Era più di un modulo di gioco o di una idea tattica. Era diventato quasi un manifesto filosofico, uno stile di vita. Addirittura una pagina facebook, che celebrava il Compagno Comandante Sarri, riuscì ad organizzare un "congresso", con tanto di tesseramento ai vari "soviet sarristi". Uscì un libro, che vendette benissimo, e un gioco da tavolo, "La Mossa del Comandante", che spopolò sulle tavole partenopee durante le festività dell'ultimo Natale di Sarri a Napoli.
Esagerazioni napoletane, ci scuseranno i tifosi di altre squadre.
Il Sarrismo ha rappresentato per i supporters partenopei di oggi ciò che il calcio totale di Vinicio aveva rappresentato per i nostri padri e nonni: la massima espressione di stile, potenza e cazzimma. Il Sarrismo poteva nascere solo all'ombra del Vesuvio e lì sembrava essere morto, una volta che il suo fondatore aveva deciso di abbracciare, dopo un solo anno di Inghilterra, i colori bianconeri della Juventus.
Stavolta è stato Masaniello a tradirci, non il contrario.

Sembrava essere morto, dicevamo. Perché ieri sera è magicamente riapparso sulla scena. "Magicamente" non è parola scelta a caso: era la serata di Maradona, veniva inaugurata una statua con le divine fattezze di D10S e si respirava da giorni una atmosfera particolare a Napoli. Si percepiva che c'era qualcosa di diverso, per dirla in lingua napoletana "quaccosa 'e chiù" (qualcosa di più). Il Sarrismo è riapparso sulla scena grazie a molti giocatori di quel Napoli che sfiorò lo scudetto. E grazie a un mister, anche lui toscano e toscanaccio: Luciano Spalletti, il Vate di Certaldo.
La Lazio era e rimane squadra forte, capace di far male a chiunque, ma ieri sera allo Stadio Maradona (che bello scriverlo!) è stata letteralmente asfaltata, annichilita, disintegrata. Il Napoli di Spalletti, una sorta di mefistofelico doppelganger, ha preso il meglio del triennio sarrista, lo ha mixato col sano pragmatismo spallettiano e ha inebriato avversari in campo e tifosi sugli spalti.  Un Napoli sublime, paradisiaco, eccitante, divino: Paolo Sorrentino ci perdonerà, ma era come se alla Grande Bellezza si fosse aggiunta una Mano de Dios.
Sarri, il fu Compagno Comandante che la Armata Azzurra seguiva al grido di "Fino al Palazzo!", era ammutolito. Nella testa, prima che nelle parole. L'antica abitudine di segnare su un taccuino accorgimenti tattici ed errori dei reparti è stata ben presto abbandonata: non c'era nulla da scrivere, niente da correggere, tutto da ammirare.
Dove Ciro Immobile pascolava in totale solitudine, senza supporto alcuno dai compagni, vi era un altro Ciro, per puro caso nato in Belgio, che deliziava ogni palato, dal più fine al più plebeo. Schierato centravanti contro l'allenatore che quel ruolo gli cucì addosso, Mertens ha sciorinato prosa e poesia, musica classica e tango argentino. Uno scatto, una sterzata, una finta, palla nell'angolino. Movimento incontro, palombella di prima intenzione, arcobaleno cosmico, palla all'incrocio. 
Prima c'era stata la stoccata di Zielinski, uno che gioca il calcio che tra vent'anni ammireremo nelle migliori squadre d'Europa. Il polacco non è il calciatore del futuro, ma quello dal futuro. Un Terminator dallo sguardo gentile e il piedino vellutato.
Dopo ci sarà la sciabolata mancina del Mago di Siviglia, quel Fabian Ruiz che odia le ragnatele agli angoli delle porte e scaglia palloni in sequenza proprio in quei punti. Un mago senza bacchetta, ma con la scarpetta: quella sinistra, probabilmente forgiata a Hogwarts.

Il Napoli di ieri sera, però, non è stato solo giocate dei singoli, ma soprattutto organizzazione di squadra, collettivo autonomo di palloni e pallonate. Fraseggi nello stretto, quasi sempre di prima, hanno mandato a ramengo le velleità di pressing della Lazio. Lobotka che ha ricordato il Jorginho sarrista e il Pizzarro spallettiano, Koulibaly titanico più del solito, Rrahmani furente come un mirmidone all'assalto d Troia, Mario Rui commovente come un fadista portoghese armato di chitarra e ribellione.
A fine gara, le statistiche conteranno 800 passaggi effettuati dai calciatori partenopei, con una precisione del 93%. Tradotto in parole povere: il Sarrismo all'ennesima potenza.
Compagno Comandante. Così ti avrei chiamato, se non avessi deciso di abbandonare la Presa del Palazzo e di entrarvi dal portone principale. Ieri sera mi sono convinto di una cosa, Comandante: ciò che chiamiamo Sarrismo non l'hai inventato tu. Esisteva già, tra i campetti improvvisati di Napoli e gli scogli su cui Partenope, rifiutata da Ulisse, affranta morì d'amore e di disperazione. Il tuo merito, enorme e lodevole, è stato quello di scovare questo potere magico e palesarlo al mondo. Quando te ne sei andato, lui non ti ha seguito. Non poteva: è legato alle viscere del Vesuvio, perché è di quel fuoco che si nutre.  Ciò che chiamiamo Sarrismo non appartiene a Sarri, ma a Napoli. E' patrimonio dell'Unesco del Pallone. Tutti lo possono ammirare e utilizzare, come sta facendo Spalletti. Nessuno, però, se ne può appropriare.
E' roba nostra, Maurì. Nun è cosa per te. Non più.