E' passata una settimana dalla serata surreale di Lecce, una settimana in cui la Nazionale ha allontanato parzialmente i riflettori dalle squadre di club.  Questi giorni potevano essere impiegati dalla dirigenza rossonera per dare una brusca sterzata alla stagione. L'alternativa era scendere nella cripta con gli altri frati a pregare sulle reliquie di un qualche potente santo taumaturgo affinché nei prossimi giorni tutto vada bene, specie in Champions. E' stata scelta questa seconda strada. Il terrore di sbagliare ha assalito i dilettanti di questa dirigenza rossonera rampante, che potremmo ben definire Next Generation Furlani, infatti, deve ritenersi un dilettante nel calcio, seppure qualificatissimo in altri settori. Lo sarà finché non avrà il corpo devastato di cicatrici come l'implacabile ùlfednar Hamlet in The Northman. Gli auguro di fare in fretta, perché come tifoso può andarmi bene esattamente come Moncada, ma deve bruciare le tappe e farsi fare qualche sfregio in battaglia. Sono quei tagli profondi nella carne che poi ti aiutano a far bene.

Chiariamo che tutta questa storia potrebbe avere un lieto fine, perché talvolta ci si salva restando immbili. Ci si può salvare rimanendo al riparo mentre infuria la tempesta del ghibli, come facendo i finti morti se il leone ci annusa. In un certo senso è quello che stanno tentando di fare in via Aldo Rossi. Nel caso dei nostri eroi, però, il lieto fine non sarebbe frutto di una strategia calcolata e consapevole, bensì di paresi per la vista di Deimos e Phobos, in greco antico Terrore e Paura, figli di Marte e quindi della guerra (non c'è guerra che non semini terrore e paura...) . Nel Milan regna la paura che fa 90!

Lunedì sera a Milan TV si è parlato a lungo, forse anche mezz'ora, di soli affari vari e perdite di tempo, senza fare mai il nome di Pioli. Lo stesso direttore, Mario Suma, a un certo punto ha riconosciuto con franchezza che fin lì non si era ancora parlato del tecnico. E questo è un fatto preoccupante, perché se sei ancorato allo status quo per strategia e con salda convinzione, parli di chiunque (Paperino, Paperone, Qui, Quo e Qua, come di Rockerduck) con franchezza. Pioli, invece, sembrava un tabù da esorcizzare. Alla fine, poi, si è giunti a dare la responsabilità ai fattori psicologici.

Per carità, nello sport i fattori psicologici hanno un peso, ma non bisogna considerarli la pezza a colori buona per tutto. Ricordate quello che si diceva dopo la vittoria azzurra in Spagna del 1982? Si diceva che occorreva ritrovare lo Spirito del Mundial, una spiegazione sulla quale ironizzava Gian Maria Gazzaniga parlando di sedute spiritiche e di tavolino a 3 piedi. Gazzaniga era molto acuto e aveva capito che nessuno voleva affrontare il vero  problema ovvero che in Spagna Bearzot aveva sfruttato al massimo il blocco della Juventus arricchito da un mini-blocco dell'Inter e da altri giocatori graditi ai primi. Gli avversari, inoltre, ci avevano snobbato fino alle semifinali. Non c'era nessuno spirito da ritrovare, insomma, perché sic et simpliciter Bearzot non riusciva a reggere una situazione in cui non ci snobbava più nessun avversario e in cui doveva assemblare una nuova squadra senza poter ricorrere a blocchi. Bearzot non riuscì a farlo e tutti sanno come finì a Messico '86: l'Italia si sciolse negli ottavi senza entrare in partita, messa al tappeto per 2-0 nei primi 20'.

A giugno, Pioli è rimasto incollato alla panca rossonera per una serie di motivi, dei quali il più eclatante è stato la presa di posizione aperta e pubblica contro la conferma di De Ketalaere. Maldini aveva deciso di insistere sul belga, ma Pioli era contestualmente intervenuto a smentirlo. A pochi giorni dalla defenestrazione del Capitano, la cosa ebbe il chiaro sapore di scelta di campo. Non so se poi Cardinale e Furlani credessero davvero nelle capacità di Pioli e lo vedessero davvero come uno che risolve i problemi piuttosto che crearli. E' possibile che abbiano creduto di aver trovato l'articolo di alta qualità sottocosto in una liquidazione per chiusura di attività. Diciamo, però, che è difficile non considerare decisiva l'aperta scelta di campo del tecnico, come ha di certo inciso il fatto che questo allenatore abbia un contratto che andrebbe onorato in caso di esonero. Quello fra Pioli e il Milan yankee ha tutta l'aria di essere stato un matrimonio di interesse, non di amore.

Proprietà e dirigenza rossonere sono attanagliate da una paresi da paura, paura di prendere decisioni intendo. Tale paralisi, in realtà, c'era già anche prima di Lecce e prima della vittoria col Psg. Se siete stati buoni osservatori in occasione di Milan-Psg, ricorderete Cardinale che festeggiava come chi si è liberato da un incubo. Non lo avevo mai notato così coinvolto. A Lecce, poi, non c'era nessun dirigente apicale del Milan e non regge la storia che si dovessero inaugurare asili o incontrare sceicchi assortiti né che Pioli sia un coach all'americana e bastava lui. Quando alla fine di Lecce-Milan 2-2 si vede il tecnico a 20 metri dalla squadra riunita senza di lui... sì, dai un dirigente ci vuole! E questo indipendentemente da tutte le pezze a colori che si vogliono mettere. L'impressione è che dirigenza e proprietà temevano un inciampo dopo la vittoria di Champions, una rogna in cui nessuno voleva farsi coinvolgere.

E poi si diventa anche un po' comici se si lascia trapelare che la società non è contenta della situazione infortuni e che intende incontrare il tecnico per vederci chiaro. Ma che cascano dal pero? E' da quanto Pioli gira per Milanello che si registrano epidemie periodiche di infortuni miscolari! Si torna così al punto di partenza di una dirigenza che prende tempo in attesa di vedere cosa succederà con Dortumud e Newcastle. Nel frattempo tutti in ginocchio al lume delle candele nella penombra mistica della cripta ad attendere gli eventi.

L'unica giustificazione che si può trovare per quest'attesa immobile è il precedente del 1996, quando Tabarez fu sostituito da Sacchi 3 giorni prima di Milan-Rosenborg 1-2 con eliminazione dei rossoneri dalla Champions. Ma è un po' debole come motivazione, perché intervenendo dopo Lecce, ci sarebbero state ben più di 2 settimane per preparare Milan-Dortmund, non i 3 giorni scarsi del 1996.

Lo stesso ritardo nell'annunciare il ritorno di Ibra è sospetto. Pioli ha davvero voglia di passare per l'ultracinquantenne che si fa guardare le spalle da Ben Grimm, alias la Cosa dei Fantastici 4? Del resto, Ibra ha il suo caratterino impulsivo, ma non è sprovveduto come qualcuno crede. Vuole davvero tornare in veste di guardaspalle di un tecnico in bilico? Troppi interrogativi senza risposta accompagnano questo ritorno, perché la situazione sia sotto controllo per davvero.

E poi, cosa niente affatto rassicurante, Pioli sa benissimo dove sono i problemi, quantomeno, tattici: il centrocampo troppo alto, con il solo Krunic indietro davanti alla difesa, va bene solo quando gli avversari restano passivi o giocano a ritmi bassi. E ciò vale quanlunque sia l'arzigogolo da settimana enigmistica che Pioli studia per ovviare a questo schema inefficiente e dimostrare di averci visto giusto. Se così non fosse, Pioli non avrebbe schierato i due mediani contro il Psg, partita della vita. Lì non avrebbe potuto perdere, altrimenti avrebbe rischiato di far svanire ogni paura della società.

Si è sostenuto di recente che lo schema con due uomini davanti alla difesa e un vertice alto sarebbe possibile solo con Loftus-Cheek in formazione, ma non è corretto per due motivi:

1) con Loftus-Cheek questo schema rende al massimo, però è applicabile in ogni caso anche con altri, solo che sarebbe meno devastante (ah ragà, non si può essere mica sempre devastanti...);

2) il rovesciamento del triangolo di centrocampo, spostando il vertice basso a vertice alto, sarebbe comunque una soluzione molto efficiente quando, come a Lecce, c'è da arginare l'avversario in svantaggio che alza i ritmi, per farlo contestualmente venire avanti e perforarlo di rimessa.

Ma se Pioli è consapevole del problema e delle possibili soluzioni, non lo ammetterà mai, come Fonzie non riusciva a dire "Ho sbagliato" e le parole gli restavano in gola. E' comunque, restio ad adottare le soluzioni, perché vorrebbe dire rinunciare alle opere d'arte d'avanguardia cui aspira. Come il vorticista Henri Gaudier, savage messiah nel film omonimo di Ken Russel, Pioli sogna traguardi massimalisti che lo facciano entrare nella storia del calcio. Così dimentica che nella storia ci è entrato Nereo Rocco, il quale non era un messia selvaggio, ma solo un grande tecnico che sapeva di essere pagato per raggiungere risultati. Pioli si sente un vero giocatore d'azzardo, quello che, secondo De Sica nel remake de "Il conte Max", si deve comportare come se non rischiasse soldi suoi (tanto per continuare con gli esempi cinematografici). Infatti, i soldi sono della società e lo scorno ricade sui tifosi. Il massimo che possa capitare a Stefano Pioli da Parma è restare a casa pagato fino alla fine del contratto.

Che Dio ci aiuti! Sì, come nel titolo di una fiction che piace a mia moglie. E' la strategia di proprietà e dirigenti. Se decidessero, infatti, potrebbero sbagliare e se ne dovrebbero assumere le responsabilità. Meglio non decidere. E come ho scritto su, alla fine potrebbe andare come ad Abilene, dove... finisce sempre tutto bene.

Ma siamo al "Che Dio ci aiuti!"