La telefonata giunge improvvisa, mentre sto per redigere l'ultimo pronostico sulla Coppa Italia. 
"Lunedì hai da fare?", è la voce del mio capo a pormi la domanda. Guardo il file dei turno: lavoro. "Non più. Lunedì vieni con me, andiamo a Bologna a vedere il Napoli! Abbiamo i biglietti!".
E lunedì arriva, soleggiato e fresco. Appuntamento alle dodici, ché prima non si può, ci sono un po' di cose da smazzare. Mail da mandare, telefonate da fare, impegni da mettere in fila. Alla fine tutto è avviato, non resta che da avviare l'ultima cosa: il motore dell'auto. Partiamo coi biglietti stampati, le mascherine ffp2 in tasca, il greenpass salvato in ogni dispositivo possibile. Il navigatore ci dà la prima buona notizia della giornata: non c'è traffico, nessun incidente, strada relativamente libera. La seconda buona notizia arriva dai social: Zielinski è alla stazione di Afragola, in attesa di prendere il treno per Bologna. "Piotr ci sarà", dico al mio compagno di fede calcistica, impegnato alla guida dell'auto aziendale. "Uno a zero per noi", è il suo commento.

Il programma della giornata prevede una sosta tattica verso le 14, per riempirci lo stomaco con qualche prelibatezza toscana. Poco prima dell'ora prestabilita vediamo che l'uscita più vicina è Chianciano Terme. Cerco sullo smartphone una trattoria, una osteria, un ristorantino accattivante. Lo trovo: Il Calimero. Chiamo e prenoto un tavolo per due persone. Una ventina di minuti dopo apriamo la porta del Calimero e la signora ci indica il nostro tavolo, portandoci i menù. "Pici" è l'unica parola che immediatamente cattura la nostra attenzione. Decidiamo di dividerci due primi: pici all'aglione e pici al ragù bianco di chianina. "E un antipasto, come lo vedi?", domando senza il timore che possa arrivare una risposta negativa. Optiamo per un tagliere di formaggi e salumi toscani. Il tutto accompagnato da un mezzo litro di rosso. 
In poco tempo arriva tutto: ci fiondiamo sull'antipasto con la fame di chi non mangia da giorni, poi ci spariamo i due pici senza ritegno ed entrambi concordiamo sul fatto che quelli all'aglione siano di altissimo livello. "Passiamo al dolce?", mi domanda il capo. Avanzo una controproposta: "Prima facciamoci un secondo". E secondo sia: scaloppina con patate. Neanche il tempo di leggere le ultime news da Bologna e le indiscrezioni che vorrebbero uno tra Petagna e Osimhen a guidare l'attacco partenopeo, che la scaloppina è già andata a far compagnia ai pici. E il vino è finito. Peccato. Giunge il momento dei dolci: per me tiramisù, per lui semifreddo ai frutti di bosco. Divorati senza pietà. Chiediamo un caffè e il conto, tappa strategica alle toilettes, e via.
All'uscita del ristorante guardiamo l'orologio: la pausa pranzo, che doveva avere una lunghezza di una trentina di minuti al massimo, è invece durata il triplo. Ci rendiamo conto che stiamo stretti coi tempi: arriveremo a Bologna poco prima delle diciotto, se tutto va bene. A passo svelto raggiungiamo la nostra auto e notiamo, a una decina di metri, un tizio con cappello e felpa del Napoli che parla al telefono con un curioso slang tosco-partenopeo.  Riflettendo sul fatto che noi napoletani siamo come i cinesi, ovunque presenti sul globo terracqueo, risaliamo in macchina e riprendiamo la strada per Bologna.
Siamo fortunati: nonostante i lavori autostradali e i camion in fila indiana, non becchiamo un traffico eccessivo e raggiungiamo Bologna quando manca una mezz'ora all'inizio del match. Passiamo di fianco al Dall'Ara, lo storico impianto bolognese, i cui riflettori accesi istantaneamente producono nei nostri corpi un aumento dell'adrenalina. I tifosi che camminano a passo svelto verso lo stadio, con le sciarpette rossoblù al collo, ci stimolano a cercare quanto prima un parcheggio. Siamo fortunati: troviamo un posto a cinquecento metri dallo stadio. Chiudiamo l'auto e accelleriamo il passo, ché lo stadio è vicino, ma noi dobbiamo praticamente circumnavigarlo per raggiungere il nostro settore: Poltrone Platino Centrali.

Arriviamo al Dall'Ara. Mostriamo i greenpass e i biglietti, superiamo i tornelli e siamo dentro. Finalmente!
Una enorme scritta WE ARE ONE - BOLOGNA FC è la prima cosa che vediamo. A breve distanza c'è lo store ufficiale della compagine emiliana, che espone e vende tutto il merchandising del club. "Anche De Laurentiis dovrebbe fare una cosa del genere al Maradona!", è il pensiero che attraversa la mia mente a quella visione. Troviamo il nostro settore: è in cima a una lunga scalinata. La assaltiamo come i bersaglieri a Porta Pia, ma dopo una decina di gradini il mio corpo mi invita a rallentare. Partito bersagliere a passo svelto, giungo senza fiato e senza tromba. La piuma sarà cascata vicino all'ingresso della Tribuna Bernardini...
Fatto l'ultimo gradino, giriamo a destra. Il verde smeraldo del manto erboso ci invade occhi e anima. Le squadre sono in campo, ad ultimare il riscaldamento prepartita. Una signorina molto gentile ci indica fila e posti a noi assegnati. Li raggiungiamo e subito cominciamo a scattare fotografie: dello stadio, dei calciatori, dei tifosi. Passano pochi minuti e un signore distinto, sulla sessantina, si siede nella poltroncina di fianco alla mia. Nonostante la mascherina, mi sembra di riconoscere quel volto, ma non riesco ad associare un nome a quegli occhi. Scavo nella mia balbettante memoria, ma non c'è niente da fare. Ci pensa il mio compagno di trasferta a dirimere il dubbio, a bassa voce: "Ehi, ma quello seduto vicino a te... non è Franco Colomba?". Eureka!, avrebbe detto Archimede. E' proprio lui, mister Franco Colomba, allenatore della Reggina, del Bologna... e anche del mio Napoli, una ventina d'anni fa. Non voglio essere invadente, quindi non gli chiedo un autografo o una fotografia. Sarà venuto allo stadio a vedersi in santa pace una partita, non vorrà essere disturbato.
Le squadre rientrano negli spogliatoi quando manca una decina di minuti al fischio d'inizio. Controllo su twitter e trovo subito le formazioni ufficiali: né Petagna, né Osimhen, in attacco c'è Mertens, supportato da Elmas, Zielinski e Lozano. Regia affidata a Fabian Ruiz e a Lobotka. Difesa a quattro, composta da Di Lorenzo, Rrahmani, Jesus e Mario Rui. In porta, Meret. Chiedo un commento al mio capo. "Due a zero per noi" è la lapidaria risposta. I dieci minuti trascorrono rapidi e le squadre fanno il loro ingresso in campo. Siamo in cinquemila sugli spalti e, tra gli applausi e il vociare, riconosco parecchi intercalari partenopei. Anche a poche decine di metri da me. Siamo tanti, penso. In incognito o quasi, mischiati ai bolognesi, ma siamo tanti. Le squadre si dispongono di fronte a noi. Il fischio del signor Marinelli invita i calciatori a salutarci. Scambio di gagliardetti, sorteggio per palla o campo, fotografie di rito e poi si parte.

Il Napoli prende subito in mano il pallino del gioco. Lo lascerà quasi due ore dopo, al triplice fischio dell'arbitro. Le piroette di Lobotka e gli arabesque di Fabian Ruiz danno al fraseggio del Napoli il sapore di un balletto dell'Opera. Se Roberto Bolle chiudesse il triangolo, nessuno si stupirebbe.
Zielinski scompare dai radar bolognesi per comparire alle spalle della linea mediana, in quella terra di nessuno in cui un difensore non sa se accorciare o scappare via. Nell'esitazione si compie la perfezione o il dramma, è sempre così. Zielinski fa male, smista il gioco offensivo con gradevole facilità, servendo Elmas e soprattutto Lozano. Il messicano è ispirato, si vede. Ha voglia di fare e di strafare. Fabian gli serve un cioccolatino al quinto minuto, ma El Chucky non riesce a scartarlo: parata di Skorupski, palla in angolo.
Lo spartito del match è sontuoso, ma a suonare sono soltanto i ragazzi i maestri in smoking azzurro. I bolognesi, che hanno sul groppone parecchie defezioni, provano ad arginare gli attacchi partenopei, ma il gol è nell'aria. E infatti arriva, al ventesimo minuto: discesa sulla sinistra di Elmas, cross rasoterra verso il dischetto del rigore, Mertens lascia scorrere e Lozano, di prima intenzione, insacca alla destra di Skorupski.
Un boato, clamoroso nonché inaspettato. Il prefisso telefonico del Dall'Ara diventa all'istante 081, Napoli e provincia. Ad esclusione della curva bolognese, in tutti gli altri settori ci sono tifosi partenopei in piedi, che esultano, si abbracciano, si danno il cinque.  "Gran bella azione, non trova?", domanda la voce alla mia destra. Mister Colomba ha lo sguardo felice di chi ha visto uno sprazzo di bel calcio. "Assolutamente, mister. Grande giocata!".
Il gol del messicano non cambia la chiave del match: si rimane con quella di violino, con qualche diesis e senza bemolle. La voce di Mihajlovic invade il campo e tenta di spronare i ragazzi in maglia rossoblù, ma non c'è niente da fare. Il Napoli è in controllo totale, gestisce ritmi ed energie, dà la sensazione di poter far male in qualsiasi momento. Manca un minuto all'intervallo quando il sinistro di Fabian Ruiz accarezza il pallone, prima di colpirlo con forza e precisione. Il tiro a giro mancino del toreador spagnolo si stampa sul palo alla destra di Skorupski. Quando l'arbitro manda le squadre negli spogliatoi, il montante sta ancora tremando.
L'intervallo è dedicato ai commenti, ai tweet, ai messaggi. Mister Colomba scende nei meandri del Dall'Ara e mi vien voglia di fumare un bel toscanello. Nemmeno il tempo di togliermi la mascherina e di stringere tra le labbra il sigaro che uno steward mi si avvicina: "Guardi che non si può fumare". Cavolo, penso, ha ragione! Domando scusa e ripongo il toscanello nel pacchetto, mi convinco ad attendere la fine del match e magari a festeggiare la vittoria con una fumata.

Le squadre tornano in campo e ricominciano a giocare, ma mister Colomba ancora non è al suo posto. La gara segue esattamente il medesimo andazzo della prima frazione: partenopei in controllo, emiliani spettatori non paganti e, soprattutto, sudanti. Passano due minuti, non di più. Spalletti deve avere un joystick nascosto da qualche parte, perché l'azione del Napoli è degna della Playstation: palla avanti, scarico dietro, imbucata sulla fascia, cross al centro, finta per far sedere il portiere, gol a porta vuota. Tutto di prima, tutto a velocità supersonica.
Il Dall'Ara riesplode, stavolta in maniera più fragorosa. Adesso sono tutti in piedi ad applaudire: napoletani e bolognesi. I secondi, pur imprecando nel loro delizioso dialetto, non possono che sottolineare la splendida azione partenopea. Mi giro alla mia destra e vedo mister Colomba che sta ruotando in aria la mano destra. Deve essere tornato a posto proprio mentre il Napoli stava segnando. "Mister, è riuscito a vedere il gol?", gli domando. "Assolutamente. Questo è spettacolo!", mi risponde, entusiasta.
Ci rimettiamo seduti e, da quel momento in poi, mister Colomba passerà il secondo tempo a farmi notare, di tanto in tanto, intuizioni ed errori dei ventidue in campo. Mi rendo conto di essere seduto vicino a un uomo che il calcio non solo lo conosce, ma lo annusa, lo mastica, lo respira. 
Mancano venti minuti alla fine del match quando Spalletti fa togliere la tuta a Osimhen. Lo stadio rumoreggia: la parte napoletana, per incitare il nigeriano; quella emiliana, per il timore di prendere il terzo gol. Victor entra in campo con Politano, a far loro posto sono Mertens e Lozano, l'hombre del partido. Il Napoli arretra un po' il baricentro, anche per aumentare lo spazio a disposizione di Osimhen, che può attaccare la profondità e cercare di realizzare una rete. Quasi ci riesce, dopo una bella azione e un paio di dribbling, ma il nigeriano calcia malamente a lato e la chance si perde.
Fabian Ruiz, intanto, continua a deliziare occhi e palati. Sul piede mancino non ha una scarpetta, ma un pennello: dipinge traiettorie, alterna Rinascimento ed Espressionimo, Caravaggio e Pollock. Meriterebbe il gol, ma Spalletti lo richiama in panchina insieme a Zielinski e a Elmas. La fascia di capitano, quindi, finisce sul braccio di Mario Rui, cosa che diverte non poco i tifosi partenopei sugli spalti e a casa: Marittiello è croce e delizia, non puoi odiarlo e non puoi non farlo, perché è capace di tutto, altari e polvere.
Quando il quarto uomo alza la lavagna luminosa e indica il recupero, mister Colomba si alza dalla sua poltroncina. "Io vado, è stato un piacere", mi dice. "Piacere mio, mister. Buona serata". Se potessimo stringerci la mano, lo faremmo. Purtroppo non è possibile in quest'epoca.

Il triplice fischio sancisce la netta vittoria del Napoli. Il Bologna ha sfiorato il gol della bandiera con una punizione respinta dal palo alla sinistra di Meret, ma il match non è mai stato in discussione. Lasciamo defluire la gente dagli spalti prima di prendere anche noi la via dell'uscita. Gradino dopo gradino, siamo a metà della scalinata.
"Aspetta un attimo, devo fare una cosa", dico al mio compagno di viaggio. Risalgo i gradini e ritorno nel mio settore, sedendomi nuovamente sulla mia poltroncina. Non c'è più nessuno, nemmeno uno steward. Sono solo. Infilo la mano in tasca, tiro fuori il pacchetto di toscanelli e ne inforco uno tra le labbra. Lo accendo, aspiro e lascio andare una boccata. Il fumo si staglia lento nell'umidità bolognese, con la torre del Dall'Ara sullo sfondo.
Arriva una notifica sul cellulare. La leggo. Non ci credo: lo Spezia ha vinto a San Siro contro il Milan.
Delle prima quattro in classifica, siamo gli unici ad aver vinto in questo turno. 
Sorrido. Uno steward mi indica da lontano.
Tiro un'altra boccata di toscanello. La più dolce di tutte.