Il mito se n'è andato, e con lui si ricordano i tempi eroici del calcio anni settanta, quando il calcio era più a livello umano, e la fisicità non uccideva la tecnica. Eh sì, tempi diversi, erano quelli del passaggio indietro al portiere con i piedi e la possibilità di prendere la palla con le mani da parte di quest'ultimo. 
Erano i tempi della generazione beat, dei primi capelli lunghi, delle musiche rock a palla, del sessantotto che imperversava nei nostri costumi. Ed in Sardegna, l'anonima sequestri faceva vittime illustri, tra le quali Fabrizio De André e la consorte, Dori Ghezzi. Il suo famoso "Albergo Supramonte" era una metafora geniale di come si stava in prigionia forzata. Il fattaccio di Farouk Kassam, con il taglio dell'orecchio del sequestrato, era stato spaventosamente rivelato dai giornali, come mezzo di pressione per il pagamento del riscatto, alla famiglia di petrolieri arabi. 

Ma il sequestro più lungo e mai dimenticato non lo fece l'anonima sequestri, ma l'intera isola. Era il destino di Luigi, detto Gigi, Riva. Arrivò, giovanissimo, dal Legnano, dopo un'infanzia difficile e piena di sofferenze. Aveva perso i genitori che era ancora adolescente. Il padre in un incidente sul lavoro, terribile nella sua dinamica, pare trapassato da un ferro incandescente in una officina. La madre, poco tempo dopo, un tumore se la portò via ancora giovane e con Gigi che aveva solo sedici anni. Finì in un collegio, e gli sembrò un inferno. L'umanità mancava in quel luogo che più che un ricovero per orfani, era un luogo di espiazione della propria sfortuna. Ma poi riuscì ad uscire, preso amorevolmente in casa da sua sorella, maggiore di qualche anno.  
Dal Legnano, passò anche un provino all'Inter. A quei tempi, allenatore era il grande Helenio Herrera, che avrebbe dovuto notare le potenzialità del giovane. Invece sentenziò:"Gioca con un piede solo (il sinistro), non sarà mai un campione!". Forse era  disperato perché in squadra aveva già un altro con il piede "solo", anche lui mancino, ed era Mario Corso, e forse per lui due erano di troppo, seppure Corso fosse un campione. Così fu scartato, ed il Legnano lo vendette invece al Cagliari, e i rossoblu fecero il miglior invesimento della storia isolana. E Gigi lasciò definitivamente la sua Leggiuno, sponda lombarda del lago Maggiore, dove era nato, ma dove la sua triste storia lo fece sentire figliastro di una terra bellissima, ma senza il mare blu delle coste sarde. 

La dirigenza del Cagliari, doveva avere degli ottimi tecnici e scouts, oltre a Riva, arrivarono in Sardegna Domenghini, fresco campione d'Europa con l'Inter, Albertosi, dalla Fiorentina, e titolare della Nazionale italiana. Fecero poi lo scambio con l'Inter e mentre Boninsegna andava a Milano, Gori arrivava in Sardegna. Non ultimo, comprarono Nené, talentuoso brasiliano di colore, che la Juventus aveva deciso di sacrificare per altri acquisti,  spesso rimpianto dai bianconeri.
In quella squadra militavano anche giocatori molto bravi, come Greatti, regista, Cera, mediano che giocò in nazionale come libero. Ed in difesa c'era quel Comunardo Niccolai, centrale difensivo apprezzato, ma specializzato in autoreti. Ne aveva un repertorio invidiabile. Una volta si scartò anche il portiere! Eppure Valcareggi lo portò in Nazionale in Messico, dove giocò solo trentacinque minuti, prima che un infortunio lo levasse di mezzo e permettesse a Roberto Rosato, del Milan, di giocare un Mondiale strepitoso, perché dalle sue parti, persino il grande Gerd Muller, non riuscì a segnare. 
Quel Cagliari portò diversi giocatori in Messico, fresco campione d'Italia, e Gigi era forse la stella più luminosa, alla pari di altri giocatori come Rivera e Mazzola, che se li avessimo oggi, baceremmo la terra dove camminano! 

Il campionato fu vinto dopo un estenuante testa a testa con la Juventus nella partita decisiva, a Torino, la Juventus provò due volte a vincere, ma nonostante le due autoreti di Niccolai, Riva ristabilì per due volte la parità ed il sorpasso non avvenne.
Alla fine, Cagliari campione e isola in festa... era il 1970!
Ci fu, poco dopo, il Mondiale, pieno di polemiche, sospetti, trame, ma con la nostra selezione che arriva in finale a giocarsi la Coppa Rimet contro il Brasile di Pelé. E la consegna della coppa fu definitiva, perché da regolamento, la coppa con le ali, l'avrebbe detenuta definitivamente chi avesse vinto per tre volte la competizione. E quella volta sia l'Italia, che il Brasile avevano già vinto per due volte.
La squadra azzurra, presentava alcune problematiche. Tra queste, la collocazione di Rivera e di Mazzola, ridotti poi ad una ridicola staffetta, con Mazzola nel primo tempo e Rivera nel secondo. Lo stesso Gigi Riva sembrava essersi bloccato, prima dall'assurdo annullamento del gol da parte di un guardalinee incapace contro Israele, e poi dalle stesse condizioni climatiche del luogo. Si giocava in altitudine e per giunta i palloni venivano gonfiati ad elio, così i palloni volavano, e per uno abituato ad esprimere potenza su corpi più solidi, spesso la palla, quando la colpiva, finiva sulla parte alta della tribuna dello stadio. Segnò comunque un gol capolavoro contro la Germania in semifinale. Quella semifinale che fece storia e che vide un grande campione, Franz Beckenbauer, giocare quasi tutta la partita con il braccio al collo, avendo rotto la clavicola in un contrasto di gioco, ma rimase in campo fino alla fine, compresi i supplementari. Franz si è spento appena due settimane prima di Gigi, ed ora lo aspetta lassù, forse a giocarsi la rivincita! 

Quando la squadra tornò in Italia, più che complimentarsi per il secondo posto, il mondo giornalistico intraprese la crociata contro le strane decisioni del mister Valcareggi, e si domandavano tutti se a comandare c'era uno staff tecnico oppure un comitato di addetti stampa forse troppo influente. Il caso dei sei minuti di Rivera è storia ancora adesso. Infatti in finale la staffetta non avvenne, e Rivera, invece che giocare il secondo tempo, fu messo in campo a sei minuti dalla fine, quando ormai si perdeva già quattro a uno, dominati da un Brasile fortissimo, ma probabilmente più fresco, avendo giocato e vinto la semifinale nei tempi regolamentari. 

Il nostro Gigi aveva comunque portato la squadra Nazionale alla vittoria dell'Europeo del 1968, con la finale a Roma, contro la Jugoslavia, vinta due a zero, con reti di Riva e di Anastasi, altro sfortunato protagoista, che al Mondiale non andò a causa di un attacco di appendicite, proprio alla viglia della partenza. Al suo posto andò Roberto Boninsegna, e giocò un Mondiale da sogno! Il sogno di Riva era stato il Mondiale, che perse in quella difficile finale, ma che riuscì a vincere nel 2006, quando fu capo delegazione della squadra italiana che conquistò a Berlino la quarta coppa del Mondo. Anche in quel caso le polemiche non mancarono, con calciopoli che entrava nel vivo e che implicava quasi la metà del gruppo di calciatori titolari della nostra Nazionale. 

Il destino di Riva, detto "rombo di tuono", per la potenza fisica ed il coraggio che aveva, fu costellata da alti e bassi, con due gravi infortuni, e quando Hof, giocatore dell'Austria, con una entrata assassina gli ruppe per la seconda volta la gamba, smise la sua carriera. Aveva comunque totalizzato 33 gol in Nazionale, leader di tutti i tempi, precedendo un certo Angelillo con 32. 
Giocò sempre nel Cagliari, e le pretendenti di certo non mancavano, Juventus, Inter (troppo tardi) e Milan cercarono di blandirlo a suon di miliardi, ma lui non volle lasciare mai più la sua Sardegna. Fu una scelta romantica, per l'affetto che nutriva per quell'isola che ormai sentiva  come un pezzo della sua carne. Ma tra le motivazioni pare ci fosse anche l'amore. Coppi aveva la "dama bianca", Gigi la "dama bionda", la sua Giovanna, all'inizio un amore tormentato, con lei ancora sposata seppur separata dal marito. Forse non voleva andarsene per non lasciarla, per coltivare quell'amore vero e forte che nella sua giovinezza gli era mancato, per non provare più quella sofferenza della solitudine e della disperazione che nella sua vita lo avevano scavato nel profondo dell'animo. E se anche clandestino, come Paolo e Francesca, valeva la pena di viverlo.
Non la sposò mai, ma ebbe da lei due figli e cinque nipoti. Era un padre affettuoso ed un nonno meraviglioso. E seppure il suo rapporto d'amore con Giovanna finì, non si lasciarono mai definitivamente, e nell'ultimo respiro, insieme ai suoi figli, lei era ancora lì, a ricordare il loro amore difficile e contrastato. 

Ora è lassù, insieme ad un altro capo delegazione, Vialli, che dopo quasi cinquant'anni riportò la coppa europea in Italia. Lassù ci saranno altri dei di quell'olimpo del calcio, come Burgnich, Facchetti, Rosato, Beckenbauer, Seeler, Libuda, Gerd Muller, tutti protagonisti di quella storica partita, dove anche gli dei si fermarono a guardare, invidiando la potenza dei gladiatori dell'Azteca.
Un saluto commosso!