A Natale son tutti più buoni. È il prima e il dopo che mi preoccupa...
"Ho chiuso l'ultimo scatolone delle statuine, sei sicura di averle sistemate tutte?"...

È stato un Natale insolito, con giornate aperte al sorriso e insieme segnate dalla preoccupazione. Soltanto rimettendo al loro posto tutti gli addobbi, per l'anno prossimo, mi sono reso conto di quanto fosse diverso anche il sapore della fetta di panettone; io che ho avuto, almeno, la fortuna di poter mangiare.
I giorni della vicina guerra Russia contro Ucraina, l'economia distorta dall'inflazione, i costi dell'energia che gravano pesantemente su imprese e famiglie, le aziende in difficoltà, la paura di perdere il posto di lavoro, il Covid che non si sa se riprenderà e come; un'incertezza palpabile dietro il velo della quotidianità. E insieme il desiderio forte di potere continuare a nutrire un minimo di fiducia nei mesi futuri. Una speranza che non si cancella mai. Magari proprio con l'aiuto dell'atmosfera del periodo di Natale, da tutti il più amato in assoluto.

A volte sembra di scivolare inesorabilmente verso una celebrazione svuotata del significato che l'ha fatta nascere, la venuta di Gesù, a favore di un generico periodo di festeggiamenti all'insegna di buoni sentimenti (sorrisi e carezze non vengono negate a nessuno), di solidarietà (vera o presunta, un sms per la tavola dei poveri non si risparmia per poter, quanto meno per un giorno, far digerire la propria coscienza) e della famiglia (decantata, troppe volte, con la schermatura "mia" come una rivendicazione protettiva che, il più delle volte, risulta invece una mera sottolineatura da punteggiatura esclamativa). E perché, poi? Se non conosciamo cosa si celebra, che cosa ci fa diventare buoni? 

Il diem nat lem Christi (il giorno della nascita di Cristo) dei Romani, il 25 dicembre, non è una data certa, lo sappiamo. Vangeli e Sacre Scritture non ne parlano. Esistono però diverse ipotesi, tra cui il calcolo della data sulla tradizione di ritenere che la morte (Venerdì Santo) corrisponda alla data del concepimento: considerando i nove mesi di gestazione, si arriva ad un periodo tra il 25 dicembre e il 6 gennaio. E vari gruppi cristiani celebrano ancora oggi la nascita di Nostro Signore il 6 gennaio, giorno che per noi corrisponde all'Epifania. Il 25 dicembre è una data molto affollata in quanto, innanzitutto, segna il solstizio d'inverno: il giorno più corto che dà seguito alla luce.
Fu Papa Ratzinger il 23 dicembre 2009 a dire che "il primo ad affermare con chiarezza che Gesù nacque il 25 dicembre è stato Ippolito di Roma, nel suo commento al Libro del profeta Daniele, scritto verso il 204".
Si è fatta però strada un'altra ipotesi, che siano stati i Romani, con l'imperatore Aureliano in particolare, a impadronirsi della festività cristiana già ampiamente diffusa, per ancorarvi la nascita del Sol Invictus.
Oggi l'albero di Natale dalle origini nordiche (anch'esso simbolo di risveglio dall'albero dell'Eden) sta soppiantando il presepio, nostra iconica rappresentazione natalizia. Segno dei tempi...

Avevo dato alla mia carissima nipote, durante le "ferie" di Natale (non chiamatele vacanze in quanto mi sembra assolutamente inopportuno anche per gli scolari...), un semplicissimo tema per mantenere la mente in allenamento visto che i suoi professori, in seconda media, non avevano ancora deciso come "far passare" loro il tempo.
Devo ancora riprendermi, con gli opportuni sali, per capacitarmi su quanto letto.
La scuola dovrebbe avere il ruolo etico istituzionalmente riconosciuto di appianare gli ostacoli frapposti a un completo sviluppo delle capacità cognitive e relazionali di tutti i cittadini; in realtà la scuola italiana, già gravata da ritardi e inadeguatezze storiche, si è ritrovata ancora più fragile nell'affrontare le difficoltà indotte dalla pandemia e ora l'inflazione riduce, sino quasi ad azzerarle, le possibilità delle famiglie meno abbienti di integrare la formazione dei figli con risorse proprie. Il problema della povertà educativa in Italia rappresenta un handicap di enorme importanza: ipoteca lo sviluppo complessivo delle potenzialità cognitive, relazionali, occupazionali e di benessere delle future generazioni, e rappresenta un ineludibile fardello per le nostre classi dirigenti.

Ai ragazzi di oggi, purtroppo, mi sto sempre più accorgendo che è rimasto solo l'istinto vitale. Per il resto, sono semplicemente figli del loro tempo: tecnico e tecnocratico, elettronico e virtuale. Nativi digitali li chiamano, come fosse un premio invece di una condanna. Vittime del progresso transumano e quindi del regresso umano, non possono e non riescono, se non a tratti, a conservare quel po' di pura socialità che da sempre è il motore primo di ogni giovinezza.
Un "giovanicidio" ormai neanche più camuffato, che va avanti da almeno quindici anni e che ha raggiunto ormai picchi elevatissimi e non più recuperabili.
Avvolti e tartassati da nefaste, fuorvianti e ignoranti terminologie contemporanee, come resilienza e inclusione, digitalizzazione e intelligenza artificiale, diventa una vera e propria impresa per genitori e insegnanti salvare qualche giovane dall'oblio sociale e culturale nel quale scientemente li si sta catapultando. Ma prendiamoli uno ad uno questi nuovi paradigmi del post umanesimo contemporaneo e vediamo come incidono sui nostri ragazzi.

Resilienza è accettazione passiva di ciò che ti accade intorno, degli eventi imposti, anche i più cruenti, spaventosi e soprattutto contrari alla tua morale; ai giovani dicono che è una virtù quella di chinare il capo dinanzi ai cambiamenti voluti da altri, anche se opposti ai loro pensieri. 
Inclusione è ancora più subdolo, perché gioca sul senso civico oltre che su quello della moralità strettamente personale. Vuol dire inglobare indistintamente identità anonime, umanamente distaccate e asociali, annullando il principio primo di crescita in una comunità di individui: il confronto tra pensieri diversi. 
Digitalizzazione e intelligenza artificiale vanno a braccetto, in quanto la prima è il terreno fertile da estendere il più possibile per piantare la seconda. Entrambe hanno una caratteristica: il ricatto della comodità.
Ti tolgono un pezzo sempre più ampio di umanità e in cambio ti offrono comodità tecnologiche. Ripenso alla storia della mia famiglia, del mio paese, alle civiltà passate: siamo certi che la versione moderna dell'uomo sia quella migliore? Oppure la strada intrapresa non sta portando ad alcun progresso umano, ma soltanto tecnico? A ognuno la risposta; io, la mia, è da tempo che me la sono data...
Digitalizzare le nostre vite è tutto, soprattutto negli ultimi anni. È certamente l'unica cosa che conta. Un salto nel virtuale è un salto nel vuoto che non finisce mai. La droga più terribile. L'intelligenza artificiale è il fine ultimo di un percorso già avviato da anni. Nata da piccole "sette transumane", con culti e pratiche ben definite e divenute nel tempo società tecnologiche regolarizzate e super finanziate, ha trovato finalmente la luce; non quella di Dio ma quella artificiale, che abbaglia grazie ai suoi led sparsi adeguatamente qua e là. 
Da quest'anno diverse università hanno inserito corsi di laurea in intelligenza artificiale (IA), sperando di coinvolgere il più alto numero possibile di studenti e spacciandola per studio. È vero l'esatto opposto: solo studiando può essere abbattuta. Diverrà la nuova normalità, di cui tanto abbiamo sentito parlare.
Ora ce l'abbiamo sotto gli occhi, consapevoli che è il più grande affare che sia mai esistito e che tutto ciò che le ruota intorno, dalla pace alla guerra, dalla salute alla malattia, ha lei come motore primo e scopo ultimo.
È notizia di questi giorni che in Danimarca è nato ufficialmente il Syntetiske Parti, il Partito Sintetico. Si presenterà alle prossime elezioni, lo guida un algoritmo, un robot. Ha anche un programma elettorale, si basa su due punti: reddito universale, quattordici mila euro al mese per tutti; integrazione finale tra uomo e macchina. Vi ricorda qualcosa? Ricatto della comodità?
Funziona così: anticipano notizie apparentemente sconvolgenti e vedono l'effetto che fa. Poi, tra un po' di tempo, le ripetono. E poi ancora e ancora, finché non le avremo assorbite e non ci stupiranno più. Poi, via, il più è fatto. Ecco perché parlare dei giovani, anche ai giovani, d'oggi è allo stesso tempo inutile ma necessario. Perché la paura è che sia troppo tardi, che sia tutto già quasi abitudine, quotidianità. 

Ho avuto modo di vedere a orari impossibili, come sottolineato più volte, il film di David Grieco "La Macchinazione" sulla storia degli ultimi tre mesi di Pier Paolo Pasolini. Merita, credetemi. Un Massimo Ranieri, nei panni del Maestro, assolutamente straordinario in una storia splendida, originale, visionaria; proprio come il pensiero del poeta.
Com'è intollerabile essere tollerati. Pasolini intervistato da un giornalista francese cita Cocteau e l'aforisma racchiude il pensiero dell'ultimo periodo dell'autore, incurante del consenso, della tolleranza, perfino della morte. Potenti le apparizioni oniriche della società. Da storia del cinema l'incontro in trattoria con lo studente nerd, fan dello scrittore, che però non capisce la provocazione scritta sul Corriere in cui PPP ritiene che per i figli degli operai possa bastare la quinta elementare, per non "imbastardirli e portarli via dall'autentico sottoproletariato urbano alla odiata piccola borghesia consumistica". Un film che non si limita alla cronaca, ma cerca di scavare dentro i personaggi e la società italiana dell'epoca. 
E al termine, inevitabilmente, ci si sente persi...

Sostituendo mia sorella, recandomi al colloquio con i professori, l'insegnante di geografia, la più giovane, alla mia classica domanda sul rendimento scolastico di mia nipote, mi ha guardato fisso negli occhi rispondendomi in maniera sorprendente: "Mi creda, si preoccupi più dell'atteggiamento piuttosto che di un numero su un foglio; il prossimo anno sarà il più duro. Non perché ci saranno gli esami di terza media ma poiché, oltre a pensare di crescere, dovranno guardare al proprio futuro...". 

"È un miracolo che io non abbia rinunciato a tutte le mie speranze, perché esse sembrano assurde e inattuabili. Le conservo ancora, nonostante tutto, perché continuo a credere nell'intima bontà dell'uomo".
dal Diario di Anna Frank

Dedicato ai ragazzi di oggi, a chi resisterà, a chi avrà studiato e, di conseguenza, prodotto un pensiero proprio, libero e non autorizzato.

Nel mentre...
Tra una pallina e l'altra, mi è venuto spontaneo sibilare, solleticando mia moglie, dall'ultimo "piolino" dello scaleo: "Sicura che questo fosse lo scatolone dove abbiamo riposto T-U-T-T-E le nostre statuine?". 
Mi sorride. "... Va bene, ne compreremo altre due visto che vicino alla capannuccia quest'anno non ne abbiamo messe molte...".
"Perfetto!" - ho risposto sogghignando; questa è senz'altro un'altra magia del Natale...