Le notizie della serata di ieri mi avevano incuriosito alquanto. Il partito più numeroso presente in Parlamento aveva subito una scissione in diretta tv, poco prima che il mio abituale sigaro serale si accompagnasse a un rhum con ghiaccio. Alla fine, carpito dalle immagini televisive e dai commenti di osservatori più o meno acuti, avevo deciso di evitare, per una sera, la routine sfumacchiante.

Errore. Gravissimo, imperdonabile errore. Perché poche cose meritano che io salti la mia fumata serale, e tra queste non v'è la politica politicante andata in onda ieri sera. Inoltre, stamattina mi sono svegliato con una voglia di sigaro incommensurabile.
Avendo un turno di lavoro pomeridiano, ho sbrigato le faccende familiari mattutine e poi mi sono recato al Bar La Nave, dove spesso mi concedo un caffè, un cornetto e un momento di relax. Prima sono passato in edicola, ho comprato un quotidiano e mi sono ripromesso di leggerlo sfumacchiando il sigaro post-colazione.
Dopo aver ordinato ed essermi seduto al tavolino, ho cominciato a spulciare la prima pagina del giornale. I titoli principali erano ovviamente dedicati alle vicende politiche di ieri sera, ma in fondo alla pagina, in un riquadro angusto, i miei occhi incrociavano il volto sorridente e riccioluto di Isso, 'O Bambiniello, El Pibe de Oro: Maradona.
Il titolo è fin troppo esplicito: "Il gol del Secolo compie 36 anni". A caratteri infinitesimali, poi, viene indicato che l'articolo continua nelle ultime pagine del quotidiano. Arriva il caffè, lo sorseggio, mi accendo il sigaro e provo a risolvere l'amletico dubbio: Di Maio o Maradona? La velocità della luce è incommensurabilmente più lenta di quanto il mio pensiero ci abbia messo a risolvere l'arcano.
Mi fiondo alla pagina indicata e comincio a leggere l'articolo, stringendo il Toscanello Rosso Raffinato tra le labbra. Smetto quasi subito di leggere, però. Ed è tutto merito del giornalista, autore del pezzo. La sua prosa mi riporta immediatamente indietro di trentasei anni. 

Non ho bisogno di vedermi. I miei sei anni li sento ancora addosso.
Bambino che comincia ad appassionarsi alle faccende pallonare, innamorato come tutti i tifosi del Napoli di quel funambolo argentino nato a Lanus il 30 ottobre del '60.  Sono un bambino alle sette di sera di una calda serata di giugno. Ho giocato fino a pochi minuti prima, mia madre dal balcone mi ha intimato di salire a lavarmi e a cenare, dopo che per una dozzina di volte si era sentita rispondere: "Due minuti e vengo!".
Salgo a casa, il SuperSantos sotto braccio e la faccia piena di strisce nere. Le mani, meglio non guardarle: luride come i panni di Bud Spencer in Trinità. Saluto mio padre, seduto in cucina con gli occhi rivolti alla televisione. Il mio vecchio mi saluta a stento, tutto preso dalla visione della tivvù. Mi affaccio, vedo che sta guardando una partita. "Chi sta giocando?", domando. "Maradona", mi viene risposto. E pensare che mio padre è juventino...
Mi fiondo sotto la doccia e mi lavo rapidamente, attento però a togliermi di dosso il lerciume che, tra una scivolata, una rovesciata e un golazo, ha invaso la mia pelle in ogni anfratto. Mi asciugo poco, visto il gran caldo e la volontà di raggiungere mio padre davanti al televisore. Entro in cucina che il primo tempo volge al termine. Il tempo di azzannare l'hamburger e l'arbitro fischia due volte.

Il sigaro è a metà. Mi accorgo di aver iniziato a fumare senza aver nemmeno sfiorato il cornetto. Appoggio il Toscanello sul posacenere, mordicchio la mia colazione e ne apprezzo la crema, sontuosa come sempre. Ancora un paio di morsi e poi riprendo: il sigaro tra le labbra e il filo dei ricordi.

Inizia il secondo tempo quando il mio hamburger è finito. "Mammà, ce ne sta un altro?", chiedo con una mano sulla pancia, "tengo ancora fame!". Mammà risponde, come sempre in quei casi: "Prima finisci l'insalata, se te la mangi tutta magari ci esce il bis". Perché a casa mia il bis "esce". Ho sempre adorato quella espressione.
Ci metto cinque minuti a finire l'insalata. Mostro il piatto vuoto a mia madre proprio mentre Maradona si accentra e serve Valdano, che però controlla male. Hodges, difensore inglese in marcatura sul riccioluto attaccante argentino, prova a spazzare via il pallone, ma calcia male e la sfera si impenna, diretta verso l'area di rigore presidiata da Shilton"Ecco l'altro hamburger", dice mia madre, ma i miei occhi sono solo per Maradona. Ha seguito l'azione e, come se sapesse che la palla sarebbe finita proprio lì, è entrato in area di rigore. Tra lui e Shilton ci saranno una trentina di centimetri di differenza, eppure Diego salta. Anzi no, vola. Inarca la schiena e schiaffeggia di testa la palla. Shilton è battuto, è gol!
"Gooooool!", urliamo all'unisiono mio padre e io, facendo sobbalzare mammà che puntualmente reagisce offendendoci, perché solo due cretini urlerebbero così per ventidue miliardari in mutande.
Io ho le mani tra i capelli, mio padre è in piedi e fissa la televisione. Maradona mostra il pugno ai tifosi inglesi sugli spalti, mentre Shilton e altri giocatori d'Albione protestano vibrantemente con l'arbitro. "Ma che vogliono questi qua! Shilton, ti ha mandato a farfalle Maradona!", urla mio padre, che sarà pure juventino... ma va sempre al San Paolo a vedere le prodezze di Dieguito e che per gli inglesi... diciamo così... non prova grande simpatia.
Una specie di replay ci mostra nuovamente l'azione. Non ci vedo niente di strano. Non è fuorigioco, non c'è contatto con Shilton, il quale tra l'altro non è mai in possesso del pallone, quindi... "Mano!". Guardo mio padre, un sorriso gli illumina il volto. "Ha segnato con la mano. Chillu figlio 'e bona mamma, hai capito come li ha fregati?". Non mi ha convinto. Rimango dell'idea che Maradona abbia segnato di testa, con un balzo felino abbia raggiunto e superato i guantoni di Shilton.
I successivi minuti la partita si incattivisce leggermente. Gli inglesi entrano un po' più duro, ma gli argentini non sono tipi da farsi intimorire. Un fallo meriterebbe un giallo, a mio avviso. "Ammonizione, no?", domando a mio padre. "Con la mano. Non ci posso credere", è la sua risposta. Capisco che è perso nei suoi pensieri, quindi mi concentro sulla partita. Il pallone è tra i piedi ruvidi di Hector Enrique. Maradona è lì, pochi metri davanti a lui. Enrique lo serve, male. Diego non si scompone, addomestica il pallone, si gira su se stesso e comincia a correre.

"Bella vita, eh?", mi dice qualcuno. Alzo lo sguardo e riconosco Giuseppe, il papà di una compagna di classe di mio figlio. Lo saluto e gli chiedo se posso offrirgli qualcosa. "Ti ringrazio, come se avessi accettato. Compro le sigarette e scappo. Ti lascio alla lettura del giornale!", mi dice prima di scomparire dal mio raggio visivo. Già, la lettura del giornale. Come se lo stessi leggendo. A proposito, dove ero arrivato? Ah sì, Maradona sta correndo.

Corre, mammamia quanto corre. Gli si pone di fronte Hoddle, saltato. Arriva Reid, dribblato. Ci prova Sansom, tutto inutile. La linea dell'area di rigore si avvicina sempre di più. Tocca a Butcher e Fenwick provare a fermare Maradona: col deretano in terra, entrambi. Tra Diego e l'Immortalità c'è solo un uomo, Peter Shilton. Diego potrebbe spiazzarlo, calciando sul secondo palo. Oppure potrebbe scavalcarlo con un morbido pallonetto. 
Invece no. Bisogna mettere a sedere anche lui. Basta una finta di spalla, una diversa inclinazione del busto: Shilton si stende sull'erba come un bambino che è scivolato su una pozzanghera. Diego lo salta praticamente senza fatica, evita il ritorno del difensore e di punta manda il pallone a gonfiare la rete.
Non esulto. Non subito, almeno. Ci metto un po', come se non fossi certo di quanto avevo appena visto.
Sono le urla del vicinato che mi confermano tutto: Maradona aveva fatto un gol s-t-r-a-t-o-s-f-e-r-i-c-o.
Hugo Morales, telecronista uruguagio di quella partita, sarebbe passato alla storia perché, dopo quella incredibile giocata del Barrilete Cosmico, si sarebbe messo a piangere. Urlando al microfono le famose parole: "Gracias Dios, por el fútbol, por Maradona, por estas lágrimas!".
Io, però, non potevo saperlo. La mia telecronaca era in italiano. Sentivo le voci dai palazzi vicini, le urla di incredulità dei tanti napoletani che avevano appena assistito a un evento leggendario. La Storia avrebbe chiamato quella rete "Gol del Secolo".
Era il 22 giugno del 1986.

Anche oggi è il 22 giugno, ma sono passati trentasei anni.
Adesso ho i capelli e la barba pieni di fili bianchi. Ho un sigaro quasi finito tra le dita. E ho ancora davanti agli occhi la faccia di mio padre. "Papà, hai visto che gol! Se li è scartati tutti! Incredibile!".
E lui, con gli occhi fissi sul televisore, riuscì a dirmi solo una cosa: "Con la mano. Glielo ha fatto con la mano. Nun ce posso penzà...".