... Tu ci hai abbattuti in un luogo di sciacalli e ci hai avvolti di ombre tenebrose...
Per te siamo messi a morte, stimati come pecore da macello.
Svegliati, perché dormi, Signore? Destati, non ci respingere per sempre!
Perché nascondi il tuo volto, dimentichi la nostra miseria e oppressione?
Poiché siamo prostrati nella polvere, il nostro corpo è steso a terra.
Sorgi, vieni in nostro aiuto; salvaci per la tua misericordia! 

(Sal 44: 20, 23-27).

Era L'aprile del 2005 quando una fumata bianca annunciò la nomina del nuovo Papa che succedette a Giovanni Paolo II.
Si trattava di Benedetto XVI, accolto da tutti, all'inizio, con gioia.
A distanza di otto anni, l'11 febbraio 2013, durante una normalissima giornata, una notizia improvvisa schizzò, facendo letteralmente impazzire le televisioni di tutto il mondo: "Le dimissioni di Sua Santità!".
All'inizio, incredulo, il mondo, non solo ecclesiastico, pensò a una fake news o, visto il periodo, a uno scherzo, anche mal riuscito, dovuto al periodo di carnevale. Successivamente, il portavoce del Vaticano, durante una conferenza stampa, informò della decisione del Capo della Chiesa di dimettersi per motivi di salute.
La notizia, senza girarci tanto intorno, fu la bomba mediatica di quell'anno lasciando sgomenti soprattutto per le motivazioni. Che verremo a sapere nel tempo...

Joseph Aloisius Ratzinger è stato il 265º Vicario di Cristo della Chiesa cattolica e Vescovo di Roma, 7º sovrano dello Stato della Città del Vaticano, primate d'Italia, oltre agli altri titoli propri del romano pontefice, dal 19 aprile 2005 al 28 febbraio 2013. Settimo pontefice tedesco nella storia della Chiesa cattolica, Benedetto XVI ha tuttavia rinunciato al titolo di patriarca d'Occidente impiegato dai suoi predecessori.
Come motto episcopale scelse l'espressione "Cooperatores veritatis", collaboratori della verità, tratta dalla Terza lettera di Giovanni, al versetto 8.
È deceduto il 31 dicembre 2022.
È stato un pontefice controverso e mai completamente amato anche perché, oltre alla propria dottrina (asciutta e poco incline al piacimento popolano), si è trovato "in mezzo" a Giovanni Paolo II e Francesco, autentiche figure di spicco e icone assolute di preferenza globale.
Diciamo la verità, almeno la mia. È più "attraente" che il discendente di Pietro sia progressista, piuttosto che un affermato professore di teologia che, inoltre, partecipò al Concilio Vaticano II e successivamente prese parte attiva alle riviste Concilium e Communio, della quale fu tra i fondatori.
Quando il papa è "controverso", risulta comodo anche a categorie di atei o politicamente (s)corretti. E poi via, diciamolo francamente, un po' di pubblicità e un minuto di popolarità non la si nega a nessuno.
E non solo.
Penso che tutti conoscano la vicenda che vide protagonista Papa Benedetto XVI nel 2008. Doveva partecipare all'inaugurazione dell'Anno Accademico dell'Università "La Sapienza" di Roma, invitato dal Rettore. Doveva, perché una contestazione nata in seno allo stesso ateneo costrinse il Pontefice a declinare l'invito. Troppo grandi le polemiche, troppo alti i rischi sulla sicurezza.
Tutto nacque da una lettera di protesta scritta da un gruppo di docenti che esponeva al Rettore le proprie perplessità su tale visita.
Lì dichiararono di "non volere il Papa perché troppo reazionario" e chiesero che "quell'invito sconcertante venisse revocato". Al grido di "difendiamo la laicità della scienza", si costituì un fronte di protesta molto vasto, composto da professori e studenti. Più si avvicinava l'evento, fissato per giovedì 17 gennaio, più si alzavano i toni della polemica e si promettevano dure manifestazioni di protesta.
Un collettivo studentesco indicava il Sommo come "artefice di un forte arretramento culturale", che "afferma dogmi anacronistici", "attacca il libero pensiero scientifico e ci propone l'eterosessualità obbligata". Alla fine Benedetto XVI, decise di non recarsi all'inaugurazione, per la gioia dei contestatori.
Quel giorno la Città Universitaria era blindata: le forze di polizia impedivano l'accesso a tutti i non iscritti alla Sapienza, che non avevano diritto a presenziare all'evento. La gran parte dei contestatori rimase fuori dall'Aula Magna, luogo designato. Per contro, all'interno, risuonarono le parole del discorso preparato da Benedetto XVI e letto da altri. Significativo il passo: "Certo, la "Sapienza" era un tempo l'università del Papa, ma oggi è un'università laica con quell'autonomia che, in base al suo stesso concetto fondativo, ha fatto sempre parte della natura di università, la quale deve essere legata esclusivamente all'autorità della verità".
Tanti applausi, in una atmosfera irreale, tra posti vuoti per protesta e un gruppo di giovani cattolici imbavagliati per esprimere la propria solidarietà al Pontefice.
Fuori tafferugli con la polizia, manifestazioni con slogan del tipo "Frocessione Gay", papesse ed effusioni omosessuali.
I giorni successivi, paradossalmente, rafforzarono la figura di Ratzinger. Gli indici di popolarità furono, infatti, in netto rialzo, come pure le ore di presenza televisiva. Le parole del Papa arrivarono comunque alla pubblica opinione e proprio perché si cercò di zittirle, gli fu posta maggiore attenzione.
Venne accusato di essere il carnefice della libertà della scienza, diventò vittima della libertà di espressione. Una minoranza chiassosa, così definita da più parti, gli impose il silenzio. 
Ricordiamo che tutto nacque il 15 febbraio 1990, quando l'allora cardinale Ratzinger aveva già tenuto un discorso a La Sapienza. Le sue parole avevano sollevato forti polemiche nel mondo scientifico, in particolar modo per una citazione del filosofo della scienza Paul Feyerabend, che dava un positivo giudizio dell'operato della chiesa cattolica relativamente al processo a Galileo Galilei. Si disse anche che Ratzinger avrebbe interpretato male, e quindi usato a sproposito, il pensiero di Feyerabend, spiegando che l'affermazione citata sarebbe stata tratta da un discorso per assurdo del filosofo, che quindi sarebbe stato contro il processo a Galilei.
Ma i dubbi sulla correttezza dell'interpretazione di Ratzinger furono fugati dallo stesso Feyerabend, che nel 1990 commentò personalmente il discorso del cardinale in un'intervista al settimanale "Il Sabato", affermando che «La mia tesi è stata presentata correttamente. La Chiesa aveva ragione nell'affermare che gli scienziati non rappresentano l'autorità finale in materia scientifica. Sono in molti oggi a concordare su questo punto. Si è capito che gli scienziati sono competenti solo in campi ristretti, che spesso essi esulano dalle proprie competenze e, quando lo fanno, i loro giudizi entrano in contrasto».

Il Wall Steet Journal, autorevole giornale americano, scrisse: "Impedendogli di parlare hanno fatto ciò che la Chiesa fece con Galileo". Sul processo a Galileo, dopo che Giovanni Paolo II ebbe auspicato un "riconoscimento leale dei torti, da qualunque parte essi vengano", il 3 luglio 1991 venne aperta una commissione di studio, i cui risultati furono ricordati sempre da Papa Wojtyla in un discorso ai partecipanti alla sessione plenaria della Pontificia Accademia delle scienze.
Da questo evento, sorgono delle domande.
Che la laicità sia diventata sinonimo di ateismo? Sì, perché se si impedisce a una persona che ha un suo credo religioso, qualunque esso sia, di esprimere la propria opinione anche in ambiti civili, stiamo di fatto fondendo i due termini.
Laicità è proprio la distinzione tra l'ambito civile e religioso. Il nostro Stato, laico, ha fondamento del diritto nella Costituzione e non nel Vangelo. Ciò non vuol dire, però, che i cittadini cattolici, ebrei, musulmani, buddisti non abbiano diritto a sostenere, in ambito civile, princìpi che discendano dalla propria religione. 
In un sistema democratico, o presunto tale, poi, si confrontano le idee per le decisioni più appropriate.
In un sistema democratico, o presunto tale, soprattutto, è doveroso concedere a tutti la libertà di espressione. 
Ma questa viene a mancare se il Papa non può tenere un discorso all'Università per colpa di una minoranza. La stessa che accusava il Papa di essere conservatore e retrogrado, macchiandosi del medesimo capo di accusa, senza neanche accorgersene.
È strano, e di conseguenza sorprendente, come ci siano state "chiusure mentali" verso particolari papati che invece, da Paolo VI, allargavano orizzonti comunicativi su ideologia e dottrina.

Giovanni Paolo Il fece visita a innumerevoli diocesi nei posti più lontani da Roma, nello sforzo di incoraggiare la politica di evangelizzazione e diffusione del cattolicesimo; continuò il dialogo, già aperto da Giovanni XXIII e Paolo VI con altre religioni, compiendo gesti di grande apertura nei confronti di anglicani, ortodossi ed ebrei. Con una determinazione probabilmente maggiore di quella dei suoi predecessori, si impegnò pubblicamente nella critica netta e inappellabile nei confronti dei regimi comunisti, sia per i loro risvolti spirituali sia per il loro autoritarismo. Il suo impegno e la sua visibilità internazionale lo esposero a un attentato, subìto il 13 maggio del 1981, che lo menoma gravemente, ma non gli impedisce, negli anni seguenti, lo svolgimento di un'intensa attività pastorale. 
Non ha mai smesso di insistere su temi relativi alla difesa della famiglia come nucleo sociale destinata alla costruzione di una relazione armonica proiettata verso la riproduzione; né ha mai smesso di esprimersi contro le pratiche o le leggi che consentono di interferire con il processo di riproduzione naturale, dalla contraccezione all'aborto, alle tecniche di fecondazione artificiale. 
Anche Benedetto XVI indirizza il suo pontificato su una linea di integrale continuità con i suoi predecessori. In particolare per quanto riguarda il "compendio del catechismo della Chiesa cattolica", da lui approvato il 28 giugno del 2005, in cui ricorda che è intrinsecamente immorale ogni azione come la sterilizzazione diretta o la contraccezione che, o in previsione dell'atto coniugale o nel compimento o nello sviluppo delle sue conseguenze naturali, si proponga come scopo o come mezzo, di impedire la procreazione.
D'accordo o meno, giusto o no, si è comunque sempre cercato, da parte di alcuni "settori", di non fare esporre o, in subordine, di non udire ma usare il pensiero per rigirarlo a sommo studio.

Dario Luigi Angelo Fo è stato un drammaturgo, attore, regista teatrale e destinatario del Nobel 1997 "Premio in Letteratura". Nella rappresentazione teatrale del "Mistero Buffo" emerge la critica verso la chiesa. 
In una delle scene cruciali, si vede Papa Bonifacio VIII scorgere un corteo capitanato da Gesù che porta la propria croce; a questo punto il pontefice decide di parlare con lui solo come occasione per legittimare il proprio potere davanti a tutti i fedeli. Il Papa inizialmente sembra anche in difficoltà, a mala pena riesce a riconoscere il tanto venerato figlio di Dio a causa delle sue pessime condizioni, e questo non fa altro che evidenziare la considerazione critica di Dario Fo nei confronti della chiesa.
Quest'ultima appare, infatti, ai suoi occhi come estremamente corrotta ed ipocrita, lontana da quelli che erano stati i valori promulgati da Gesù stesso, al punto che neanche il Pontefice riesce a riconoscerlo e metaforicamente questo rappresenta il progressivo allontanamento della chiesa dalle sue origini.
La curia infatti non è più dedita ai valori cristiani, bensì appare come traviata e in cerca di piaceri terreni, soldi e potere. L'immagine più evidente della decadenza è rappresentata in questo caso dall'opposizione di Bonifacio VIII a tutti i rappresentanti del pauperismo (movimento che predicava il ritorno della chiesa alla povertà delle origini), che viene ricordata nel prologo. In questo panorama, ovviamente per chiesa e pontefice, l'apparenza conta di più e quindi risulta necessario mostrarsi insieme a Gesù per legittimare la propria figura e la propria presenza; una sorta di meccanismo propagandistico appartenente al mondo della politica, ma che dovrebbe essere lontano da quello ecclesiastico. In questo emerge una grottesca rappresentazione del potere incatenato a una precisa azione, ovvero quando Bonifacio VIII arriva al punto di negare la figura di Cristo e gli augura anche di morire in croce. 
Secondo l'autore, l'unica speranza rimane nel popolo, che deve essere in grado di recepire il messaggio vero che la chiesa meschinamente nasconde; nella sua opera presenta la figura del giullare come colui in grado di ricordare tutte le ingiustizie sociali e i trucchi ingannevoli dei potenti.

C'è sempre stata una linea sottile che ha diviso il bene e il male, il vero e il falso, il pollice in su oppure verso, sempre montata e architettata da chi, in periodi diversi, ha avuto l'esigenza, il bisogno, di scagliare il sasso della propria mestizia giudicante.
Pio XII salì al trono pontificio il 2 marzo 1939, quando la Seconda Guerra Mondiale era scoppiata da due mesi. Finita, si cominciò a parlare della responsabilità del Vaticano nei confronti delle dittature naziste, fasciste e franchiste e soprattutto del fatto che di fronte allo sterminio degli Ebrei, il Papa avesse reagito con il silenzio. La polemica sorse soprattutto durante gli anni '60: alcuni ritenevano che il silenzio di Pio XII costituisse una grave forma di responsabilità politica e morale, mentre altri sostenevano che il silenzio era uno strumento assai idoneo per proteggere il soccorso che concretamente la chiesa prestava ai perseguitati dai regimi dittatoriali. Infatti, Pio XII istituì una rete di assistenza e cura delle popolazioni colpite dalla guerra, di cui beneficiarono anche i cattolici. Furono visibili anche le iniziative prese dal Pontefice per difendere Roma dai bombardamenti. La popolazione, dopo la liberazione, gli attribuì il titolo di "defensor civitatis".
Contemporaneamente, infuriò la polemica a proposito della condotta tenuta da Papa Pacelli in occasione della deportazione degli ebrei del ghetto di Roma. Durante la guerra, numerosi furono i messaggi radiofonici del Santo Padre che delineavano gli aspetti della società post-bellica incentrata sulla civiltà cristiana, su di un nuovo ordine morale e sociale di cui la chiesa avrebbe dovuto costituire il baluardo difensivo.

«Dove era Dio in quei giorni? Perché Egli ha taciuto?
Come poté tollerare questo eccesso di distruzione, questo trionfo del male?
Questo grido d'angoscia che l'Israele sofferente eleva a Dio in periodi di estrema angustia, è al contempo il grido d'aiuto di tutti coloro che nel corso della storia - ieri, oggi e domani - soffrono per amor di Dio, per amor della verità e del bene; e ce ne sono molti, anche oggi. Noi non possiamo scrutare il segreto di Dio, vediamo soltanto frammenti e ci sbagliamo se vogliamo farci giudici di Dio e della storia. Non difenderemmo, in tal caso, l'uomo...».

Ecco il passaggio fondamentale del discorso centrale dell'omelia di Giovanni Paolo II, che fece davanti alla scritta "Arbeit macht frei", ad Auschwitz.
Le parole, così come le idee, se così possono essere chiamate, da parte di alcuni su presunte tesi del Vaticano vennero, inesorabilmente, portate via dal venticello.
Come accade per le calunnie...

"Magnifico Rettore, 
Autorità politiche e civili,
Illustri docenti e personale tecnico amministrativo, 
cari giovani studenti!
È per me motivo di profonda gioia incontrare la comunità della "Sapienza Università di Roma" in occasione della inaugurazione dell'anno accademico. Mi è caro, in questa circostanza, esprimere la mia gratitudine per l'invito che mi è stato rivolto a venire nella vostra università per tenervi una lezione". 

Iniziava così il discorso che Benedetto XVI avrebbe dovuto pronunciare, come ricordato, giovedì 17 gennaio 2008, durante la sua visita all'Università "La Sapienza" di Roma, in occasione dell'inaugurazione dell'anno accademico. 
Visita poi annullata.
Il passaggio successivo sarebbe stato questo: "In questa prospettiva mi sono posto innanzitutto la domanda: che cosa può e deve dire un Papa in un'occasione come questa?".
Niente. Un'ingiustizia commessa in un solo luogo è una minaccia per la giustizia in ogni luogo! 
RIP.