13 marzo, a Milano è una giornata di primavera, quasi d'estate.
Questa mattina appena sveglio davo un'occhiata alle notizie e mi sono soffermato, per tentare un approccio meno negativo di quanto la situazione che viviamo consiglierebbe, su quella relativa ad Edoardo Bennato che riarrangia una canzone del 74 dal suo LP (sì, allora si chiamavano Long Playing, per distinguerli dai "45 giri", perché duravano di più) "I buoni ed i cattivi".

La canzone è "bravi ragazzi" e l'articolo la cita - in particolare - per l'attinenza del testo (ripeto, 1974) con le giornate che stiamo vivendo. Potrebbe sembrare ridondante, ma lo riporto qui di seguito.

Una di notte, c'è il coprifuoco E pensare che all'inizio Sembrava quasi un gioco Ora non c'è più tempo per pensare Tutti dentro, chiusi ad aspettare

Ognuno ha avuto le sue razioni Poveri e ricchi, cattivi e buoni Ognuno ha fatto le sue preghiere Ora si tratta solo di aspettare

Bravi su! Bravi ragazzi Ma non è il caso di agitarsi Bravi su! fate i bravi ragazzi Vedrete che poi Sistemeremo tutto

Per fronteggiare la situazione C'è stato un programma alla televisione Hanno parlato tutti gli avvocati Di tutte le bandiere, di tutti i partiti

Ed è stato proprio commovente, vedere Tutti quei grandi sacrificare le proprie Idee in nome del bene della gente Poi hanno dato severe istruzioni Di stare calmi, di stare buoni

Buoni su! buoni ragazzi Ma non è il caso di agitarsi Bravi su! fate i bravi ragazzi Vedrete che poi sistemeremo tutto

 

E mi si è accesa questa illuminazione. Nel '74 ero studente e, senza esagerare, a parte il tentare di rincorrere - spesso, ahimè, invano - i bisogni reclamati dal testosterone, la musica e lo sport erano i miei svaghi dallo studio (al quale ero costretto a dedicare molto tempo dagli "obblighi" nei confronti della famiglia - e Dio sa quanto ora ringrazio quello che allora consideravo quasi una perdita di tempo che avrei voluto utilizzare in modo che ritenevo decisamente più interessante). Giocavo a pallacanestro all'oratorio ed ero appena entrato nell'orbita di una per me "gloriosa" società di calcio che militava in terza categoria. La passione per la musica mi è stata trasmessa da mia sorella e, grazie ad una differenza d'età quasi perfetta, sono partito con tanta musica italiana ma anche i Beatles, i Rolling Stones, Tom Jones, gli Aprodhite's Child (il solo citarli mi fa venire i brividi a proposito della mia età).

Sono partito da lì ed il vantaggio è che anche oggi che ascolto prevalentemente musica Jazz, ogni tanto posso tornare ai pezzi del primo amore.

Grazie alla mia innata curiosità di conoscere ciò che mi interessa, credo di aver fatto un percorso musicale (che per altro ritengo piuttosto comune per molti altri della mia generazione) piuttosto completo. Ho abbandonato presto la musica italiana e credo di essere uno di quelli che Eugenio Finardi criticava nel pezzo Musica Ribelle ("...dice qua da noi la musica non è male/quello che non reggo sono solo le parole/ Poi le ritrova ogni volta che va fuori/dentro i manifesti o scritte sopra i muri"...). Lo ammetto ero un po' così perché avevo dei compagni di classe veramente avanti e musicalmente rivoluzionari e inizialmente provavo quasi imbarazzo a presentarmi con il Venditti di "m'hanno detto che Cristo è stato a Roma e gli hanno chiesto pure ma n'do vai? (quo vadis) e dovermi confrontare con Progressive rock (Genesis, King Crimson), musica psichedelica (Pink Floyd e quella della West Coast e dei Doors e Jimi Hendrix e Janis Joplin), Folk rock (Pentangle) e quel misto di un po' di tutti i generi rappresentato dai Jethro Tull. E discussioni infinite sul valore dei testi, che poi scoprii non essere tutti così "politici" come si voleva far sembrare anche se, probabilmente, "confusion will be my epithaph" suggeriva riflessioni più intimiste e di massimi sistemi di "con quei blue jeans/con quella camicia gialla/ quanto sei bella".

Non posso certo tralasciare il 24 marzo 1975 (lo so, molti frequentatori di questo blog non erano ancora nati a quell’epoca ed in questo caso vale la pena dire che è un peccato, anche se immagino che con i potenti mezzi della rete ora sia semplice recuperare l’evento): per me primo concerto dal vivo con Peter Gabriel ed i Genesis (quelli veri, come uso dire quando ne parlo). Per la mia vita è stato un evento da pietra miliare, non solo per l’aspetto musicale; fu la prima volta che osai decidere da solo. Data l’età ed il periodo, ovviamente non ebbi il permesso di andare, ma con due miei compagni di classe organizzammo una specie di fuga, con viaggio in treno, notte in sacco a pelo e ritorno la mattina successiva e con telefonata a casa “a gettoni” per cercare di tranquillizzare la famiglia che, come si può ben immaginare, sortì esattamente l’effetto contrario (al ritorno, fu l’unica volta nella mia vita nella quale ricordo mio padre tentare di alzare le mani su di me; poi ricordo un lungo periodo di impossibilità di uscire di casa e di essere accompagnato a scuola – cosa che neanche in prima elementare – ed anche una serie di bellissimi voti a scuola per via del senso di colpa e dell’ansia di farmi perdonare). Ovviamente, non volevo scappare di casa, volevo solo “esserci”. E feci bene. La serata fu epica. Peter Gabriel era nel periodo “teatrale”, il primo vero genio in grado di costruire uno show sulla musica ed allo stesso tempo sui costumi e su di un impatto visivo di una potenza unica…”play me my song, here it comes again”…“the Musical Box” con il trucco da vecchio che importuna la bambina di Nursery Crime credo non sia stato mai eguagliato e, al contrario, la sua capacità di gestire la scena ha ampiamente fatto scuola (David Bowie, Lou Reed, Prince, Freddy Mercury solo per citare i primi che mi vengono in mente).

Alla fine, si torna sulla terra e al basket all'oratorio ed il calcio alla domenica: quasi un’oasi alla quale giungere, stanco ma felice, per rinfrancare corpo e spirito.

 

Saltiamo al 1977. A Milano, come è risaputo tirava un'aria pesante.

Finisco il liceo e in autunno, oltre che cominciare l'università (e grazie ad un amico di un amico), mi chiamano in una radio per scegliere musica in un programma di due ore in onda dalle 23 all'una di notte. Ebbro di gioia mi presento, ma scopro subito che il programma è incentrato sulla musica nera degli anni '60 e '70 (si trattava di una radio, diciamo così…alternativa) e non prende in considerazione la disco.

Così riparto dalla curiosità e per non essere buttato fuori subito, tento di ampliare le mie conoscenze (non c'era Internet, la musica non italiana non disponeva di molti mezzi attraverso i quali reperire notizie e io allora di musica che assimilavo a "nera" conoscevo a malapena Stevie Wonder), anche se credo che quel programma non fosse seguito neppure dalla fidanzata del DJ né, magari per puro affetto, da amici e parenti.

Comunque dopo qualche mese cominciai ad avere una qualche dimestichezza e dopo un annetto mi muovevo con una qualche disinvoltura tra Wilson Pickett, Gil Scott Heron, Billy Paul,Temptation, Curtis Mayfield, Marvin Gaye, Ben E.King, War,Donnie Hathaway e molti altri grandissimi.

Diventò, in poco tempo, parte della mia musica e si mischiò a quella che suonava dal mio stereo precedentemente.

In quegli anni diventavo "adulto" (in realtà non sono così sicuro di esserlo neppure adesso) e dire quanto la musica sia stata responsabile di quello che sono è difficile per me valutarlo: quello che posso dire con certezza è che ho cercato di assorbire cultura oltre che le delizie dettate dal pentagramma ed ho spesso preferito una “musica ribelle” o una colonna sonora che suonasse a sostegno del più debole (certamente per questo ho imparato ad amare il blues e la musica nera).

 

Arriviamo così all’estate del 1980: Bob Marley a San Siro.
Questa volta non ho avuto bisogno di scappare di casa ed in qualche modo, per me, questo concerto è stata la “mia Woodstock”. Songs of freedom…e, credetemi, non riesco a dire altro: ogni volta che ripenso a quella notte l’emozione mi crea un groppo alla gola e mi ritrovo con brividi su tutto il corpo. Fu l’apoteosi della musica insieme all’amore (cavolo se ero innamorato…): al posto di Woody Allen e del suo famoso elenco dei motivi per i quali la vita vale la pena di essere vissuta (film Manhattan), nel mio caso quella notte sarebbe al primo posto.

 

L'ultima folgorazione porta la data dell'estate 1984 e la vacanza ad Umbria Jazz e Miles.

Il mio approccio al jazz non è stato semplice, non nego che i primi ascolti mi risultarono piuttosto noiosi (ovviamente lo dico da ignorante), ma grazie a buoni maestri, cominciai ad "entrare nella materia", ma le giornate umbre restano per me un ricordo indelebile. Ovviamente hanno giocato fattori esterni alla musica quali il sentirsi in totale armonia con il contesto, una sensazione di libertà e leggerezza e quello che ora mi sembra fosse l'aspetto più importante: non avevo preoccupazioni particolari. Chi ha questa passione mi capirà sicuramente: in pochi giorni concerto di Miles Davis e Weather Report e Dizzy Gillespie. Più di 10.000 persone (credo) in una piazza con l'ipnotica tromba di Miles. Oggi posso ascoltare tutta la sua produzione migliore, dal be bop e Kind of Blue fino alla "fuga elettronica" di Bitches Brew, ma nulla raggiungerà mai una semplice Time after Time (arrangiamento di una canzone pop) suonata in piazza a Terni.

Ho avuto la fortuna, in tutto questo arco di tempo, di rimanere uno "sportivo attivo", considerando lo sport il vero sfogo e la vera libertà della mia mente, riuscendo a farlo esclusivamente per pura passione; per esemplificare, i ricordi più belli che ho delle partite di calcio che ho giocato sono quelli delle partite con il maltempo (personalmente rendevo meglio con la pioggia, ammesso che nelle mie caratteristiche si potesse trovare un qualunque tipo di "meglio") o le "trasferte" di domenica mattina con nebbia fitta e le preghiere congiunte delle squadre per convincere l'arbitro a farci giocare (comprendo che possa sembrare esagerato, ma posso assicurare che in quegli anni poteva capitare che nei campi sportivi di periferia, la domenica mattina alle 10, in una giornata invernale, non si vedesse neanche dalla porta a metà campo).

Dall'autunno di quell'anno memorabile (1984) cominciò la mia avventura professionale e con essa l'impossibilità di avere sufficiente tempo da dedicare allo sport agonistico. Dopo pochi mesi, cominciai ad avere un'attività "itinerante" (ovvero: viaggiavo molto per lavoro) e non potevo che dedicare le mie migliori energie a svolgere al meglio quello che stavo facendo per il mio futuro.
Intendiamoci: lo sport è ancora molto importante nella mia vita e lo pratico - corsa e mountain bike - quando ne ho il tempo, ma è legato ad una voglia di muoversi e non alla passione vera di prima.
Mi diverto sempre meno a guardare il calcio dei grandi livelli perché, umilmente, penso che l'aspetto "gioco" sia sempre più fagocitato dal business ed anche che le possibilità fisiche degli atleti tendono a privilegiare la corsa e la velocità rispetto alla tecnica (e non lo dico per polemica, perché è forse una normale evoluzione; oggi vi sono conoscenze scientifiche applicabili allo sport e disponibilità che dieci anni fa non esistevano).

La musica non potevo lasciarla. È stata, è e credo che sempre sarà la mia personale connessione con il divino e mi rendo conto di quanto i miei stati d’animo determinino quello che ascolto ma anche, per contro, di quanto quello che ascolto determini il mio stato d’animo ed ogni scelta accende una lampadina che illumina un ricordo. È rimasta la parte "legale" delle canne (sorrido). In questo momento abbiamo perso il nostro controllo sul tempo, è piuttosto lui che controlla noi; prima di questo disastro il “lusso” che ritenevo di potermi permettere era quello di spostarmi in auto per lavoro con viaggi a volte di qualche ora, di spegnere il telefono ed abbandonarmi alla scelta di una colonna sonora che accompagnasse il flusso dei miei pensieri e, non raramente, sognare ad occhi aperti.

Così, mentre scrivo questo pezzo, come sono certo immaginerete, suona una compilation, che è iniziata con Je sto vicino a te di Pino Daniele, perché non possiamo stare vicini ed è importante esserlo almeno spiritualmente; però voglio ribellarmi alla malinconia, voglio qualcosa che ispiri resistenza e ribellione allo status quo di queste giornate buie. Scelgo musica “Nera”. Mi tornano alla memoria alcuni versi di una vecchia canzone dei Temptation che mi sembra bello riportare in questo personale viaggio…

it’s a challenge just staying alive / ‘cause in the ghetto only the strong survive” (restare vivi è una sfida / perché nel ghetto sopravvivono solo i forti).

La canzone si intitola Masterpiece (capolavoro) ed il capolavoro siamo noi che tutti insieme resistiamo.

Restiamo forti.


Questi sono i ricordi che la giornata mi ha portato, il mio diario dall’isolamento del 13 marzo finisce qui.



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