La frase è stata attribuita a Wolfgang Goethe, grande poeta tedesco, il quale descriveva così la bellezza della città di Napoli, invitando ognuno a visitare almeno una volta nella vita quel fantastico insieme di bellezze naturali e di vita, prima di lasciare questo mondo. L'amore per Napoli è un fatto acclarato, tutti amano le canzoni napoletane, i paesaggi incredibili tra cielo, terra e mare, con sullo sfondo il minaccioso Vesuvio. Ho visitato poco Napoli, ma quel poco mi è rimasto nel cuore. Soprattutto quel Cristo Velato, una composizione marmorea presente nella cappella del Principe di Sangro. E' stupefacente come nel marmo si sia riusciti a portare l'immagine di Gesù avvolto in un velo trasparente, ed è ancora più straordinario pensare che l'autore, un certo Di Martino, quando lo scolpì aveva solo 23 anni.

E' il simbolo della genialità e della intraprendenza dei napoletani. E Napoli è la città dove l'amore può nascere da un momento all'altro. Basta guardarsi attorno, vedere la giovialità della gente, l'operosità,  l'inventiva che applicano in tutto quello che fanno e la schiettezza dei loro atteggiamenti, sempre cortesi ma pieni di orgoglio. 

Per me che sono nato a Torino, non potrei mai dire: "Odio Napoli perché la sua squadra di calcio ruba!" Però, quando mi si dice che a Torino c'è una squadra da odiare perché ruba, mi rivolto subito. Innanzitutto, l'odio è un brutto sentimento. Abbiamo appena visto cosa ha prodotto l'odio razziale o etnico, celebrando la memoria delle deportazioni naziste e degli eccidi delle Foibe del comunista Tito. E osserviamo come nelle autostrade si scontrino tifosi rivali con spranghe e coltelli, per odio reciproco rivolto alle squadre di calcio per cui tifano. L'odio trascina le persone a commettere le più atroci aberrazioni, come uccidere il prossimo. Che questa parola alberghi in soggetti deputati alla pace sociale ed alla sportività e la lealtà che dovrebbe caratterizzare una qualsiasi manifestazione sportiva, mi permette di dire che sono persone inadeguate al ruolo che devono ricoprire. La parola "odio" non dovrebbe essere formalizzata nemmeno per scherzo, perché su queste cose non si può scherzare, e con la divulgazione nei social, ormai consuetudine dei nostri tempi, si amplifica la portata ed il danno. 

Ma se si disquisisce sulla parola odio, si può anche dire di più sulla parola rubare. Con tutto l'amore, signor Ciro, i maestri del furto e della truffa sono normalmente collocati a Napoli, soprattutto nell'immaginario collettivo. E qui, come direbbe il Chiné, c'è la prova confessoria, e chi la fornisce è un soggetto mica da ridere, anzi che faceva  molto ridere, quando nel suo film "Totòtruffa" vende la Fontana di Trevi ad un turista americano. In un altro film, esibendo l'arte partenopea della truffa, vende addirittura il Colosseo. Il gioco delle" tre carte" è nato a Napoli, e qui l'abilità di fregare i polli è un arte che si tramandano da tempo. Intanto ci si organizza con almeno sette individui. Uno manipola le carte, uno porta il tavolino, un altro fa finta di giocare e vincere, poi ce n'è un altro che sembra stia lì a guardare distratto, ed altri due che fanno la guardia e, se il "pollo" fa storie, intervengono duramente. Il trucco sta nel fatto che ci sono due carte uguali, e che se uno indica una carta, abilmente il manipolatore gli fa vedere l'altra carta, senza scoprire la carta indicata, il tutto velocemente, senza potere neanche verificare. In un altro film di Nanni Loy, dal titolo "Pacco, Paccotto e contro paccotto" si rivela tutta una serie di ruberie e di truffe che raggirano i malcapitati che  si avventurano nella vita sociale di Napoli senza la dovuta accortezza.
Nella scena finale, alcuni tipi che si credono furbi, cercano di comprare a poco prezzo una macchina fotografica, naturalmente al mercato nero. La prima volta, quando arrivano a casa, si ritrovano un pacco di carta, ma senza la macchina. Non contenti, cercano di recuperarla, ed allora si affidano ad un amico, un conoscente che li contatta e che, con un piccolo compenso, gli promette di  recuperare il maltolto. Ma durante lo scambio, questi si vedono sfilare una donna nuda che scappa gridando, e nella confusione, vengono di nuovo raggirati. Tentano una terza volta, sempre con l'aiuto di questo amico fidato, ma sul più bello, dopo avere consegnato l'ennesimo compenso, c'è uno che spara ad un tipo, quello muore, ed allora tutti a scappare. Naturalmente, anche questa volta la macchina fotografica passa in cavalleria. Risultato, se l'avessro comprata in un negozio specializzato avrebbero speso di meno e avrebbero avuto l'oggetto tanto agognato.
Nel frattempo, mentre si leccano le ferite, tutti i componenti dell'associazione del "pacco" si ritrovano a pranzo, tra questi l'amico fidato, la donna che scappava nuda, quello che spara, quello che muore, ed altri soggetti protagonisti della truffa. Una genialità tutta napoletana. Pranzo "pagato" dai due truffati! Ma veniamo ai nostri giorni. Andiamo oltre alla fantasia e ci inoltriamo nella realtà. E scopriamo che è più fantasiosa della fantasia. E' notizia di questi giorni che nel cimitero di Napoli, avvengono sparizioni ed apparizioni di cadaveri che manco il mago Silvan saprebbe fare meglio. Una signora, ha il padre nel loculo cimiteriale e, cosa assurda ma ormai consolidata, quando va al cimitero, si fa aprire il loculo, dove di solito ci sono le ossa del padre. Normalmente effettua delle pulizie e tocca con affetto quei resti,  ma l'ultima volta scopre che invece delle ossa, c'è un cadavere intero. Le ossa sono sparite. Rimane sgomenta, e non sapendo cosa fare avvisa la sorella, accertata la cosa, si rivolgono ai carabinieri. Ma la questione latita. Ma nel frattempo, in una cappella privata, i parenti dei quattro defunti tumulati da anni,  trovano un quinto defunto. Non è un loro parente. Fanno presente la cosa al Comune, ma l'assessore risponde che ha delle carte ufficiali nelle quali è scritto che quello è un loro parente, morto nel 1946 (oltre settant'anni fa) e che deve stare in quel luogo. I parenti ribattono che se è morto da oltre settant'anni, come mai è ancora in disfacimento organico, tanto che lo spettacolo apparso ai loro occhi era veramente orrendo a vedersi. E comunque non lo conoscono!
Forse è la riedizione del miracolo di San Gennaro con liquefazione del cadavere invece del sangue del Santo? Naturalmente si sono rivolti ad un legale, e faranno approfondimenti con l'aiuto delle forze dell'ordine. Ma sembra che sia solo la punta di un iceberg! 

Sappiamo che a Napoli nessuno mette il casco per andare in moto. Anzi è proibito, ma dalla legge? No, dai capi della Camorra. Così riescono a sventare eventuali attentati. Si, perché Napoli è un centro dello spaccio della droga, tra i più attivi del mondo. Tutti i negozianti sono almeno una volta nella loro vita assoggettati al "pizzo", e qualcuno riesce a sfuggire, ma quasi tutti lo pagano. Si vedono famiglie intere su di una moto, con pure il cane a bordo! E che lo lasciamo a casa!? 

Vorrei tornare al calcio e ricordare che molti giocatori, dell'amata Napoli, sono stati rapinati in pieno centro da bande di criminali. E sapevano benissimo che erano calciatori. I giocatori, normalmente un Rolex o una collanina d'oro pesante ce l'hanno sempre. Magari anche la moglie o la fidanzata hanno gioielli e orologi, e si prendono spaventi che ricordano tutta la vita. E pensate che qualcuno di questi giocatori, appena ha potuto ha detto : ciao, ciao! E con le "gambe" se ne sono andati via da quel luogo meraviglioso, dove però sei sempre nel mirino della criminalità comune e di quella  organizzata. Pensi signor Ciro, quant'è fortunato a vivere in quel luogo di "ladri" che è Torino. Dove non succede niente di tutto questo. E dove se fanno una rapina in villa c'è un'organizzazione, messa i piedi dalla società Juventus, che riesce a proteggere i giocatori, mentre a Napoli, c'è il libera tutti! Oppure, come è successo in passato, si passava la cocaina a qualche giocatore, e nessuno se ne accorgeva, nemmeno l'antidoping! 

Sembra che io sia maldisposto verso Napoli o i napoletani? No, non c'è nessuna malevolenza, e mai odio. Io posso decantare le virtù di grandi napoletani. L'arte di Totò, dei fratelli De Filippo e del compianto Troisi, mi hanno sempre accompagnato. Uomini stupendi, di arte sopraffina, che denunciavano le storture di Napoli, pur amandola visceralmente. E' famoso il monologo di Troisi che diceva: "Ma è mai possibile che a Napoli la parola lavoro è sempre accompagnata con qualcosa? La parola lavoro e basta non esiste?" E si riferiva alle espressioni come lavoro nero, lavoretto, lavoro a cottimo, lavoro a sorpresa, insomma un "a umma umma" tipico del gergo partenopeo. E vorrei ricordare musicisti come Bennato, De Piscopo, Pino Daniele, di livello internazionale. E perché  non parlare di Benedetto Croce, il più grande filosofo italiano, nato a Pescasseroli, ma napoletano d'adozione. Ebbene, tutti costoro insegnavano l'amore, non l'odio. L'amore per l'arte, per le persone e dei più emarginati. Ricordiamo il caffè sospeso di Totò. Totò andava al bar e poi al momento di pagare lasciava alcuni caffè pagati per potere permettere a chi non avesse i soldi di berlo ugualmente. Così ancora oggi ci sono persone che passano nei bar e chiedono: "C'è forse un caffè sospeso per me?" 

E nella mia famiglia ci sono due persone meravigliose nate a Napoli. Mio suocero, ora ormai defunto, e mio cognato. 

Entrambi persone intelligenti di classe e di vita anche sfortunata. Mio cognato, marito della sorella di mia moglie, da bambino, emigrato a Milano, dopo la scuola cuciva i tessuti, insieme a suo padre, sua madre ed i suoi fratelli. Per mangiare, dovevano prima lavorare. E quando lo racconta lui, con la sua verve, vorresti piangere, ma è talmente divertente e sagace che ti scappa sempre una risata. Seppure non avesse istruzione superiore, è riuscito lo stesso a raggungere livelli ottimali nel suo lavoro, riuscendo a ricoprire incarichi di responsabilità in aziende sia sartoriali che di vendita di pelletteria. E tra i suoi clienti c'erano attori, manager, e calciatori del Milan e dell'Inter, e usando sempre un linguaggio adeguato e cortese, ne carpiva la fiducia. Altra storia mio suocero Vincenzo. Nato a napoli nel 1916, da buona famiglia, viveva al Vomero. Mentre frequenta il secondo anno di giurisprudenza, all'età di ventuno anni, viene arruolato senza appello ed inviato in Africa, nel genio guastatori. Cosa facesse in Africa non lo disse mai, ma io lo scoprii. E mi vennero i bividi. Erano un corpo specializzato  che faceva incursioni  buttandosi sotto i carri armati inglesi dove  appoggiavano le mine calamitate. Uscivano dalle buche scavate nel terreno, con il rischio di essere schiacciati, colpiti dai mitra dei tank inglesi oppure morire a causa  della mina  che scoppiava prematuramente. Non contenti, lo inviarono anche in Russia, dove guadagnò la medaglia d'argento al valor militare. Cosa fece, farebbe impallidire Rambo, e tutto era scritto nella motivazione del premio ricevuto, scritto dalla Corte dei Conti. Come riuscì a tornare in Italia, è un'altra storia che richiederebbe pagine di descrizioni avventurose. Finì  la sua carriera militare nel 1943, dopo sette anni di guerra, di malattie, congelamenti, e con sogni notturni che lo tormentarono per tutta la vita, conclusa a 86 anni. Naturalmente, la pensione di guerra non l'ebbe mai. I signori di Roma, decisero che la legge che l'istituiva non lo riguardasse, visto che al momento della sua emanazione era già in pensione. Così in questo paese abbiamo tante persone che prendono o presero la pensione di guerra senza avere mai sparato un colpo, e che parlavano di guerra tutti i giorni. Vincenzo, non ne parlava mai. Perché chi ha fatto veramente la guerra non ne parla, non è uno spettacolo da esibire!  Eppure nemmeno lui, che era una macchina programmata per uccidere, non disse mai la parola "odio", ma si batteva per l'amore e la felicità della nostra società, un grande napoletano, non una macchietta come altri!