Sveglia alle 6:10, come tutte le mattine. Un bacio per noi due, uno a Gioia e poi, appena appoggiati i piedi in terra, un abbraccio forte. Intenso, come sempre.
Ci si prepara veloci (non tutti...), la colazione, rigorosamente seduti e apparecchiati, e poi uno sguardo fuori per vedere, specialmente stamani, se il tempo fa culaia [cit. dialettale: le nuvole gonfie e nere stanno per promettere una cascata di pioggia], e ricordarci, soprattutto, che "chi ha tempo non perda tempo". 
Arriva un giorno, però, in cui ce ne dimentichiamo; dovremmo avere tutti qualcuno che abitualmente ci ricordi questo.
Ecco sì, possedere due sveglie sarebbe l'ideale. Una che ci comunica che la nostra "giornata tipo" ha inizio, e una, invece, che ci dica che ha inizio anche la nostra vita, quella in cui abbiamo il dovere, se non il diritto, di renderci sognatori se non proprio felici. 

Il paradosso del mondo è farci sentire sempre in un'età sbagliata. In fondo è sempre il giusto giorno per migliorarci, ma questo non ce lo diranno mai, e quindi arriveremo a credere di essere sempre in ritardo; in realtà, forse, il nostro è solo essere in anticipo quando i preparativi per la vita ancora non sono stati messi in campo. 
Aiuto mia nipote in qualche piccola ripetizione e, più che imparare, troppe volte a memoria, vorrei farle capire. Capire di non avere paura di perdere tempo nelle passioni, quello è, ma soprattutto sarà, il momento che avrà speso nel modo migliore.
Non dovrà permettere che le sue dedizioni, i suoi interessi, si sgretolino sotto la spinta di un mondo che pretende di essere uguale a tutti per poi essere completamente diverso ai suoi occhi.
Dovrà osare sognando e sognare osando.
"Voi guardate il buio e io contemplo le stelle, ciascuno ha il suo modo di guardare la notte".

La società generalmente teme chi sogna, ma il mondo ha bisogno di singoli che possano, ma soprattutto debbano, vivere nelle sfumature: ove altri vedono un bivio, loro avranno l'obbligo di scorgere migliaia di strade che portano in tutte le direzioni possibili e immaginabili. E più scopriranno opportunità, per quanto lontane e improbabili, più continueranno a sognare. Un fantasticatore non è un netturbino della realtà. 
Anche perché non ci permetterà di risolvere il vero dilemma: per cosa ho diritto di sognare? La felicità, a volte, è una scelta, seppur non inscatolata, ma nessuno ancora lo sa. 
Ora che mia nipote sta frequentando la scuola, farà bene a "divertirsi", a "perdere tempo"; non posso spingerla però in questo: è troppo presto. Avrebbe una percezione fuorviante e, inutilmente, dovrei farle capire che sta sbagliando. 
Non dovrà pensare al futuro con l'ansia dei grandi, quello che la spingerà a decidere, prima ancora di capire, tutto l'iter della sua vita.
Il tempo non verrà mai perduto se lo si fa con "consapevolezza".
Si potrà chiedere, se mai lo farà, in che modo ci si possa dimenticare del tempo con "consapevolezza"; con una sola parola: passione

Vorrei che si esaltasse a ciò che ha intorno, anche se pensa di non poterlo vedere, a utilizzare e sfruttare questo tempo per imparare, non per essere più brava degli altri, ma per esserlo più di lei stessa. Quando crescerà avrà sicuramente altre cose che amerà e rimpiangerà di non avere avuto il tempo necessario per coltivare tutti questi amori non nati. Per questo, ora, non dovrà permettere di lasciare andare quegli interessi che riempiono gli occhi, ma viverle! Magari accantonarle, ma ricordarsene.
Non mi ascolterà, ne sono certo...
Vi è una differenza sostanziale fra desideri e bisogni: l'uomo può capire facilmente un bisogno; è invece molto più difficile capire ciò a cui si riferisce il desiderio perché quest'ultimo "rilancia" ogni volta l'esigenza. 
L'oggetto del desiderio è perciò indefinito, tanto che Cartesio lo chiama "desiderio infinito". Alla domanda: "Cosa desidera l'uomo?", si può rispondere dicendo che l'essere umano desidera tutto, nel senso che nulla basta mai: è come se ci fosse un magnete in noi che eccita continuamente il nostro bisogno di vivere. 
Quindi, il desiderare è il bisogno che è la vita. Vivere significa, perciò, fare i conti con questa necessità.
La cifra del desiderio non è mai morale, mentre la legge della bramosia è qualcosa che ci portiamo dentro ed è chiamata soddisfazione. 
Solo chi desidera sa davvero cosa lo soddisfa, anche se, essendo la cosa più propria, si riesce sempre meno a gestire e ad acquietare. Provoca un'inquietudine nel cuore e nell'intelligenza che ci spinge sempre oltre ma che non riusciamo mai a soddisfare. 
Il sogno è quello a cui ultimamente ogni desiderio mira. Il compimento viene talvolta chiamato con un altro nome: verità. In realtà il desiderio del sogno comporta quello per la verità. E può avere un conto salatissimo.
Io ne so qualcosa.
L'uomo pensa che ciò che renda la vita veramente degna di essere vissuta è il lavoro, la fatica per poter realizzare i propri sogni, costruendo la propria felicità, inaspettata, su castelli di carte in un mare di sabbia dove è impossibile programmare.
Per questo, forse, ci ritroviamo vecchi ancor prima...
Mi imbatto spesso, con rammarico, a vedere pellicole in orari impossibili della mattina quando, generalmente, la quasi totalità delle persone, come mia moglie, è invischiata in attività lavorativa il più delle volte resa banale come la fiaba dei servi dai capelli ricci di una volpe senza l'uva.
Ho avuto modo di godermi il film 'Il Grande Passo" di Antonio Padovan, giovane regista veneto che ebbe modo di mettersi in mostra con la sua opera prima "Finché c'è prosecco c'è speranza", del 2017.
Stefano Fresi e Giuseppe Battiston, Mario e Dario, sono fratelli consanguinei tanto somiglianti per fisicità quanto lontani sia caratterialmente che geograficamente: il primo, gioviale e bonaccione, vive a Roma dove insieme alla madre conduce il negozio di ferramenta di famiglia, mentre il secondo, introverso e facinoroso, vive in uno sperduto casolare nei dintorni di Rovigo. I due, di mezza età, si sono visti una sola volta nella loro vita e nulla più, abbandonati entrambi dal padre in comune da cui scaturisce appunto la consanguineità.
Dario ha, da quella lontana serata del 1969 quando aveva sei anni, un unico sogno, ovvero raggiungere un giorno la Luna e, per questo, lavora segretamente alla creazione di tecnologie fatte in casa per il grande lancio. Proprio quest'ultimo tentativo, poi abortito, è causa dell'incendio della maggior parte dell'appezzamento di terreno in affitto in cui egli vive e, da qui, la denuncia da parte della comunità del "Luna storta", nomignolo con il quale il visionario astronauta artigianale è conosciuto in paese, così da definirne il coatto ricovero presso un istituto.
Mario viene quindi contattato quale unico, sebbene lontano, parente di Dario; si arma e parte alla volta del Veneto.
Comincia così un film di contrasti e di crescita di un rapporto che necessariamente deve crearsi fra due identità così diverse e, comunque, accomunate da un padre che non esiste nella loro vita.
Nella mente di Dario c'è ben impressa quella notte in cui tutto il mondo fu a testa all'insù con l'orecchio teso alla radiocronaca o gli occhi incollati alle immagini tv dell'allunaggio. In quella serata Dario era sulle gambe del padre e lì decise, immaginandolo, il suo futuro, grazie anche alle parole di quell'uomo, poi scomparso dalla sua vita, che in quell'occasione gli confidò l'unica differenza tra il genere umano e le altre specie animali: la capacità di sognare. Ovviamente, per tutti, Dario è lo "spostato", il "deviato", il "pazzo", ma forse è solo colui che osa e che persegue il suo sogno e, per questo, incarna il ruolo della vittima in una società modesta e omologata che si fa carnefice. Non a caso, il visionario astronauta indica al fratello che la rotta verso la Luna è molto semplice e intuitiva e che il viaggio in sé ha un unico momento difficile, quello di riuscire a staccarsi dalla superficie di questo mondo terreno. Non serve aggiungere altro per una semplice trasposizione del concetto in ambito psicologico-sociale.
Infine, semplice, ma stupenda, la frase di Dario verso Mario, sbigottito e interdetto di fronte a tutta la "roba", le macchine di calcolo e il piccolo razzo fatto in casa e custodito in una stalla, che il fratello ha costruito e che segretamente gli fa vedere: "Questa roba è la mia vita. E io non ne ho un'altra!". Che dire, quindi, che il giovane Padovan riesce per la seconda volta a colpire nel centro con un'opera che non si perde in orpelli e che, grazie al validissimo apporto di un cast in grande spolvero, guadagna spessore e spunti di riflessione.

Secondo la filosofia il desiderio è uno stato di affezione consistente in un impulso volitivo diretto a un oggetto esterno, di cui si desidera la contemplazione o più facilmente, il possesso.
Ogni giorno, ad almeno una persona sull'intero globo terrestre, si produce questo istinto; ciò sta a significare che l'uomo è fatto per provare sensazioni specifiche al desiderio provato. Da sempre Chiesa e Filosofia hanno contrapposto la loro natura, rispettivamente spirituale e pragmatica: è proprio da questo che si è iniziato a distinguere il desiderio e la sua ammissibilità.
Vi è un nesso fra desiderio e bisogno? E soprattutto, ogni desiderio in qualche maniera implica un bisogno? L'esperienza del bisogno non copre totalmente l'ardore del desiderare: difatti, tra il bisogno di qualcosa e la soddisfazione del bisogno, l'uomo sceglierebbe molto probabilmente la seconda. Non è scontato, però, che fra il desiderio e il suo totale soddisfacimento scelga la soddisfazione del desiderio perché se dovesse compiersi il desiderio, l'uomo immancabilmente non desidererebbe più e quindi il movimento della vita si fermerebbe.

Ma la domanda più ficcante e, si badi bene, assolutamente non scontata: "Cosa saresti disposto per esaudire un desiderio?", il "Tutto", banalizzando il primo acchito, sarebbe per pochi, molti o tutti?

Diego Armando Maradona aveva come un fratello gemello, però più bravo di lui a giocare a pallone, l'amico Gregorio. Bambini, poi adolescenti, comunque inseparabili; i campetti di polvere, pietre e miseria erano il contorno del quartiere Fiorito, che, se non eri di lì, era meglio stare lontano e lasciar perdere. Un giorno, un certo Don Francis, ciabattando dubbioso da un cortile all'altro in cerca di talenti, dopo che tutti gli parlarono di quel fenomeno di Gregorio, andò a vederlo. Rimase sbigottito, lo prese. Il piccoletto disse: "Va bene, ci sto. Ma a un patto: posso portare un amico? Diego è un "pibe que la rompe", uno che spacca, insomma. Un fratello, un vero fratello per me".
Nacque la squadra più vincente nella storia del calcio argentino, era il 1973. Diego indossava già la maglia numero 10, Gregorio, l'altro Maradona, la numero 9. E fece quasi tutti i gol...
Vive ancora a Fiorito con moglie e figli. È un busca, come dicono da quelle parti, nel senso che ogni giorno cerca lavoro: oggi muratore, domani venditore ambulante, attacchino. Si arrangia. 
Gregorio Carrizo lo conoscono come "E Goyo, El Diego". Lui non è diventato un campione, no.
"È successo tutto dopo aver fatto un dribbling, uno di troppo: perché mi piaceva superare gli avversari, mi sembrava di volare. Invece all'improvviso ho sentito qualcosa che si rompeva, dentro il ginocchio. E mi sono fermato. Per sempre. Il desiderio, il mio sogno svanito". Aveva 18 anni, stava per debuttare in prima squadra come l'amico, il gemello. Invece l'infortunio, l'operazione. Lui in un letto di ospedale, mentre l'altro cominciava a diventare grande.
"All'inizio Diego mi ha aspettato. Mi ha anche pagato le cure per la riabilitazione, la palestra. Però io ero troppo pigro, o forse troppo impaziente. Avrei dovuto continuare con gli esercizi per sei mesi, dopo 20 giorni m'ero già stufato".
Gregorio e Diego, i due "fratelli gemelli" nati nel 1960, nello stesso barrio e a nove giorni di distanza l'uno dall'altro. Dopo quel dribbling di troppo, con la rottura dei legamenti, del destino e di tutto il bello immaginato, si sono rivisti solo in poche occasioni.
"L'ultima è stata molti anni fa, lui era il commissario tecnico della Nazionale e sono andato a trovarlo al termine di un allenamento". Poche parole, sorrisi imbarazzati, forse nemmeno una stretta di mano. Dicono che a suo tempo Maradona gli abbia offerto un aiuto economico, una casa migliore dove andare a vivere insieme alla sua famiglia. Ma il Goyo, orgoglioso, è rimasto a Fiorito. 
Il tempo ha fatto il resto.
Il suo vecchio mister, andandolo a trovare dopo più di un problema, e non solo di salute, ebbe modo di lasciargli una vecchia fotografia sbiadita che conservava come una reliquia. Cinque bambini seduti, la maglietta bianca e le case di Fiorito sullo sfondo. Tutt'oggi si può leggere una dedica: "Il miglior reparto d'attacco che ho mai allenato: Silvano, Claudio, Goyo, Diego e Polvora. Don Francis".

Gregorio Goyo Carrizo ha una scatola piena di ritagli e immagini, quasi tutti in bianco e nero. Articoli che parlano di lui. E dell'Altro. Di quello che avrebbe potuto essere e non è stato. Dice che ogni tanto la sera, quando non riesce a dormire, se li legge. "O forse è perché li leggo, che non riesco a dormire. Ma in fondo, sono contento così. Ho fatto felici tante persone, perché senza di me non ci sarebbe stato Maradona. Quel giorno ho detto a Don Francis che avrei portato un fratello, uno bravo. Avevo ragione: era lui il campione. Il desiderio prima del sogno...".

Si chiude qui la mia personalissima identità costruita su tre articoli in cui ho voluto descrivere Amore, Felicità e Sogno.
Mentre cerco il finale, avvolto nel mio imponderabile silenzio, pur con l'immancabile radio in sottofondo, e la radice di liquirizia fra le dita che ha preso il posto delle Camel, sento distrattamente una canzone di Freddie Mercury e allora, come d'incanto, mi viene in mente la massima per eccellenza: "Se devi fare una cosa, falla con stile".  
Riavvolgendo il mio personale nastro, beffardamente, penso a quel giorno in cui le cose che si desiderano, ma non si fanno, e quelle che si fanno, ma non si desiderano, s'incontreranno e rideranno di se stesse. 
Il mondo è piccolo, la gente è piccola, la vita umana è piccola. 
C'è solo una grande cosa: il desiderio che è metà della vita, mentre l'indifferenza è metà della morte.

C'est la vie...

qui per completare la trilogia:
FELICITA': La compagnia del buon demone  

AMORE: L'inesorabile fatalità che non lascia scampo​