"Oggi se ne è andato il sorriso più bello del calcio italiano. Grazie a tutti i medici e al personale sanitario dell’Ospedale Santa Maria della Misericordia di Perugia che in queste ultime settimane si sono presi cura di lui. Ciao papá…".

Questo è l'annuncio, tramite un post su facebook, apparso sul profilo del figlio di Ilario Castagner, Federico.
"Ha fatto vivere a Perugia momenti di pura felicità riuscendo a mobilitare l’intera città. Grande uomo e grande allenatore; grazie di tutto Ilario, resterai indimenticato per noi perugini. Con la sua scomparsa il "Perugia dei miracoli" passa definitivamente alla storia". Ecco, uno degli innumerevoli messaggi apparsi sul sito del tifo organizzato della società umbra. 
Primo tecnico nella storia del calcio italiano a terminare imbattuto un campionato di Serie A a girone unico, se ne è andato proprio nel pomeriggio del derby tra il suo Perugia e la Ternana vinto in maniera indiscutibile dalla squadra che ha dedicato il nome del proprio stadio a un indimenticabile Renato Curi.

Allenatore di prestigio negli anni '70 e '80, fu tecnico di Lazio, Milan e Inter. Il suo nome resterà legato per sempre agli anni d'oro del Grifo. Dalla promozione in A, passando per la favola del Perugia quando sfiorò lo scudetto nel 1979, chiudendo, mai sconfitto, dietro il Milan. Poi due ritorni romantici sulla panchina biancorossa, nel 1993 e nel 1998, quando ottenne un'altra promozione in Serie A al termine dell'indimenticabile spareggio di Reggio Emilia contro il Torino (ricordo la trasferta di mio padre, ma soprattutto il ritorno...).
Di ruolo centravanti, Castagner debutta da professionista con la maglia della Reggiana nella stagione 1959-1960, in Serie B, la massima categoria raggiunta da calciatore. Nella stagione 1963-1964, l'attaccante coglie il suo miglior risultato personale vincendo con 17 reti la classifica marcatori del girone B di terza serie.
L'esordio sulla panchina arriva nel 1974, quando viene chiamato al Perugia dal neopresidente Franco D'Attoma. In quella stagione i grifoni, che da quasi un decennio si barcamenano in Serie B senza risultati di rilievo, vincono a sorpresa il campionato anche grazie a giocatori sconosciuti lanciati dal giovane tecnico; uno su tutti Paolo Sollier. 

Su quest'ultimo vale la pena aprire una piccola parentesi ricordando che la sua notorietà fu dovuta principalmente al libro "Calci e sputi e colpi di testa", pubblicato nel 1976, nel quale il calciatore raccontava la propria militanza in "Avanguardia operaia" e descriveva il mondo del calcio da un punto di vista alternativo rispetto ai colleghi. Nell'occasione venne deferito dalla FIGC. Emblematico il suo saluto col pugno chiuso rivolto ai tifosi del Perugia, un gesto che gli provocò l'antipatia di alcune curve; in particolar modo quella della Lazio.
Sottolineò, anni dopo, che quel gesto "Non era propaganda. Non era un gesto indirizzato ai tifosi ma a me stesso, per ricordarmi ogni volta chi fossi e da dove venivo. E per far sapere ai miei amici che restavo quello di sempre: il ragazzo che al campetto, tanti anni prima, così si rivolgeva a loro. Con quello che per noi era un segno di riconoscimento".
Sembra davvero un altro calcio a ripensarci adesso...

Come dicevo, era il 1974. 
Io, con il mio grembiule nero e il fiocco rosso, che contraddistingueva i bambini della prima elementare, sarei entrato per la prima volta nel mondo scolastico così come, poco dopo, avrei varcato la soglia, sempre per la prima volta, dell'Artemio Franchi.
Franco D’Attoma entrò nel circo pallonaro per rendere un favore alla sua città d’adozione. In Umbria era arrivato molti anni prima, per amore. All’epoca il Perugia era sull’orlo del fallimento: affondava nei meandri della bassa classifica della serie cadetta, con una società pesantemente in crisi. D’Attoma la trasformò in un modello: in pochi anni spinse una semplice società calcistica di periferia ai limiti più estremi, fino alla lotta per lo scudetto. 
Ottenuta la salvezza, nel campionato 1973/74, iniziò la parabola verso l’alto. D’Attoma si definiva "ignorante di calcio" e si attorniò di gente esperta: Silvano Ramaccioni, innanzitutto, che diventerà poi il general manager del grande Milan. Accanto a D’Attoma e Ramaccioni, un allenatore giovanissimo: Ilario Castagner. I tre posero le basi per la costruzione del "Perugia dei miracoli". La stagione successiva segnò l’inizio dell’avventura. Il triumvirato D’Attoma-Ramaccioni-Castagner mette su una squadra di ragazzi quasi sconosciuti, tra i quali Pierluigi Frosio, il capitano.
Campionato indimenticabile per squadra e città. Finisce con gli umbri primi: serie A, per la prima volta. Al primo vero anno di attività, D’Attoma era già entrato nella storia del Perugia. Conquistata la promozione, la società punta a restarci il più a lungo possibile. La mentalità da industriale del presidente entra di prepotenza anche nel calcio. D’Attoma impone ai dirigenti di mantenersi sempre lontani dalle questioni tecniche: presente, ma a distanza; fiducioso nei confronti di chi il calcio lo gioca e la squadra l’allena.
Sembra davvero un altro calcio a ripensarci adesso...

Castagner chiede, D’Attoma risponde. Viene consolidato il gruppo di giocatori con l’arrivo di altri elementi. Con il passare degli anni arrivano Aldo Agroppi, Walter Novellino e Salvatore Bagni. Il Perugia rimane in pianta stabile nella massima serie e il presidente continua a forgiare squadra e società a sua immagine e somiglianza. I Grifoni sono la squadra-simpatia e anno dopo anno si consolidano in classifica con l’ottavo posto nel 1976, il sesto nel 1977 e anche nel 1978.
Poi il prodigio. 
Nella stagione 1978/79, il Perugia di D’Attoma gioca un gran calcio: vince, pareggia, pareggia e vince. In precedenza non era infatti mai successo che una squadra disputasse un intero campionato di serie A senza perdere nemmeno una partita. A stabilire quel record (eguagliato soltanto tredici anni dopo dal Milan) provvidero le 11 vittorie e i 19 pareggi messi insieme. Quarantuno punti in tutto, tre in meno del Milan di Liedholm, quello che festeggiò la stella del decimo scudetto e salutò la prima stagione di Franco Baresi e l’ultima di Gianni Rivera.
Non solo, ebbero anche la difesa meno perforata del campionato con sole 16 reti subite. I punti di forza della retroguardia erano Frosio e Della Martira (cuore gigliato; la figlia, meravigliosa ristoratrice, ha un locale di nicchia a San Frediano), mentre il regista di centrocampo era Vannini e sulla fascia destra imperversava Bagni. Otto gol li segnò quest'ultimo e nove Speggiorin, la prima punta che, guarda caso, proprio a Firenze, quando indossava la maglia Viola, fu rincorso per Viale dei Mille a causa di... pensieri non proprio calcistici.
Sembra davvero un altro calcio a ripensarci adesso...

Il Perugia era una squadra compatta ed aggressiva, forse in anticipo sui tempi. Agli avversari non dava il tempo di pensare e badava soprattutto al possesso del pallone.
Il miraggio dello scudetto sembrò materializzarsi a sei giornate dalla fine quando il Milan, primo con soli due punti di vantaggio sui grifoni, andò a Perugia: tutta la città sognava l’aggancio, un entusiasmo indescrivibile. Gli umbri non potevano presentarsi al gran completo, erano infatti fuori uso due pedine fondamentali come Frosio e Vannini (cui Fedele ruppe una gamba), che saltarono quasi tutto il girone di ritorno. Finì in pareggio, come era già successo a San Siro e i rossoneri poterono così veleggiare placidamente verso il primato. 
Il "Perugia dei miracoli" termina secondo a tre punti dal Milan. Per la seconda volta D’Attoma entra nella storia: porta il Grifo in Europa.
Ma non è finita. Il presidente deve ancora completare l’opera. Passa solo un anno e prende una decisione che apre la strada al nuovo modo di fare calcio: è l’inventore dello sponsor. Vuole portare Paolo Rossi a Perugia. E per farlo rompe gli schemi del mondo pallonaro. Propone al pastificio "Ponte" di finanziare la squadra, in cambio della presenza del marchio sulle maglie.
La Federcalcio multa il Perugia: sulle tenute, dicono in Federazione, può comparire solo il logo dell’azienda che le fabbrica. E D’Attoma che fa? Lui, industriale dell’abbigliamento sportivo, s’inventa la linea "Ponte". Arrivano quattrini sonanti e il Perugia compra Pablito. E’ il colpo che consacra don Franco, signore di un’interà città. E’ l’apice: il Perugia imbattuto può sommarsi al più grande cannoniere italiano, e il risultato non può essere che lo scudetto…
Sembra davvero un altro calcio a ripensarci adesso...

La scomparsa di Castagner non lascia soltanto un vuoto sportivo; quello umano è ancora più grande
. Era una persona rara, un gentiluomo d’altri tempi, un uomo dal cuore d’oro, amato da tifosi e calciatori. Un professionista che incarnava valori che nel calcio di oggi sono sempre più rari e il cui nome resterà per sempre indissolubilmente legato a Perugia e al Perugia. 
"L'ultima volta che ho avuto il piacere di incontrare Ilario Castagner è stato in occasione della riapertura dello Stadio Santa Giuliana, quello che fu il suo stadio e del grande Perugia. È stato un onore conoscerlo, protagonista di un calcio che non c'è più. Un signore nello sport e nella vita, a dimostrazione che ai grandi basta essere autentici per affermarsi".
Emanuele Prisco, sottosegretario all’Interno ed ex assessore allo sport della città di Perugia, appresa la notizia della scomparsa.

Il ricordo del sindaco di Norcia, Nicola Alemanno, rende merito all'uomo ancor prima che allo sportivo. "La scomparsa di Ilario Castagner non lascia indifferente la nostra Comunità. Carismatico, è divenuto un icona dello sport per la nostra Regione. Era un amico di Norcia, di cui fu nominato cittadino onorario. Ha contribuito a fare del nostro paese quella cittadella dello sport, divenuta poi sede ambita di ritiri sportivi sin dagli anni '70, luogo in cui le società potevano prepararsi alla stagione agonistica in un clima ideale e anche favorevole dal punto di vista 'scaramantico'. Anche noi piangiamo la scomparsa di un grande uomo di sport e ci stringiamo con profondo affetto alla famiglia". 

"Nel calcio non conta il passato, ma quello che si riesce a raccogliere nel presente" - diceva il mister, sempre avanti con il pensiero rispetto ai tempi che precorreva.
Charlie Chaplin affermava che "Il tempo è un grande autore". Inconsciamente, non immaginava, che anche il Grifone, come figura araldica chimerica, simboleggia custodia e vigilanza. 
Tesoro inestimabile dei nostri tempi.
Sembra davvero un altro calcio a ripensarci adesso...