Se qualcuno si aspetta un'ode di Pindaro, è meglio che interrompa qui la lettura. Non troverà nulla di simile a un'iperbole, alla gloria di Olimpia più alta del sole nel cielo e ammenicoli vari. Anche perché Pindaro e i suoi proverbiali voli non piacevano al sottoscritto neanche ai tempi del liceo.

Quelli che seguono sono i ricordi di un boomerone, quale poi sono io, legati a Luigi Riva da Leggiuno, un'icona della cultura di massa negli anni '60 e '70. Verrete guidati in una recherche du temps perdu che, forse, sarebbe piaciuta molto a Proust. O magari no, ma poi chi se ne frega anche di Proust!

Il primo ricordo di Gigi Riva risale alla fine degli anni '60, precisamente a un poster. Lo trovai in un numero del Vitt, già Il Vittorioso, che compravo in parrocchia. Era una grande rivista, con fumetti di alto livello come la saga fantascientifica dell'Impero di Trigan di Don Butterworth. Il poster non era di dimensioni molto grandi, ma faceva la sua figura sulla parete, con Riva in casacca rossoblu che posava sul campo di allenamento. Si leggeva l'epiteto cannoniereNel giro di qualche anno la mia famiglia traslocò, ma il poster continuò a fare bella mostra nella mia nuova stanza e ci è rimasto fino ai primi anni '80. Sono certo di averlo ancora, stipato in qualche scatolone, insieme ad altri poster come quello di Luther Blissett del Guerin Sportivo. L'accostamento suona blasfemo, lo so, ma tant'è.

La fortuna di Riva, in fondo, è stato il trasferimento a Cagliari e l'innamoramento per quella città che lo ha spinto a metterci le radici. Ciò è vero innanzitutto perché c'è una bella differenza fra il destarsi al sole radioso di una città mediterranea e il farlo sotto il cielo triste della Pianura Padana, opaco anche nei giorni belli. Ma è vero anche perché il Cagliari non ha mai avuto rivalità particolari con le grandi e quindi Riva diventò subito un mito trasversale, di quelli che mettevano d'accordo tutti. Si poteva litigare sulla staffetta Rivera-Mazzola, ma non su Riva. Lì si era tutti dalla parte sua. Col passaggio a una grande, invece, Riva avrebbe vinto di più, ma sarebbe diventato di certo un personaggio divisivo, non un idolo benvoluto da tutte le tifoserie.

Da milanista non avrei mai esposto nella mia stanza i ceffi degli interisti o degli juventini, ma esibivo con orgoglio il poster di Riva.

Riva, tuttavia, mi ricorda anche un pomeriggio di fine ottobre del 1970. In quei giorni il sole del mediterraneo dava il meglio di sé, fregandosene nella maniera più alta di essere in autunno. Ho ancora negli occhi la luce luminosa di quel giorno. Si giocava Austria-Italia per le qualificazioni agli Europei, ma in quei giorni la mia classe delle elementari seguiva il turno pomeridiano. All'epoca, per fortuna, esistevano ancora esemplari di una specie poi estinta, i c.d. maestri, uomini che svolgevano la professione di insegnanti nelle scuole primarie insieme alle donne. Orbene, il nostro compianto maestro decise che seguire quella partita aveva un'importante funzione pedagogica e, non potendo portare un televisore, portò la radiolina. Fu così che, in un silenzio surreale, udimmo dell'intervento disastroso con cui Norbert Hof, poi soprannominato "Il boia del Prater", aveva rotto  in un solo colpo la tibia e il perone di Riva. Fu lo stesso Riva, da signore quale era, a perdonare il ciabattone austriaco con un pubblico abbraccio prima del match di ritorno, lasciando probabilmente la questione alla coscienza del rivale. Hof è mancato prima dello stesso Riva, per cui non potremo più sapere con certezza se fu un errore o la vendetta di un difensore incapace di frenare un fenomeno.

Saltiamo in avanti, comunque, fino al campionato 1973-74, quando il Cagliari si presentò a Foggia. Mio zio si procurò i biglietti e mi portò allo Zaccheria per vedere proprio Riva. E lì ebbi la sorte di assistere a un gol di destro del mancino di Leggiuno. Troverete le immagini in rete, riprese dal basso e dal lato opposto a quello in cui un giovanissimo Zardoronz era mescolato agli spettatori. Vedrete che il portiere del Foggia aveva fatto un passo verso il secondo palo dando per scontato il sinistro a incrociare, mentre Riva, con un tiro quasi strozzato, lo aveva sorpreso di destro sul primo palo sguarnito. Fino a quel momento, una bella signora in tribuna non aveva fatto altro che urlare cose come "Riva, se segni ti dò tutto!". Beato Riva, se mai quella dama è stata di parola! Eh sì, perché Riva piaceva anche parecchio alle donne, che vedevano in lui un modello di fascino virile.

Non molto dopo, Riva visse i mondiali del 1974 nell'anonimato, proprio come Rivera, con cui sul campo si intendeva alla perfezione. Ma non sono convinto che i due abbiano ciccato la manifestazione. E' ormai appurato che quella nazionale era profondamente divisa al suo interno. Nulla mi toglie dalla testa che c'erano giocatori che ricevevano palle giocabili e altri che venivano serviti, magari inconsciamente, in maniera più svogliata. Se non fai parte del mio clan, ci penso un po' prima di passartela e quando lo faccio... be' addio Parigi! Chinaglia, che aveva vinto la classifica dei cannonieri superando di poco l'interista Boninsegna, fu il caso più clamoroso delle tensioni interne di quella Nazionale, anche perché distribuì pubblici vaffa. Rivera, nonostante avesse siglato il pareggio provvidenziale contro Haiti (una stupenda legnata dal limite all'angoletto) terminò quel giorno l'esperienza in azzurro, mentre la carriera di Riva in nazionale finì dopo il match con l'Argentina. La stampa fu tenera con Mazzola, che però aveva fallito un gol clamoroso contro i sudamericani, solo davanti a Carnevali. La vita è questa

L'ultimo infortunio di Riva, quello che ne chiuse la carriera, lo vidi in differita nel corso del famoso tempo di una partita che la RAI proponeva alle 19 della domenica. Era un Cagliari-Milan e Riva stava recuperando un pallone dalle parti dell'out. Si accasciò da solo prima che il rossonero più vicino lo raggiungesse. Muscoli e tendini erano andati per conto loro salutando lui e una carriera che poteva ancora essere lunga. Riva avrebbe seguito senza problemi i sardi anche in B, ma non recuperò più. Forse non ne aveva neanche più voglia.

La sera di quel 2 febbraio 1976, mio padre avanzò l'ipotesi che quel brutto infortunio fosse una specie di onda lunga della randellata di Hof del 1970, una specie di bomba a orologeria. Forse non era così. In fondo, papà era un chimico e non un medico, ma chi lo sa?

Dopo il ritiro, pur continuando a essere amato e rispettato, Gigi Riva perse inevitabilmente il suo carisma iconico, perché smettere di segnare è un lusso fuori della portata di un cannoniere. So che ha avuto problemi con la depressione, ma è un male che affligge anche chi non ha smesso di calcare l'erba dei campi di calcio. Potrebbe capitare a chiunque.

Per una strana combinazione, Riva è mancato per una patologia simile a quella di un mio cugino che era stato suo tifoso, fanatico fino al punto da abbandonare l'Inter per qualche anno e tenere al Cagliari. Isn't life strange? Così cantavano i Moody Blues agli albori degli anni '70, nel pieno della carriera di Luigi Riva da Leggiuno. Non è strana la vita? No, direi che non lo è affatto. E' molto molto più logica di quello che si creda.

Ho trascurato momenti importanti, lo so, come lo Scudetto del Cagliari o i mondiali del '70. Non fateci caso, semplicemente non sono stati evocati dal sapore del pasticcino intinto nel tè. Prendetevela col pasticcino e con il tè, come avrebbe fatto Proust.