proprio deserto. Ma, ivi, nella solitudine la seconda metamorfosi si compie: lo spirito diventa leone, che cerca per sua preda la libertà e nel proprio deserto vuol essere signore.

Solo così Pioli e i suoi possono nutrire ancora qualche speranza. Non guardare fuori e fottersene dei punti - perdonate il francesismo -. Conta solo vincere. Conta solo picchiare. In una rissa non vuoi vincere un premio, vuoi sopravvivere, vuoi dimostrare che sei il più forte e vuoi mettere paura agli altri. In una rissa non ci sono signori e signorini. C'è chi è disposto a essere ferito, a tornare a casa con naso rotto, sopraccigli laceri e coste fratturate. Il Milan è disposto a tutto ciò? Di certo lo è L'inter, e questo per una mera necessità. I conti piangono, i debiti scalpitano e Suning è un impero al tramonto. Deve vincere, non ce ne sono di storie. Se non dovesse vincere, il cosa possa accadere il giorno dopo è un grande punto di domanda. Di certo non fallisce, ma sarebbe costretta a rivedere seriamente la propria struttura di costi, più di quello che dovrà sicuramente fare per accontentare i nuovi parametri UEFA. 

Il Milan sarà in grado di tenere botta? Non lo so, così come non lo sa nessuno. La pazienza e la solidità in questo faranno tanto. Lo sapeva bene Mohammed Alì, quando a Kinshasha, al di là di sfottò e proclami tipici del suo modo di fare, sapeva bene cosa sarebbe accaduto sul ring di Rumble in the Jungle. Foreman che lo tartassa e lo malmena per quindici round, senza sosta. Poi, un breve momento di stanchezza, una disattenzione ed ecco che Alì porta tre colpi secchi alla mascella, gli unici sferrati in tutto il match. Foreman crolla come un albero nella foresta, il ring si sconquassa, vibra addirittura sotto il peso del titano abbattuto. L'arbitro conta. Il match è finito. 

In bocca al lupo Pioli, Maldini, Massara, Moncada, Gazidis e tutta la rosa. Comunque vada avete fatto un lavoro ottimo, ben oltre le aspettative. Spero che la vostra riconferma sia pura formalità. 

Un abbraccio

 

Igor