Di certo non sarò amato per quello che sto per scrivere.
Avendo perso da tempo entrambi i genitori, sento il dolore delle migliaia di persone alle quali possono essere mancati degli affetti cari a causa di questo contagio. Non di meno, credo che anche in questa occasione ed anche grazie al dolore che ci circonda in questi giorni, ci stiano prendendo in giro e che dovremmo smettere di delegare ad altri la nostra indignazione e farci sentire, almeno inondando le redazioni dei media (web e televisione) o gli uffici stampa dei ministeri con mail di protesta che facciano capire che il nostro cervello non è ancora stato ridotto in poltiglia e non siamo ancora asserviti completamente al mainstream. Che ci evitino di essere considerati tutti alla stregua di quei soldati che in guerra vengono definiti “carne da cannone”; non lo sono e credo non lo sia la maggior parte di noi.

  1. Basta con la quarantena – non sono un virologo, né un medico né un biologo. Ma neppure uno completamente digiuno di scolarizzazione. La mia laurea, anche se in tempi lunghi e contemporaneamente allo svolgimento di un lavoro l’ho presa anch’io. Era un corso di laurea di cinque anni ed ho studiato anche virus e batteri. Sento il bisogno di specificarlo perché non sembri che quanto sostengo sia frutto di ignoranza. La quarantena, come la stiamo interpretando in Italia, serve solo a raggiungere due obiettivi: evitare il collasso delle strutture sanitarie e farci credere che il valore degli affetti per i nostri cari sia condiviso da chi ha delle responsabilità politiche. E’ una presa in giro totale ed a sostenere la mia tesi è arrivata la puntata di Report di ieri sera con l’inchiesta a proposito di quanto accaduto in provincia di Bergamo, con il totale asservimento della politica (regionale e nazionale) agli interessi del potere economico, anche a costo di avere un indice di mortalità nella zona incredibilmente superiore al resto del mondo. Provate a non guardare la TV per qualche giorno e poi riaccendetela: vi sembrerà di non averla mai spenta. Questo paese è in ginocchio da anni, con milioni di famiglie che vivevano sulla soglia di povertà, disoccupazione, totale incapacità di un piano di sviluppo che non passi attraverso un qualche assistenzialismo e lo ritroveremo, alla fine di questo incubo, in una situazione peggiore, nella quale la colpa di tutto verrà data al coronavirus. Sarà come rivivere la situazione della fine della Prima Guerra Mondiale: qualcuno si arricchirà ancora di più e la maggior parte della popolazione sarà pronta ad acclamare “l’uomo forte” di turno che provvederà ad una normalizzazione prelevando risorse dalle tasche di quelli che hanno sempre pagato. Cosa potrà succedere se si riprendesse da subito una vita normale? Altri morti? E non stiamo comunque correndo il rischio di morire “dentro” continuando questo stillicidio o di prepararci ad una morte diversa fra pochissimo tempo? Certo, la morte ci spaventa di più, ed è questa la semplice base sulla quale poggiano le decisioni politiche di queste settimane, oltre all’idea che rimandare – di qualche settimana o di qualche mese – delle decisioni strategiche dia tempo di organizzarsi: ma non sarà così, senza leaders con una visione strategica arriveremo comunque disorganizzati e quello che ci aspetta non ci piacerà. So di non poter contare su sodali, ma voglio lanciare un grido di libertà: ridatemi la vita di sempre, se morirò di contagio pazienza. Sarà comunque meno peggio che la qualità di una vita che deve dipendere da decisioni di idioti che ogni giorno sono diverse da quello precedente.
  2. Basta con le conferenze stampa del Governo e dei Governatori delle regioni (particolarmente quelli che ci hanno venduto di aver costruito un ospedale in 10 giorni per 200 persone, quando ad oggi le persone ricoverate non arrivano a 5 e che arriveranno a 24 non prima di altre due settimane; nel frattempo, per lo stesso ospedale sono stati versati da “donatori” decine di milioni di euro, dei quali mi piacerebbe avere un rapporto di spesa ed è stato “riesumato” Bertolaso, di cui mi piacerebbe conoscere la parcella di consulenza e nonostante i suoi precedenti non proprio cristallini). Non posso pensare che in questo momento la mia vita sia nelle mani di persone che, anche in emergenza, non ci raccontano la verità: su nulla. Non posso credere che non sia gestibile l’operatività connessa ad un aspetto come quello delle mascherine, che ci si rimpalli la responsabilità delle decisioni a proposito di azioni che potrebbero salvare delle vite ed essere così ipocriti davanti ad una telecamera sostenendo che si stia facendo l’impossibile per salvarle. In Italia ci sono migliaia di infermieri e medici disoccupati dai tagli ai fondi per la sanità; se non si opera per rimettere queste persone in servizio, dirottando immediatamente i soldi che arrivano dall’acquisto dei titoli di Stato senza indugiare e senza farli passare per le banche, significa che non si è in grado di utilizzare il potere che si detiene, a qualunque livello e per qualunque appartenenza politica. Questo è il Paese della burocrazia, nel quale nessuno riesce a prendere decisioni immediate per non scontentare una delle migliaia di lobbies che da sempre ne inquinano il tessuto sociale. Vi prego, non ammorbateci più.
  3. Basta con le trasmissioni televisive che ospitano virologi e similari dove giornalisti, conduttori, tuttologi, nani e ballerine ci insegnano come lavarci le mani e ci raccomandano di stare a casa (mentre loro non lo sono). Abbiamo capito che ciascuno difende il proprio piccolo orto (e gli scienziati non sono da meno) e che il bene comune non è la priorità. Sono un materialista storico e ritengo che la scienza sia la migliore dimostrazione delle possibilità della mente dell’uomo. Ma non chiedete ad uno scienziato di interagire con altre discipline, meno che mai con l’economia o con la gestione di aspetti di praticità. E’ normale che, dal loro punto di vista, debellare un virus significhi, prima di ogni altra cosa, eliminare quanto più possibile qualunque aspetto non riguardi la scienza; se la loro testa non ragionasse in questo modo non sarebbero dei ricercatori e non raggiungerebbero i meravigliosi progressi dei quali l’umanità ha bisogno. Ma vederli ogni giorno a raccontarci teorie, spesso diverse tra loro e che rappresentano un arzigogolato ricamo sul tombolo del “non sappiamo quanto durerà” mi ha francamente stancato: lasciamo anche loro un po’ a casa e richiamiamoli quando avranno qualcosa di nuovo da dire. Molto peggio di loro i conduttori televisivi e di telegiornale di varia foggia, con sempre le stesse domande a sempre le stesse persone (perché, solo come esempio, nessuno dà voce a chi è guarito, mentre ci tocca sorbirci in tutte le salse dei video di persone che si sono ammalate che terminano sempre con la raccomandazione di stare in casa e perché nessuno pensa a dare voce reale alle persone normali che da casa vivono la loro quarantena?), quando non in vergognosi siparietti a proposito di come ci si debba lavare le mani o insistendo sulla necessità di stare a casa, di resistere, di tenere duro: e voi, di grazia? Non potreste stare a casa anche voi per un paio di settimane? Vero che la soluzione a questo strazio è semplice, nell’effetto, in quanto è sufficiente spegnere la TV (cosa che faccio senza indugi), ma la causa – ahimé – rimane: costringono un numero non limitato di persone a realizzare trasmissioni tra l’inutile ed il dannoso (ma tendenti al dannoso), aumentando la circolazione anziché "l'indispensabile" distanziamento sociale.
  4. Basta con la retorica - Definizione di retorica dal dizionario: Atteggiamento dello scrivere o del parlare, o anche dell'agire, improntato a una vana e artificiosa ricerca dell'effetto con manifestazioni di ostentata adesione ai più banali luoghi comuni. Ma quanto ce ne stanno scaricando addosso, con in più l’aggravante che non serva, materialmente, a nulla? Creazione degli eroi, loro glorificazione, nessuna utilità. “Gli italiani sono un popolo che viene fuori nelle difficoltà”, “teniamo duro” “resistiamo”…e altri luoghi comuni a iosa…ma, in realtà, nel dettaglio, cosa stiamo facendo di altro che obbedire (con qualche eccezione) a ciò che ci è stato ordinato di fare? E soprattutto, quale incidenza ha tutto ciò nella vita che stiamo svolgendo? Tutti hanno paura di morire, ci viene detto cosa fare per limitare la possibilità che questo accada (cosa sulla quale, come ho detto, nutro molti dubbi) e lo facciamo. Potremmo pensare a fare qualcosa di diverso? Che so, una manifestazione virtuale senza uscire di casa? Il nostro senso più “titillato” è il senso di colpa. Tutti i giorni un servizio TV (non di rado sempre lo stesso in giorni diversi) con carri funebri (messaggio: può succedere anche a te o a un tuo caro, pensaci), numeri a caso, senza nessun approfondimento a proposito di come vengano catalogati (e il comitato scientifico non dà qualche indicazione in proposito?), interviste a medici che ci raccontano di reparti ospedalieri trasformati in gironi danteschi dell’inferno; tutto per quel senso di colpa che ci induca a stare a casa. Mi sembra che un mese di questo trattamento potrebbe essere sufficiente, evidentemente non è così.
  5. Basta con gli spot pubblicitari in cui le aziende continuano a volerci vendere lo stesso schifo di prima, ma che ora – oltre il danno la beffa – ci comunicano anche di esserci “vicini”. E questa mi mancava. Per “consumare” il formaggio, le automobili, le assicurazioni e chi più ne ha più ne metta, dobbiamo ora comprendere, se già non lo avessimo fatto in precedenza, che le relative aziende non lo fanno per i bilanci trimestrali da presentare in borsa e/o ai consigli di amministrazione e/o per gli utili delle proprietà: no, lo fanno perché ci sono vicine. Questo punto avrebbe ben concluso il precedente a proposito della retorica (perché di questo si tratta), ma ho voluto evidenziarlo per la sua peculiarità nel prenderci in giro. Posso solo sperare di non sbagliarmi quando immagino migliaia e migliaia di persone sulle quali il messaggio abbia lo stesso effetto che ha su di me: cancellare immediatamente quelle aziende dalle mie intenzioni d’acquisto.
  6. Basta con le discriminazioni su chi muore nel mondo – per quanto mi riguarda, una morte è una morte e causa lo stesso dolore a coloro che sono vicini a chi se ne è andato: ovunque accada e chiunque ne sia vittima. Ma nel mondo occidentale non funziona così. Dall’inizio del contagio veniamo aggiornati quotidianamente a proposito del numero di morti con coronavirus in tutti i paesi del mondo ritenuti importanti dalla nostra cultura. Nessuno conosce il numero di morti causati dalle guerre in Siria, dove da anni muoiono bambini a migliaia (e quindi sono i genitori a seppellire i figli e non il contrario come sta avvenendo da noi); o in Libia o in altri Paesi africani dove si muore per denutrizione. Queste morti non ci fanno paura; non sono lontane solo per distanza, lo sono – molto di più – per mentalità: non ci creano senso di colpa e spesso le liquidiamo osservando che, in fondo, se la cercano perché sono molto indietro culturalmente (e pochissimi riflettono a proposito di chi vuole continuare a tenerli in quelle condizioni). L’uomo ha bisogno di guerre e conflitti (anche quelli di condominio); complessivamente egli ha assoggettato il mondo ai suoi voleri grazie all’ingegno ed alla volontà, capace di invenzioni mirabolanti che hanno migliorato progressivamente la sua permanenza sul Pianeta. Per contro, ha avuto un’evoluzione piuttosto scarsa relativamente alla sua natura. Siamo rimasti, di fatto, quelli di Caino e Abele, o di Romolo e Remo (non a caso due coppie di fratelli che si sono uccisi tra loro); sempre in lotta per affermare un potere, sia esso economico o semplicemente di supremazia sull’altro e sempre pronti a seguire qualcuno o qualcosa, meglio se difendendo ciò che rappresenta contro il buon senso.

Tutto ciò è uno sfogo dettato dal sentirmi privato della libertà e di non condividerne le motivazioni ufficiali. Se nel sostenere i miei punti posso aver offeso qualcuno, spero mi perdonerete, perché non ne avevo le intenzioni. Neppure è mia intenzione quella di passare per un uomo senza macchia e senza paura: di macchie sono persuaso di averne molte e per quanto concerne la paura sono certo di essere tra quelli più dotati. Credo in definitiva che si tratti solo di dare una priorità alle tante paure che ci creiamo ed in questo caso mi pare ci sia solo l’imbarazzo della scelta. Quando si ha paura può, con facilità, capitare di urlare e mi piacerebbe farlo ora: urlare che voglio scegliere il mio futuro, qualunque esso sia.

In questi giorni mi è capitato di ripensare all’Odissea ed a quello che ha sempre rappresentato per me: il parallelismo che collega “il viaggio” con la possibilità di imparare dai luoghi che vogliamo conoscere e da culture diverse; ma il viaggio verso Itaca non è, piuttosto, la metafora di un percorso durante il quale il suo protagonista, per quanto forte sia la sua volontà divina, sente, se vuole, di poter scegliere la sua strada?
Sente addosso la sua libertà.

NON E’ LA LIBERTA’ CHE MANCA. MANCANO GLI UOMINI LIBERI…”