La palla a spicchi italiana ha emesso il verdetto più atteso. Il tricolore verrà cucito sulle canottiere delle V nere di Bologna, a vent’anni di distanza dall’ultimo scudetto. Quando si ottiene un risultato di questo livello, tutti hanno una fetta considerevole di merito: dal Presidente all’ultimo dei magazzinieri, ognuno ha il sacrosanto diritto di fregiarsi dell’agognato titolo di Campione d’Italia.

Noi, però, vogliamo tentare di mettere in evidenza i principali protagonisti di questa incredibile e meritata vittoria. Non possiamo che cominciare da Giampaolo “Pippo” Ricci, il capitano. Una gavetta lunghissima, dalla C2 allo Scudetto e alla Nazionale Italiana, Ricci è la dimostrazione che la volontà, lo spirito di sacrificio, l’abnegazione possono consentire a ciascuno di raggiungere vette difficilmente pronosticabili. Nell’intervista post partita, mentre i supporters virtussini intonavano un delizioso “C’è solo un capitano!”, Ricci ha dedicato la vittoria a quel ragazzo un po’ grassottello che a 16 anni lasciava Chieti per arrivare a Roma con un sogno gigante nel cuore. Quel sogno che ieri sera, sul parquet della Segafredo Arena di Bologna, è diventato realtà.

E’ questo lo scudetto di Teodosic, il Mago, l’uomo capace di tirare fuori dal cilindro l’assist impensabile, la giocata folle, il tiro mortifero che piega le ginocchia all’avversario. Non è un caso, quindi, che Teodosic sia stato premiato come MVP delle Finals.

E’ lo scudetto di Markovic, il playmaker, il regista, l’uomo che detta i tempi, che chiama gli schemi, dall’alto dei suoi 199 centimetri. Giunto a Bologna due anni fa insieme al connazionale Teodosic, è stato certamente uno dei leader tecnici della compagine bolognese.

E’ lo scudetto di Belinelli, tornato “sulla Terra” dopo le stagioni nell’iperuranio NBA. Una leggenda dice che il Beli abbia ottime percentuali da tre quando tira coi piedi per terra… ma che sappia diventare letale quando tira fuori equilibrio, dopo una spinta, con l’avversario nei pantaloncini, col vento contrario, con un dito nell’occhio. Lui, Markovic e Teodosic, dopo gara 3 contro Brindisi, sono stati visti in un bar di Bologna a prendere un caffè. Hanno ripetuto il rituale dopo ogni vittoria. “Il patto del caffè”, così è stato soprannominato l’evento.

E’ lo scudetto di Pajola. 20 anni, esattamente quanti sono passati dall’ultimo scudetto della Virtus. Quando le V nere vincevano l’ultimo tricolore, Pajola era nato da sette mesi e non camminava ancora. In questa stagione – e in queste finals – è stato capace di giocate memorabili.

E’ lo scudetto di Kyle Weems, americano di Topeka, Kansas. Ala piccola di 100 chilogrammi distribuiti in quasi due metri di altezza. Uomo capace di realizzare, in gara 3, ben 5 triple, 23 punti, 10 rimbalzi e 26 di valutazione! Ieri sera, giusto per non farsi mancare nulla, ne ha messi a referto 14, secondo miglior realizzatore dopo Belinelli (15).

Infine, questo è lo scudetto di Sasha Djordjevic, incantevole ex giocatore – un playmaker come ne nascono pochi in un secolo! – capace di vincere il primo scudetto da allenatore proprio contro l’Olimpia Milano, squadra con cui esordì nel campionato italiano e sulla cui panchina ha iniziato la carriera da coach. Esonerato “per una notte” a dicembre, sembrava inimmaginabile che, sei mesi dopo, potesse raggiungere un traguardo tanto ambito quanto difficile.