Preoccupato dal fatto che scrivo su di un Blog di tifosi di calcio o, forse, proprio per questo, sento comunque il bisogno di scrivere questo sfogo che non avrà nessun peso, ma che mi alleggerisce di un peso che sento.

Il “busillis” è l’assemblea di Lega di ieri, rinforzato da un articolo della Gazzetta di questa mattina; la prima terminata con un avviso di possibile perdita di 720 milioni di euro dai bilanci delle società, con conseguente passaggio dell’informazione alla FIGC per una richiesta di aiuto da parte dello Stato italiano, il secondo con un suggerimento di ottenere almeno una parte di questi aiuti attraverso l’utilizzo del credito d’imposta.

Sono INDIGNATO (solo per utilizzare un vocabolo “pubblicabile”).

Ciascuno di noi, anche senza essere un “manager” altisonante, è obbligato a cimentarsi con il proprio bilancio familiare e sa perfettamente che non ha nessuna possibilità di spendere una cifra superiore a quella che gli entra e che, nel caso dovesse avere delle spese straordinarie non previste ma non rimandabili, dovrà armarsi di molta buona volontà e fantasia e ricercare le risorse che gli mancano ottenendo, se è fortunato, un prestito richiesto a chi potrebbe avere maggiori risorse (parenti, amici o altro), oppure un finanziamento (o mutuo) da parte di istituti di credito. In nessun caso potrà rivolgersi allo Stato. A ciò andrebbe aggiunto che il “manager” di casa propria, per quanto le sue finanze e le sue spese glielo consentano, provvede a risparmiare, se può, una parte delle sue entrate, proprio in previsione di coprire eventuali spese non previste.

Ho espresso sinora un concetto alquanto banale ma, nonostante questa banalità, questo non è quello che accade alle società della Lega di serie A.

Queste società hanno (direi meglio, credono di avere) nei confronti dello Stato due armi da giocare, che ritengono essere tutt’altro che secondarie:

  • L’importo che pagano allo Stato per i contributi degli ingaggi dei loro dipendenti (in primis ovviamente i calciatori);
  • I posti di lavoro generati fuori dal giro dei calciatori ed il famoso “indotto” generato dalle partite e che rappresenta, secondo stime “attendibili” (più o meno) circa l’1,7% del PIL nazionale;

Sembrerebbe quindi che, grazie a questi due aspetti, le società si sentano in diritto – quando le cose vanno male – di rivolgersi allo Stato con il cappello in mano; anzi, è peggio di così: non ci vanno con il cappello in mano, ci vanno con fare minaccioso, da una specie di “pulpito” che dice: o ci date una mano o salta la baracca, con tutto ciò che ne consegue e tu Stato dovrai prevedere di togliere dal tuo bilancio i miliardi di euro relativi a contributi nostri e di chi fa business grazie a noi.

Prima di entrare nel merito, ritengo corretto svolgere – umilmente – un minimo di divulgazione a proposito delle strutture societarie e di bilancio di queste “aziende”.

RICAVI – da dati ricavati dal Sole24 ore, i ricavi di soli diritti televisivi delle società sono di poco inferiori al miliardo di euro (garantiti con fidejussione, che vuol dire che, al netto di eventuali azioni legali che certamente SKY e DAZN faranno, quelli dovuti sino alla sospensione saranno incassati senza colpo ferire). Di questi, il 40% è diviso in parti uguali alle 20 squadre, il restante è assegnato con altre percentuali che tengono conto del “bacino di utenza” (ovvero il numero di tifosi) e dei titoli sportivi (ci sarebbe da scrivere a iosa solo su questo concetto). Gli altri ricavi derivano dagli incassi dello stadio (incluso gli incassi delle attività di vendita all’interno dello stesso), dal merchandising, dalla vendita dei calciatori, dalle sponsorizzazioni e dalle plus valenze (ovviamente per le società che partecipano alle coppe europee vanno aggiunti i ricavi relativi all'Uefa, gli incassi di queste partite ed eventuali premi di qualificazione).

COSTIIl più importante è il costo del lavoro (ingaggi di giocatori e staff tecnico, dirigenti, dipendenti della società a vario titolo, contributi). Altri costi sono relativi ai viaggi per le trasferte, ai fornitori delle attività di stadio e della produzione del merchandising, costi di marketing e pubblicità, all’affitto dello stadio (ovviamente a parte le società con stadio di proprietà, a meno che la proprietà dello stadio non sia in capo ad un'altra società del gruppo - ad esempio, un'immobiliare - che addebita comunque un affitto alla società sportiva), l’acquisto dei calciatori (con l’immissione a costo di eventuali prestiti chiusi in negativo), consulenze di vario genere e, last but not least, provvigioni ai procuratori e mediatori.

Per rimanere sul semplice, ne deriverebbe che ogni società dovrebbe fare una previsione dei suoi costi sulla base di quelli che sono i ricavi, ma questo non avviene.

Oltre le scritture di bilancio, utili solo per il deposito dello stesso, la realtà dei conti dice che tutte le società sono in perdita (e lo resterebbero anche se non ci fosse l’attuale sospensione delle attività) e che la perdita è legata essenzialmente ad una NON gestione realmente economica di tutti gli aspetti relativi all’acquisto / vendita dei calciatori e, nel caso delle società più importanti, al monte ingaggi pagato ai calciatori (aumento del valore del costo del lavoro). Ci sono “equilibrismi” e “gestione creativa” a proposito dei prestiti dei giocatori, del loro valore inserito a bilancio e delle plus valenze. Ci sono alcune società di piccole dimensioni più attente agli aspetti gestionali ma comunque insufficienti relativamente ad un andamento economico virtuoso.

Ripartendo dall’esempio del bilancio familiare, nell'ambito di una qualunque azienda vale la stessa logica: se ho bisogno di soldi devo rivolgermi a chi può darmeli. Le aziende di una certa dimensione (prima dell’emergenza) utilizzano lo Stato, se necessario, relativamente alla Cassa Integrazione; il credito d’imposta (come suggerito questa mattina dalla Gazzetta) dovrebbe avere precedenza di applicazione per le PMI, o per gli investimenti di miglioramento della sicurezza sul lavoro (ad esempio il bando INAIL) e credo sia un insulto, per un Paese sull’orlo di un baratro economico – oltre che sanitario – ipotizzarne l’uso per le società della Lega di Serie A, alle quali – a mio avviso – dovrebbe essere concesso il ricorso alla cassa integrazione SOLO relativamente ad impiegati ed operai al di sotto di una soglia di salario di una cifra comparabile a tutte le altre aziende.

Per eventuali altri bisogni, mi permetto di suggerire ai presidenti delle società quanto segue:

  • Crowdfounding: si rivolgano a tutti quelli che conoscono e raccolgano i fondi che servono offrendo in cambio una remunerazione di quanto raccolto nel medio periodo e come meglio credono;
  • Emissione di mini bond: ovvero parcellizzazione del debito e suo rimborso a piccoli investitori disponibili, sulla base di un business plan serio con durata di tre / cinque anni ed eventuale opzione di riacquisto dei mini bond a valori stabiliti o variabili sull’andamento del conto economico;
  • Ricerca di soci: cessione di quote dell’azienda a nuovi investitori;
  • Quotazione in borsa (ovviamente ad esclusione della Juventus, che già è quotata);
  • Accesso a credito bancario;

Il FPF impedisce di iniettare capitale alle proprietà delle società, se non a fronte di conti in ordine e comunque in proporzione ai ricavi, ma credo che di fronte all’emergenza qualche flessibilità si possa ottenere e comunque il limite imposto da questa norma non sarebbe sotto l’occhio dell’UEFA relativamente alle società non interessate alle coppe europee.

Sono solo alcune forme di finanziamento possibili per le aziende, nulla di creativo e/o di nuovo, migliaia di aziende in Italia si muovono quotidianamente in queste o altre direzioni; anche queste aziende danno soldi allo Stato attraverso i contributi sui salari e danno lavoro a milioni di persone. Accedono agli strumenti che lo Stato mette a disposizione (per lavoratori non milionari) senza neanche pensare che, ipotizzando un risultato negativo, sarà lo Stato a provvedere. Ed i padroni del pallone dovrebbero anche guardare alle decine di migliaia di piccole e medie imprese che in questo periodo si stanno chiedendo se avranno risorse sufficienti per riaprire al termine del disastro che stanno vivendo e, se lo faranno, sarà o perché avranno “del proprio” da mettere in azienda o indebitandosi nella maniera che potranno con gli immani sacrifici che ne conseguiranno; le attività commerciali ed artigiane, negozi, ristoranti, alberghi e tutto il settore del turismo, che già oggi sa che la stagione 2020 è andata. Anche queste aziende (perché comunque tali sono) versano contributi allo Stato e creano posti di lavoro.

Sarebbe prezioso che si riuscisse ad utilizzare questa situazione negativa in modo virtuoso: che parta un progetto di risanamento di tutto ciò che sta intorno al calcio, facendo tesoro di quanto avviene in altri paesi ed in altri sport con un indotto di business certamente non inferiore a quello della mitica “Serie A”.

  • Meno follie per l’acquisto dei calciatori e per i loro ingaggi;
  • Salary Cap, come negli USA (basterebbe la volontà, non è impossibile metterlo in pratica);
  • Ridimensionamento del ruolo e del potere dei procuratori;
  • Taglio del numero di squadre e, conseguentemente, del numero di partite;
  • Redistribuzione dei proventi dei diritti televisivi sul modello Premier (che di fatto, solo conseguentemente, aumenterebbe la competitività delle squadre medio piccole);
  • Managerialità vera in Lega, con priorità di miglioramento della vendita della Serie A nel mondo (e conseguente incremento delle entrate dei diritti televisivi provenienti da altri paesi).
  • Richiesta allo Stato italiano non di assistenzialismo, bensì di prestiti agevolati relativi esclusivamente alla costruzione di nuovi stadi o alla ristrutturazione di quelli esistenti (questo sì creerebbe posti di lavoro, oltre al valore aggiunto economico che porterebbe sia alle società, sia alle città nelle quali si lavorerebbe);

Inizialmente questo progetto potrebbe prevedere un ridimensionamento, magari per qualche anno non arriveranno giocatori alla Ronaldo o Lukaku o Ibra, ma si potrebbe costruire un programma di qualche anno che potrebbe portare la Serie A al livello di Premier e Liga fino a riprendere l’eventuale competitività persa.

Indipendentemente da tutte queste valutazioni, ed anche se nulla di tutto ciò avverrà (come è facile ipotizzare, vista la capacità strategica dimostrata dalla Lega), rimane oltraggioso, per questa nazione così provata dagli eventi di queste settimane e da ciò che accadrà all’economia del Paese quando l’emergenza sanitaria sarà finita, pensare che lo Stato possa elargire delle risorse ad un sistema che da sempre dimostra la sua attenzione “al piccolo orto dei propri interessi”: L’emergenza attuale è un’ulteriore prova, se ancora ce ne fosse bisogno, che questo Paese ha necessità di priorità oltremodo più elevate che il settore del calcio e che se i dirigenti di quel settore volessero davvero applicarsi al risanamento e ad un progetto di sviluppo avrebbero numerose opportunità che potrebbero esonerarli da una semplice richiesta di un contributo ed avviarli ad un circolo virtuoso di benessere.

Ma questo è un Paese dove si trovano strade privilegiate lastricate di scambi di favori che portano a compromessi utili alla politica ed alle innumerevoli lobbies esistenti e mai ai cittadini e dove molto spesso si parla di cambiamenti, ma sempre in “stile Gattopardo”. Ci ritroveremo con l'ennesima lotteria e/o gioco in cui una parte del ricavato andrà allo Stato ed una parte a sanare i debiti del calcio.




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