Chi non ama il Napoli non può che provare un sottile piacere nel vedere quanto sia spaccata la tifoseria azzurra. Una polarizzazione estrema ed estremista, tra i sostenitori “a prescindere” del Presidente De Laurentiis e i tanti che invece invitano lo stesso a prendere l’autostrada A16 e a raggiungere le Puglie. Magari per rimanerci, visto che il figlio di Aurelio, Luigi, è il presidente del Bari, neopromosso in Serie B.
Una spaccatura che è riscontrabile ovunque: sui social, nelle trasmissioni televisive, sulla carta stampata. E persino a Dimaro, dove Spalletti e i suoi ragazzi stanno svolgendo il ritiro estivo. Hanno fatto il giro dell’etere le immagini dei tifosi con la t-shirt “A16” o la foto del cartello autostradale attaccata alla macchina di Edoardo De Laurentiis, figlio del patron e vicepresidente azzurro.

Sono immagini goliardiche? Certamente sì. La goliardia, la birichinata, rappresenta uno degli ingredienti principali di chi ama le faccende pallonare. Il calcio è la cosa più seria al mondo… che merita di essere presa con leggerezza.
Sono immagini belle? Certamente no. Perché denotano la distanza siderale che intercorre tra una buona fetta della tifoseria partenopea e la guida societaria. Una distanza che rischia di rendere ancor più difficile una stagione che già di suo semplice non sarà: “Difficilissimo confermare quello che abbiamo fatto l’anno scorso”, ha chiosato Spalletti in conferenza stampa, tra una domanda di tattica e una sul calciomercato.
Se il calcio italiano è storicamente dominato dalle squadre del nord, sarebbe necessario che le squadre del centrosud riescano a fare dell’unione tra piazza e squadra, tra tifoseria e società, il fulcro della loro volontà di sovvertire gerarchie economico-sportive che ormai hanno incancrenito il calcio tricolore.
Invece no: Roma – tanto giallorossa, quanto biancoceleste – e Napoli hanno vissuto negli ultimi anni uno scollamento costante e pericoloso tra le varie anime dell’ambiente, finendo alla fine per ottenere poco o nulla sia in termini di vittorie, sia in termini di prospettive.
Con grande sollievo degli squadroni del nord, che continuano ad auspicare queste spaccature così da poter continuare ad alternarsi ai vertici del calcio italiano.
Dopo i nove anni di dominio bianconero, sarebbe stato lecito aspettarsi che finalmente NapoliRoma o Lazio (o, perché no, la Fiorentina) potessero aprire cicli vincenti. Invece niente: detronizzata la Juve, lo scettro è andato prima all’Inter e poi al Milan, perpetuando una tradizione del nostro calcio che ormai ha impoverito tutto il movimento.

Napoli oggi appare, da un lato, l’avanguardia più strutturata per lanciare la sfida alle tre regine lombardo-piemontesi del calcio italiano; dall’altro, però, sembra anche la realtà più spaccata, più disunita e, quindi, più debole dal punto di vista politico-culturale, oltre che sportivo, per tentare quella “Presa del Palazzo” sfiorata solo ai tempi di Sarri.
De Laurentiis ha le sue colpe? Ovviamente sì. E’ impensabile che se l’amore con cui fu accolto a Napoli 18 anni fa si è trasformato in ostracismo così diffuso e sempre crescente, non vi siano responsabilità del patron azzurro. Va da sé che De Laurentiis non possa essere considerato l’unico responsabile di questa situazione.
Troppo facile individuare l’unico colpevole: tolto lui, si tornerebbe a riveder le stelle. Non è così, purtroppo.
La storia, recente e passata, del calcio centromeridionale dimostra che la soluzione più semplice quasi mai è la più giusta.