Un anno. E’ passato esattamente un anno da quando Diego Armando Maradona lasciava questo mondo. Il più grande calciatore di tutti i tempi chiudeva gli occhi per sempre, in circostanze ancora da chiarire che gettano un’inquietante ombra sui medici e sul cosiddetto entourage del Pibe de Oro.
Maradona è morto. Forse si poteva salvare, saranno i giudici a stabilirlo. Noi, appassionati di cose del Pallone, devoti a quella che Gianni Brera chiamava Dea Eupalla, non possiamo che limitarci a ricordare ciò che è stato per i napoletani, per gli argentini e per gli amanti del Calcio in generale.
Diego è stata l’Eccezione. Basso, tarchiato, con un fisico da pinguino più che da toro, a vederlo non faceva certo paura. Bastava dargli una palla tra i piedi, però, e la paura diventava terrore. Nessun calciatore con quelle caratteristiche fisiche aveva mai raggiunto le vette del calcio mondiale. Sembrava solamente impossibile che un bassotto con un piede solo potesse diventare così forte. E’ diventato semplicemente il più forte.
Diego è stata una collezione di gol fantastici. Suo il gol del Secolo. Suo l’altro gol del Secolo, passato alla storia come La Mano de Dios. Il fatto che entrambi siano stati segnati nella stessa partita (un quarto di finale mondiale, non proprio il Birra Moretti), contro quella avversaria (l’Inghilterra, contro cui l’Argentina aveva combattuto e perso la guerra delle Isole Malvinas), e distanza di cinque minuti l’uno dall’altro, sintetizza la grandezza di Maradona.
Un pugno alla Tatcher, come un piccolo Monzon. Undici tocchi di violino, come un novello Paganini. Irripetibile, semplicemente.
Diego è stato il gol su punizione indiretta più famoso della storia del calcio. Per un semplice motivo: ha sovvertito una mezza dozzina di leggi della fisica. Eraldo Pecci, che ancora si vanta di avergli toccato quel pallone, non si spiega come sia stato capace di infilare la sfera nel sette alla sinistra di Tacconi. La barriera juventina era a cinque metri. Era il 3 novembre 1985. L’Epifania. Il regalo più bello.

A Napoli si festeggiano due Epifanie, ma anche due Natali. Il 25 dicembre, come nel resto del mondo cristiano. E il 30 ottobre, data di nascita di Diego. Esagerati, si dirà. Obiezione accolta. Bisogna, però, cercare di capire cosa è stato Diego per Napoli. Anzi, non solo per Napoli, ma soprattutto per i Napoletani. Tutti i napoletani: dai Quartieri Spagnoli al Bronx, da Stoccarda a Pechino, da Torino a Buenos Aires. Ancora oggi, ogni 30 ottobre, i napoletani si scambiano gli auguri di Buon Natale. Perché è nato “Isso”, ‘O Ninnilo, D10S.

Diego è stato polvere.
 Chi gli vuole male, anche oggi che non può più difendersi, si riferisce solo alla polvere bianca, quella che gli ha fatto tanto male, che ne ha limitato le prestazioni sportive, che ne ha accorciato la carriera. Chi lo ama, invece, pensa a un’altra polvere: quella rossiccia, fangosa, di Acerra. Ad Acerra viveva un bambino gravemente malato. Bisognava operarlo, ma l’intervento costava troppo e la famiglia non aveva soldi. Pietro Puzone, calciatore acerrano del Napoli, venne a sapere della vicenda e pensò di fare una colletta tra i compagni di squadra. “Possiamo fare di più”, disse una voce con accento argentino. Era quella di Maradona. “Possiamo organizzare una partita di beneficenza e raccogliere più soldi”. Così fu. Ancora oggi si possono reperire le immagini dell’evento. Maradona che fa riscaldamento insieme ai calciatori dell’Acerra. Tra le auto parcheggiate, tra polvere e fango. Poi la partita: Diego la gioca con impegno. Vuole fare gol, vuole che la gente accorsa su quel campo di patate che era il terreno di gioco dell’Acerra sia felice e soddisfatta. Ruba palla, punta la difesa avversaria, scarta due difensori, mette a sedere il portiere, gol.
Anni dopo, in un noto programma televisivo, Maradona fu invitato come ospite. Dall’altra parte dello studio c’era un ragazzo che voleva incontrarlo. Era quel bambino di Acerra, operato e salvato grazie ai soldi di quella partita.
Diego non è stato solo il calcio giocato, pensato, intuito, fregato, sfregiato, guascone, scugnizzo, sudaca. E’ stato anche il riscaldamento. Quel riscaldamento. Bayern Monaco-Napoli, semifinale di Coppa Uefa. I calciatori del Napoli fanno esercizi di allungamento, scatti, piegamenti, flessioni. Tutti, tranne uno: quello coi lacci slacciati e un fisico a dir poco rotondo. Mentre gli altri corrono, saltano, scattano, lui palleggia. Non fa altro. Palleggia, semplicemente. Il guaio è che palleggia in una maniera mai vista prima su un campo di calcio.
Oggi abbiamo youtube, abbiamo i freestyler, abbiamo i giocolieri del Pallone e possiamo vederli e rivederli tutte le volte che vogliamo. Allora, anno 1989, non esisteva nulla di tutto ciò. I calciatori del Bayern Monaco lo guardavano, a bocca aperta. Avevano appena capito che avrebbero perso e sarebbero stati eliminati.

Quel riscaldamento è passato alla storia. Ancora oggi, in molti stadi del mondo, nella rifinitura prima del match, dalle casse viene fatta suonare “Live is Life” degli Opus. Era la canzone sulle cui note Diego palleggiava. Anzi, danzava col pallone.

Diego non era colto, né ricco. Quindi era la preda perfetta per i Padroni del Calcio. Il personaggio ideale per esportare ovunque il marchio Fifa, Uefa, Afa, e chissà cos’altro. Diego, però, non ha mai accettato questo ruolo da uomo immagine del Calcio. Lui era dalla parte del Pallone, della sfera che rotola e con lei rotolano i sogni dei bambini. Da una parte le federazioni calcistiche, le leghe, i comitati d’affari. Dall’altra i tifosi, la carne viva, la passione. E Diego non poteva che stare con i secondi, sempre. Memorabili le sue sortite contro Havelange, contro Blatter, contro Platini. Appesi gli scarpini al chiodo, ha portato questa sua infinita voglia di contestazione anche fuori dagli ambiti calcistici: contro gli USA, contro il capitalismo mondiale che affama i popoli, contro l’imperialismo che minacciava Cuba e il Venezuela.
Diego è stato questo e quello e sopra e sotto. Troppe parole. Per capire ciò che è stato, ciò che rappresenta, fatevi un giro a Napoli. Guardate i muri della città partenopea, prendetevi un caffè nel bar in cui è custodito il Capello di Maradona. Di fianco c’è anche una boccetta, piena d’acqua: sono le Lacrime piante dai napoletani quando Diego andò via. Ancora oggi, i Napoletani passano vicino a quella cappella votiva e si fanno il segno della croce.
Esagerati, direte voi. Obiezione accolta.
Del resto, Maradona questo è stato ed è ancora: esagerato.