Oggi mi mancheranno i "sette giorni di cattivi pensieri" e questo rattrista ancor di più una domenica già triste per tutto ciò che sta accadendo. Così ho pensato di scrivere un pezzo da dedicare a Gianni Mura (lontano anni luce dalle sue "vette" di scrittore e giornalista, lo faccio per puro affetto), provando - con umiltà - a trattare due dei tanti argomenti dei quali era maestro.

Mi è venuto in mente di unire idealmente quei calciatori che mi hanno lasciato qualcosa nell'esercitare la loro arte, con della musica appropriata per accompagnarli. Nessuna competizione, nessuna classifica e, naturalmente estrema soggettività. Non so se i giocatori che citerò siano stati oppure no "i più grandi di sempre", in un paio di casi non posso neanche dire di averli visti giocare spesso: ne ho "studiato" le caratteristiche e li ho inseriti proprio per quello che mi hanno ispirato. Ho in mente delle "fotografie", quindi non ci saranno delle vere e proprie storie; piuttosto quello che mi hanno lasciato.

Pelé: cominciamo dal re. Non l'ho visto giocare sufficientemente, devo basarmi prevalentemente su filmati d'epoca: ero troppo giovane e lo dico con gioia (con un sorriso posso permettermi di affermare che è bello poter ancora dire ero troppo giovane per conoscerlo). La fotografia che mi rimanda a lui è - purtroppo - quella del gol in finale contro l'Italia a Mexico '70 di testa, con un salto da funambolo. Avevo 12 anni e quella fu un'occasione che non dimentico, per la "foto di famiglia" di chi assistette con me a quella partita. Scontata l'associazione alla musica brasiliana, quindi Samba, ma nel caso di O Rey non mi sento di limitarmi ad un samba banale. Il suo gioco era leggerezza e potenza in un connubio quasi perfetto, quindi "Samba de una nota" e - naturalmente - "Vivo Sonhando" (certamente alcune sue giocate le sognava e con esse ci ha fatto sognare).

George Best: lo conosco più per averlo “studiato” che per averlo visto giocare, ma ha incarnato troppi aspetti con i quali credo di avere “affinità elettive” per non menzionarlo. Ha vinto il pallone d’oro nel 1968 (avevo 10 anni e non erano certo i tempi in cui si riusciva a seguire il calcio internazionale come ora) ed ha cominciato il “mito della maglia numero 7” dello United per il quale sono passati Beckham, Cantona e CR7. Su di lui sono stati scritti libri, film e canzoni, quindi non credo di poter aggiungere molto. Le “fotografie” che mi piace incollare in questo album riguardano il tunnel che fece a Cruijff in un Irlanda del Nord – Olanda ed un gol da 27 metri al Liverpool, ma ciò che ho veramente nel cuore è quella specie di “coccodrillo” dedicatogli da Cantona dopo la sua morte: “Starà facendo impazzire Dio, schierato malauguratamente terzino sinistro e spero che tenga un posto per me in quella squadra: lui, non Dio”. A proposito della musica, questo caso è difficile, vista la definizione di “quinto Beatle” che gli è stata appiccicata, ma per me la canzone che meglio gli si accoppia è Dear Mr. Fantasy dei Traffic, seguita da Simpaty for the devil dei Rolling Stones: ma potere scegliere qualunque pezzo rock inglese di quegli anni e non sfigurerebbe.

Diego Armando Maradona: cominciamo a parlare di campioni che ho avuto la fortuna di osservare più da vicino, anche dal vivo. E’ un po’ imbarazzante per me scrivere di lui, visto che lo hanno fatto scrittori veri dei quali, per altro, sono innamorato. Osvaldo Soriano e Manuel Vazquez Montalban, per citare solo quelli che conosco. Di Soriano lessi il suo carteggio con Arpino, che scriveva sulla Stampa ed al quale lo consigliò quando Diego era un bambino, dicendo che se il Toro avesse avuto 5 milioni (di lire, non di euro) avrebbe dovuto prenderlo perché sarebbe stato la sua salvezza. Poi, sempre Soriano, scrisse a proposito del goal di Argentina – Inghilterra, che da bambini i goal che venivano dopo molti dribbling agli avversari valevano doppio e che il gol dove Maradona scartò anche il magazziniere valeva anche per quello segnato di mano. Montalban ne scrisse anche in termini “sociologici” relativamente alla rivalsa del sottoproletariato, ma non voglio appesantire ulteriormente la scrittura. Per me, la fotografia di Diego è una punizione a San Siro, gustata dal vivo in un Inter – Napoli (credo del 1989, ma la memoria potrebbe ingannarmi). L’accostamento musicale più diretto potrebbe essere per me quello dei Gotham Project, in quanto argentini: ma per Diego ci vuole qualcosa di più specifico e mi viene in mente Frankie goes to Holliwood: Welcome to the pleaseuredome. Sì, guardare lui era come entrare nel “tempio del piacere”.

Johan Cruijff: Per il mio modo di vedere il calcio, forse il più completo di tutti. Poteva accarezzare il pallone o dargli una potenza fantastica, poteva giocare per sé o per gli altri e credo di essermi innamorato del suo modo di giocare perché, pur non conoscendolo così profondamente, ritengo sia stato il giocatore con il Q.I. più elevato che ricordi. Come molti altri, credo che il calcio fosse nel suo DNA, come giocatore e, in seguito, come allenatore: ruolo, quest’ultimo, nel quale ha creato una scuola alla quale molti suoi discepoli ancora si ispirano (Quique Sétien al Barça ne è solo l’ultimo esempio). Nel mio album incollo le fotografie della finale di Coppa dei Campioni Ajax – Inter (se ricordo bene, correva l’anno 1972): fece impazzire Lele Oriali (uno dei mediani a mio giudizio più forti della storia) e segnò una doppietta. Per lui l’identificazione musicale che scelgo è un qualunque “crescendo rossiniano”, per come partiva con tocchi leggeri per arrivare ad esprimere il massimo nei finali. Specificatamente, direi “La gazza ladra”.

Ronaldo Luis Nazario de Lima: comincio subito con la fotografia da incollare sull’album: Inter – Lazio, finale coppa UEFA 1998. Anche su di lui è stato scritto da penne decisamente migliori della mia. La scelta della foto è, inevitabilmente, legata a ricordi personali e soggettivi e nel suo caso la scelta è ancora più difficile in quanto, avvicinandosi con gli anni ai nostri giorni, bisogna tener conto che lui è uno di quelli che ha giocato in diverse delle squadre tra le più gloriose della storia del calcio, senza dimenticare la nazionale verde oro. Pensando al numero ed alla gravità degli infortuni patiti, non è facile immaginare a quali vette nel numero di goal ed assist sarebbe potuto arrivare se il fisico lo avesse maggiormente assistito (senza dimenticare i giorni drammatici del mondiale 1998 in Francia e tutte le voci a proposito dei suoi malesseri di allora). Di certo, comunque, i suoi goal e le sue giocate ci hanno deliziato non poco. La potenza è nulla senza controllo e le sue gigantografie in sostituzione al Cristo Redentore rimangono – a mio giudizio ancora oggi – uno tra i più azzeccati accoppiamenti tra sport e comunicazione di massa. Quando c’è di mezzo il Brasile sembra impossibile prescindere dalla musica brasiliana e nel suo caso si può scegliere un pezzo più vicino alla sua era e quindi più “moderno” (anche se più banale): Onde anda meu amor (sambando): visto che ha girato molto, mi pare appropriato. Oltre questo abbinamento che definirei appiccicato alla sua realtà, il suo modo di giocare è da ritmo “sincopato” eppure fluido : A Night in Tunisia; composto da Dizzy Gillespie, ma scegliete voi quale versione d’interpretazione prefrite.

Marco Van Basten: Se Cruyff è stato il più completo, quello che ha assimilato il calcio alla filosofia, Marco è stato talento puro. Nonostante la sua consacrazione come campione sia avvenuta con la gestione Sacchi, che di talento a disposizione ne ha avuto come pochi altri e che riusciva comunque a far prevalere il “coro” rispetto ai solisti, Van Basten non ha tradito la sua “genia”: è stato “Van Gogh” e “Vermeer”, potenza e sentimento e sapeva dove farsi trovare, come farsi raggiungere... ed al resto pensava lui. L’ho visto spesso dal vivo, a San Siro e, mantenendo la metafora artistica, l’ho visto “dipingere” parecchi capolavori. Sul mio album di foto però devo metterci Olanda – Russia degli europei 1988: un goal impensabile nel senso che a quasi tutti i suoi colleghi non sarebbe neppure venuto in mente e che lui realizzò con la naturalezza di una “pennellata” lieve nel pensiero è potente nell’esecuzione. Purtroppo, anche per lui, come per Ronaldo, il fisico non gli ha consentito di puntare a record che avrebbe certamente potuto raggiungere, ma la classe, è risaputo, non ha bisogno di record. Avendo attraversato in Italia il periodo della “Milano da bere”, mi sembra appropriato, anche se non è la mia musica preferita, abbinarlo alle raccolte di “Montecarlo nights” di Nick the Nightfly e del Propaganda.

Michel Platini: Nella celebrazione, non bisogna dimenticare che l’inizio della sua carriera in Italia non fu facile e venne messo in discussione. La sua risposta fu di lavorare per potenziare un fisico non eccellente e diventare maniacale sull’allenamento per le punizioni. Sul campo, trasferiva il lavoro che svolgeva interpretando il calcio in maniera spettacolare; fantasia pura. Si narra che Agnelli lo prese perché giocatore che incarnava perfettamente il suo modo di intendere il calcio come divertimento. Ricordo la famosa “querelle” con Trapattoni, al quale Platini richiedeva un gioco principalmente d’attacco, irretito com'era dai troppi passaggi all’indietro ed al quale il Trap rispose: “se la palla l’abbiamo noi non ce l’hanno gli altri”. Mi piaceva, oltre che per il gioco, perché fu uno dei primi (se non forse addirittura il primo) del quale ricordo una sincerità diversa da tutti gli altri nell’affrontare la stampa ed una certa qual riservatezza che apprezzavo. Sull’album di foto è da incollare quella sua “posa” sdraiato sul campo con il gomito appoggiato in terra a sorreggere la testa, ma mi piace ricordare anche quel gol della coppa intercontinentale: probabilmente uno dei gol annullati più belli di sempre. In sottofondo, per lui, ovviamente musica francese: "Je ne regrette rien": nel suo caso se mi passate l’ardire del concetto, è una specie di “nomen omen”.

Zinedine “Zizou” Zidane: Anche qui subito la fotografia: Mondiali 1998, finale Francia – Brasile (spero mi perdoneranno gli amici juventini per i quali, ripensandoci, inserisco un goal realizzato alla Reggina che credo sia da “manicomio” scambio, controllo, destro-sinistro e tiro di potenza), scegliete quale dei 2 goal di testa (forse entrambi). Visione di gioco, capacità d'illuminare l'azione con assist e dribbling improvvisi, ottima progressione, forse uno dei migliori in quanto a versatilità, essendo in grado d’inventare, reggere il centrocampo e guidare l'attacco. "Nessuno sa se Zidane sia un angelo o un demone. Sorride come Madre Teresa e ti sbeffeggia come un serial killer" Credo che questa frase detta su di lui riassuma egregiamente il suo profilo. Nato nelle banlieu di Marsiglia ed originario di una famiglia berbera dalle quali credo possano derivare alcune azioni da “testa calda” che non sono mancate nel corso della sua carriera, il sottofondo musicale per lui è "Desert Rose" di Sting: a me sembra che di Zizou, oltre all’origine, ci sia qui il ritmo, il calore e la fluidità.

Xavi Hernandez Creus: “il Professore”. Per me, pura geometria euclidea applicata al calcio. Se dovessi ritornare bambino ed appendere il poster di un giocatore nella mia stanza, sarebbe il suo. Quando lo vedevo giocare era come se, spiritualmente, fossi sul campo con lui. Pochi goal, diverse “giocate” illuminanti; ma nella sua mente c’era sicuramente Euclide che “gli tirava delle righe” a proposito di dove mettersi sul campo. Si materializzava a volte quasi come se provenisse da un’altra dimensione ed il maggior divertimento nel guardarlo stava proprio in questa sua abilità che non ho riscontrato in altri interpreti del suo ruolo ad un livello paragonabile al suo. Nel calcio molto spesso si premiano i goal e chi li realizza, è più raro ricordarsi di un giocatore come lui ma sono certo che se potessi chiedere ai suoi compagni quale giocatore abbiano ritenuto il più prezioso, certamente indicherebbero lui. Fotografia per l’album: sono davvero in imbarazzo, scelgo il tunnel con il tacco al Valencia. Accompagnamento musicale riferito a tutto quanto appena scritto: “Cerco un centro di gravità permanente” (ricordate? “gesuiti euclidei…”) di Franco Battiato.

“Don” Andre – Andres Iniesta: dico: come sia stato possibile non aver dato un pallone d’oro a questo giocatore? Uno dei più grandi insulti all’intelligenza di tutti noi appassionati di questo sport. Invito tutti quelli che non hanno seguito sufficientemente la sua carriera o che non lo conoscono a sufficienza ad andare al più presto su You Tube: ci sono esaustive sintesi delle sue magie e, credetemi sulla parola, ne vale la pena. Amplio il concetto già sopra espresso: gli attaccanti del Barça e della nazionale spagnola che hanno avuto la fortuna di averlo come compagno di squadra, devono a lui una percentuale – più o meno elevata – delle loro fortune. Iniesta è quel tipo di giocatore del quale apprezzi le giocate in campo e ti accorgi clamorosamente della sua importanza quando la squadra deve farne a meno. Ancora oggi, dopo due anni di assenza, il gioco del Barça sente drammaticamente la sua mancanza ed i soldi spesi per cercare qualcuno che potesse ripetere quello che faceva lui in campo sono stati decisamente mal spesi. Forse, per essere uno dei più grandi di tutti i tempi gli è mancato un peso realizzativo importante, ma ritornando al “piacere di guardare il calcio”, beh, pochissimi come lui. Guardiola ha avuto molti meriti al Barça, tra i quali quello di proporre comunque un calcio in qualche modo diverso; ma, ascoltate quello che aveva: Messi – Iniesta – Xavi, oltre a Henry, Eto’o, Dani Alves, Puyol…beh, bravo Pep, ma quasi quasi una squadra così avrebbero potuto darla anche a me e probabilmente non avrei sfigurato (è ovviamente solo una battuta, ma insomma, per rendere l’idea…). Tornando a Iniesta, anche per lui faccio fatica a trovare uno scatto che possa fissare quello che ha dato ed alla fine ritengo che il suo goal di Spagna – Olanda incornici al meglio la sua carriera (ma quante giocate da “ooohh” ci sarebbero da premiare). Mentre scrivo mi sto facendo accompagnare da quel capolavoro musicale che è “Kind of Blue” di Miles Davis, perché è grazia e fluidità, ogni nota chiama quella successiva, si diffonde un’atmosfera di perfezione che pervade chi l’ascolta e mi sembra che il connubio funzioni, appunto, alla perfezione.

Lionel Messi / Cristiano Ronaldo: questi ci stanno ancora facendo divertire e li ho lasciati per ultimi solo perché sono ancora in attività. Le mie personalissime foto, tra migliaia che potrebbero figurare nell’album, sono ben stampate nella mia mente: per Leo, per la peculiarità e l'importanza, scelgo il colpo di testa nella finale di Champions contro lo United (2009). Non certo bello stilisticamente (colpisce "sghembo", quasi con l'orecchio), ma qui, più che di una foto, mi è rimasto "l'ambiente": cross di Xavi che "scavalca” Rio Ferdinand, palla che supera Van der Saar. Dall'altra parte, con lo United, giocava – appunto – un certo CR7. Per lui, CR7, la rovesciata a Torino contro la Juve, incluso il rispetto nei festeggiamenti per uno stadio “nemico” che lo applaudiva, ma che sarebbe presto diventato il suo, che ha fatto esultare con ulteriori prodezze. A mio avviso emettere un giudizio relativo a chi sia il migliore fra i due è puramente didascalico. La ricerca di Ronaldo per il goal è quasi parossistica e lo fa dall’alto della sua completezza costruita in questa direzione: dribbling, corsa, destro, sinistro, colpo di testa, migliorati costantemente attraverso lavoro continuo ed applicazione ad ogni dettaglio. Il goal, lo sappiamo, è il fine ultimo di questo sport e chi segna tanto non può certo essere “derubricato” ad un protagonismo di secondo livello. Messi è meno specifico (anche se segna all’incirca quanto il portoghese), è più uomo/squadra e, soprattutto negli ultimi tempi, ha cambiato parzialmente il suo modo di giocare proprio per mettere le sue doti a disposizione della squadra (di conseguenza, quest’anno – solo per fare un esempio – ha aumentato il numero di assist rispetto alla sua media, calando relativamente al numero di goal segnati). Per non rimanere nel mezzo (e come si sarà compreso delle valutazioni espresse sin qui), prendo la mia posizione a favore di Leo, perché Leo è – a mio parere – più fantasia e creatività; in una parola direi “poesia” e siccome valuto il puro divertimento, posso dire che con lui mi diverto per i colpi ad effetto in qualunque zona del campo, mentre CR7 mi fa divertire per i goal. Chiudo con la musica. CR7 è per me Daft Punk: sofisticato, moderno, ma che risente degli arrangiamenti alla Stevie Wonder che ne impreziosiscono suoni e resa. Leo è, per fare mia una citazione di Woody Allen in Manhattan a proposito di argomenti per i quali vale la pena vivere, “Jupiter” di Mozart, "Potato head blues" di Louis Armstrong con l’aggiunta anche di “quelle pere e mele di Cezanne”.

E qui concludo il mio racconto, non senza ribadire che si tratta di opinioni personalissime, ricordi e storie rimesse insieme in una domenica ancora triste, senza nessuno di questi campioni (o anche di altri) a dettare l’urgenza della cronaca di una partita vera e per questo con tutto lo spazio per il passato, più o meno recente.

Come immaginerete, sono conscio di aver tralasciato campioni italiani del calibro di Baggio, Del Piero, Totti ed altri ancora, o stranieri come Falcao, Zico ed altri, che hanno dato un contributo tutt’altro che secondario al “divertimento” nell’assistere al gioco più bello del mondo. Sono certo che altri faranno (o hanno già fatto in pezzi precedenti) giustizia in tal senso ed il bello, nello scrivere di questa materia, è proprio la differenza di opinioni e di indirizzo attraverso il quale guardare agli avvenimenti.
Questo vale uno, come quello di chiunque altro.







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