Ogni mondiale ha avuto il suo pallone. Ogni pallone ha scandito un’epoca, un pezzo di vita, una storia. Ogni pallone è come il mondo, gira e cambia. 
Basta scorrere la storia dei palloni usati nei Mondiali, per renderci conto di quanto si sia cambiato questo sport, di quanto si sia evoluto il mondo. 
Ogni pallone ha avuto un suo nome, perfettamente identificato e assolutamente identitario. 
Dalle generose cuciture degli anni 30 ai gioielli tecnologici del Qatar, la pelota ha mostrato le sue mille facce, ma non ha mai perduto la perfetta rotondità del suo essere, quella forma sferica che da sempre assicura il rotolio imbizzarrito, che solo piedi sapienti posson domare. 

Nei mondiali del  1930 era il pallone di cuoio grezzo con marcate cuciture nel mezzo: precisamente, una palla di gomma ricoperta da undici pezze di cuoio, saldate con una chiusura a stringa. È il pallone con cui l’Uruguay vinse  i mondiali in casa. In realtà, i palloni usati in quella finale furono 2: uno usato nel secondo tempo, scelto dagli uruguaiani, il T-Shape, fabbricato in Inghilterra; e quello voluto dagli argentini, utilizzato nel primo tempo, il Tiento, fabbricato in Scozia e ben più leggero del primo. A quel tempo, infatti, era prassi che il pallone venisse scelto dalle squadre e, non essendoci concordia tra i due contendenti, si addivenne a questo compromesso… appunto, proprio un altro mondo.                                                      Entrambi avevano comunque l’aspetto minimal ed essenziale del calcio di allora, tutto polvere, scarpacce e sudore.
Nel mondiale del ‘34, disputato in Italia, fu utilizzato il Il Federale102, prodotto dall’Ente Centrale Approvvigionamenti Sportivi (organo statale fascista). Somigliava vagamente a un pallone da rugby, aveva 13 pezze in cuoio di colore naturale, di forma poligonale. Tagliate a mano, erano cucite tra loro mediante morbidi lacci di cotone marrone, anziché con quelli più duri in pelle (in quei mondiali furono utilizzati anche altri palloni: Il Globe e lo Zig-Zag, di fabbricazione inglese). L’unico esemplare del Federale102 è oggi in Italia, grazie alla donazione del nipote di un ex dirigente della federcalcio ungherese, che lo aveva avuto in eredità dal nonno. È il pallone del duce, è il pallone con cui Pozzo, Meazza e compagnia cantante (maglia azzurra in onore della casa reale e stemma con la croce sabauda, cui era stato aggiunto il fascio littorio) conquistarono la prima coppa del mondo, allora chiamata coppa Rimet.
Mondiali francesi del ‘38: il pallone si chiamava Allen (dall’omonima azienda manifatturiera parigina che lo produce); in pelle bovina, formato da 13 pannelli, era simile al Federale102, ma più scuro e con pezze più regolari. Anche quei mondiali videro l’Italia di Pozzo sul podio più alto. 

Ditemi, chi non s’è mai armato di pompetta, ha tolto la valvolina dal pallone, gli ha infilato uno spillo di raccordo e ha cominciato a far su e giù col braccio, fino a quando anche l’ultimo pezzo di sfera acquisiva lentamente l’ampollosità agognata? Ecco, nei mondiali brasiliani del 1950 fece la sua apparizione il primo pallone “gonfiabile”. Si chiamava Duplo T, prodotto dalla Superball. Formato da 12 pannelli identici, fu il primo pallone a non avere lacci sul rivestimento esterno in pelle bovina marrone ed era, per l’appunto, anche dotato di una valvola per gonfiarlo tramite una pompa. È il Duplo T che l’uruguaiano Ghiggia spedì alle spalle di Barbosa, scrivendo la tragedia del Maracanazo. Una tragedia vera, mica solo sportiva. Quando l'arbitro George Reader fischiò la fine, sugli spalti calò un silenzio spettrale, non ci fu nessuna premiazione, qualcuno si portò via il pallone e sugli spalti, decine di persone vennero colte da infarto (ci furono una decina di morti, il numero non è certo) e due spettatori si suicidarono gettandosi dalle tribune (alla fine sarebbero stati certificati 34 suicidi e 56 morti per arresto cardiaco in tutto il paese). "A pior tragédia na história do Brasil", che da quel funesto giorno decise di cambiare anche i colori, abbandonando la maglietta bianca con colletto blu, pantaloncini e calzettoni bianchi, per passare poi gradualmente al verdeoro dei nostri giorni. Tutta colpa del Duplo T e della sua improvvida decisone di darsi del tu, quel pomeriggio del 16 luglio del 1950, con Alcides Edgardo Ghiggia.

18 pezze, colore giallognolo, prodotto nel ‘54 d’alla società elvetica WorldCupBalls, per il mondiale nella terra della cioccolata e degli emigranti italiani. Swiss World Champion era il suo nome, fu l’attrezzo con cui la Germania ovest fabbricò il suo primo successo mondiale, battendo in finale niente poco di meno che la fortissima Ungheria (denominata “la squadra d’oro”). Una finale dal sapore fortemente politico. Soffiando sul fuoco delle polemiche per l’arbitraggio e dei dubbi sul doping, le autorità dell'Ungheria comunista denunciarono un vero complotto del mondo occidentale, elevando la linea di centrocampo a cortina di ferro tra est e ovest.  La grande guerra era finita da un po’, il mondo occidentale si avviava verso il boom economico, quello orientale era sotto il gioco sovietico e di boom aveva solo il frastuono  di qualche attentato, la tv era ancora privilegio di poche case che si concedevano generosamente trasformandosi in piccoli stadi domestici, per le strade si cominciavano a vedere partitelle col pallone giallo del mondiale; pare che la Swiss World Champion ne dovette raddoppiare la produzione inizialmente prevista. 
Nel ‘58 i mondiali si disputarono in Svezia, Il pallone utilizzato fu il Top Star. Venne usato in due versioni, una bianca e una gialla, aveva 24 pezze. Un pallone abbastanza anonimo (venuto fuori da una specie di concorso indetto dalla FIFA), se non fosse che è stato il pallone della consacrazione del più grande giocatore della storia. Edson Arantes do Nascimento, in arte Pelé, con quel pallone tra i piedi conquistò i primati di più giovane marcatore in un mondiale e più giovane campione del mondo della storia (a 17 anni e 249 giorni). E se non fosse che il francese Just Fontaine lo mise alle spalle dei portieri avversari ben 13 volte, record assoluto per un singolo Mondiale. 
Quello del 1962 è il mondiale cileno del Crack, primo modello in parte realizzato con pezze esagonali. Il pallone non ebbe molta fortuna, aveva il difetto che l’acqua si infiltrava attraverso le cuciture e lo rendeva sempre più pesante. Non abbastanza pesante per le gambe danzanti del Brasile, che si aggiudicò anche quella edizione.
Nel ‘66, in Inghilterra, il pallone cominciò ad assumere diverse colorazioni. È il mondiale del Challenge 4-Stars, composto da 25 pezze regolari, senza segni o marchi e utilizzato in varianti di tre colori (bianco, giallo e arancio). Fu prodotto dalla Slazenger. È l’Inghilterra dei Beatles, di Eusebio e di Bobby Moore. E del Challenge 4-Stars, un po’ new generation anch’esso. È il pallone preferito del portoghese Eusebio (devo a lui il mio nome), che si laureò capocannoniere di quel mondiale con 9 reti. E tanto caro fu pure agli inglesi, che vinsero il loro unico mondiale. 
Nel 1970 iniziò il regno incontrastato di Adidas, che invase i mondiali, i negozi di mezzo mondo e le nostre giornate di sport con gli amici. Fu della multinazionale tedesca il Telstar Durlast, prodotto unicamente in bianco e nero per essere meglio visibile in televisione; segno evidente che l’era del calcio come prodotto prevalentemente televisivo stava per cominciare. Fu il primo pallone con il disegno, appunto, a pentagoni neri su fondo bianco, realizzato cucendo insieme 32 pannelli di cuoio (12 pentagoni e 20 esagoni), per rendere più precisa la forma sferica. Il nome Telstar deriva dai primi due satelliti per telecomunicazioni, lanciati in orbita nei primi anni Sessanta.

E siamo al Tango. Sua maestà, il tango! Scusate se mi esalto, ma quando arrivava al campetto Filippo, col Tango sottobraccio, era una gioia; costava un botto, evidentemente il buon Filippo se la passava bene. Argentina ‘78: spunta un pallone Adidas bianco e nero composto da 32 pannelli cuciti a mano (12 pentagoni e 20 esagoni), che creavano un disegno di dodici cerchi uguali. Un design che ispirò i palloni che vennero dopo. Un tocco di vera classe manifatturiera, per un triste mondiale di calcio, disputato in casa del dittatore Videla e dei poveri decaparecidos. “Il mondiale della vergogna”, qualcuno lo definì; un mondiale che doveva servire al dittatore come strumento di propaganda, ma che accese un riflettore sul dramma degli argentini. Le polemiche, infatti, furono fortissime e tenaci furono, ancorché vani, i tentativi di boicottaggio. Ad ogni modo, la storia dice che il mondiale si disputò, l’Argentina di Mario Kempes lo vinse e il mio amico Filippo ci fece divertire un mondo col suo Tango … olè!   
Il pallone “argentino” ebbe talmente successo, che Adidas lo ripropose per i campionati del mondo del 1982, in Spagna (e poi ancora oltre): è il Tango España. Questo pallone fu una versione avanzata di quello precedente, resa più impermeabile, così che non diventasse più pesante sotto la pioggia; per ottenere ciò, si ricorse alle cuciture gommate. I cambiamenti tuttavia non si rivelarono sostenibili, perché quando le cuciture apparivano danneggiate, i palloni dovevano essere sostituiti. Il Tango España segnò così la fine dell’era del pallone di cuoio. Paolo Rossi ci segnò 6 gol e noi  diventammo i “campioni del mondo, campioni del mondo, campioni del mondo”. 
Nel 1986 abbiamo l’Azteca, il primo pallone ufficiale dei Mondiali realizzato in materiale sintetico al 100%. Si giocava in Messico. Sotto il profilo estetico, fu contraddistinto da disegni riguardanti la cultura azteca. Fu un pallone che ha fatto la storia. È il pallone con cui Diego Armando Maradona scavalcò il portiere dell’Inghilterra, Peter Shilton, siglando il famigerato gol della mano di Dio.
Ed è il pallone...
“La va a tocar para Diego, ahí la tiene Maradona, lo marcan dos, pisa la pelota Maradona, arranca por la derecha el genio del fútbol mundial, y deja el tercero y va a tocar para Burruchaga... Siempre Maradona! Genio! Genio! Genio! ta-ta-ta-ta-ta-ta... Goooooool... Gooooool... Quiero llorar! Dios Santo, viva el fútbol …Golaaaaaaazooooooo! Diegooooooool! Maradona! Es para llorar, perdónenme ... Maradona, en una corrida memorable, en la jugada de todos los tiempos ... barrilete cósmico... de qué planeta viniste? Para dejar en el camino a tanto inglés! Para que el país sea un puño apretado, gritando por Argentina! ... Argentina 2 - Inglaterra 0... Diegol, Diegol, Diego Armando Maradona... Gracias Dios, por el fútbol, por Maradona, por estas lágrimas, por este Argentina 2 - Inglaterra 0…”                        È il gol più bello della storia del calcio: Diego prende palla a centrocampo, si beve mezza Inghilterra, supera pure il portiere e vendica le Malvinas. 

Poi arrivarono le notti magiche, inseguendo un gol, sotto il cielo di un’estate italiana. Siamo all’alba dei favolosi anni ‘90, all’alba del sogno di Totò Schillaci. Etrusco Unico e Totó si amarono ala follia. Il primo aveva una grafica dominata da teste bianche di leone etrusco, Schillaci aveva gli occhi spiritati della tigre. Ma questa chimica non bastò all’Italia, che perdette  la semifinale ai rigori con l’Argentina (che poi perderà la finale contro la Germania). Io avevo 16 anni e vissi la prima delusione d’amore e la più grande delusione calcistica. 
Usa 1994, ci fu il Questra, la sua grafica richiamava elementi spaziali: le stelle evocavano la bandiera degli Stati Uniti, i pianeti la pervicace corsa allo spazio, di cui gli USA continuavano a inseguire il dominio. È il pallone che Roberto Baggio, nella finale persa contro il Brasile, spedì, dal dischetto, sopra la traversa e poi fin su, nello spazio ignoto. Costruito con cinque materiali diversi, tra cui il polistirolo espanso, il pallone fu reso da adidas più impermeabile, più leggero e più reattivo... potevano dirlo a Baggio! 
Francia 1998: il pallone si chiamava Tricolore e aveva gli stessi colori della bandiera francese: blu, rosso e bianco. Fu il primo pallone a colori della storia, rivoluzionario, quindi, come la terra che gli ha dato i natali. Quel mondiale lo vinsero i padroni di casa. 
Nel nuovo millennio, le mode cambiano, cambia il calcio, cambiano i palloni. 
Nei mondiali di Giappone e Corea del Sud del  2002 rotolava tra le gambe del Fenomeno (capocannoniere) il Fevernova: il primo pallone a distanziarsi della grafica del Tango dopo 24 anni; leggermente dorato e senza reticoli disegnati. Un pallone che ha immediatamente dato una sensazione di grande leggerezza, regalando nuove traiettorie a un calcio che si rinnovava rapidamente, ma facendo anche storcere il muso a diversi calciatori. Il Fevernova si ispirava al dardo nipponico "shuriken", presentando un triangolo grigio bordato d'oro con dettagli in rosso.
In Germania nel 2006 la truppa di Marcello Lippi si ritrova tra i piedi il Teamgeist e la storia ci dice che seppero prenderlo a calci a dovere. Le pezze vennero ridotte a 14, incollate termicamente, anziché cucite, con una combinazione armoniosa di motivi pentagonali, esagonali e forme rettangolari. L’Università di Loughborough, che lo sperimentò in alcuni test, disse che avrebbe migliorato la precisione dei giocatori e il loro controllo del pallone. Per la finalissima tra Italia e Francia, Adidas ha creato una versione speciale in oro, il Teamgeist Berlin. Siamo alle porte della grande crisi economica, che sconvolgerà il mondo, eppure quel mondiale registrò cifre record sul piano economico, grazie sopratutto ai diritti televisivi e ai proventi da internet. 
Sudafrica, anno 2010, estate del waka-waka e del pallone Jabulani. Completamente senza cuciture, secondo diversi giocatori le sue traiettorie erano troppo imprevedibili. Presentava un design minimalista, era composto da otto pannelli termosaldati e predisposti in maniera sferica. Sulla superficie c’erano 11 colori, che rappresentavano gli undici calciatori di una squadra e le 11 comunità sudafricane nelle loro lingue, e 4 triangoli, che richiamavano il disegno dello NB Stadium di Johannesburg, dove si disputò la finale, vinta dalla Spagna. In quella finale venne adottata un’edizione speciale in oro del pallone ufficiale, chiamata Jo’bulani, dal nome della città in cui si giocò il match decisivo, Johannesburg.
Dal Sudafrica al Brasile, dove venne utilizzato il Brazuca (che in diversi dialetti del posto vuol dire “brasiliano”): solo sei pezze e superficie ruvida, era coperto da piccole protuberanze di poliuretano che imitano l’effetto delle cuciture su un tradizionale pallone a 32 pezze. Fu un pallone molto più stabile del suo predecessore. E molto più costoso (come tutto il mondiale). Il design del pallone richiamava i braccialetti portafortuna molto popolari in Brasile di colore verde, blu e rosso; ma non portò affatto fortuna ai padroni di casa, che subirono la più pesante sconfitta della loro storia (7-1 dalla Germania). Come nei due tornei precedenti, Adidas ha creato un'edizione speciale con linee curve dorate per la finale: il Brazuca Final Rio. Finale vinta dalla Germania. 
Nel 2018, il pallone dei mondiali russi si chiamava Telstar18. Fu la rivisitazione del primo pallone. realizzato da Adidas per il Mondiale 1970 in Messico. Il disegno riproponeva una stampa metallica unita ad un effetto texturizzato. Telstar18 è stato utilizzato nella fase a gironi, mentre il Telstar Mechta, con inserti rossi, è stato introdotto per le sfide a eliminazione diretta; la parola russa Mechta si traduce come “sogno” o “ambizione”. A saperlo prima, quale fosse l’ambizione del russo ….

E arriviamo ai giorni nostri, al mondiale in Qatar, appena vinto dall’Argentina di Leo Messi. Fino a quarti di finale sui campi qatarini abbiamo visto il Al Rihla, che in arabo vuol dire “diario di viaggio”: una sfera principalmente bianca con sfumature blu, rosse e gialle. Sostituito poi da Al Hilm, che in arabo significa il sogno. Sono due palloni super tecnologici, così come si è premurata di spiegare la FIFA: “La nuova tecnologia combina l’intelligenza artificiale con i dati forniti dall’unità di misura inerziale situata al centro del pallone. Essendo collegata al sistema semiautomatico di rilevamento del fuorigioco, consente di verificare l’esatto momento in cui la palla viene giocata anche in distanze minime di offside”…. Speriamo solo di non arrivare a un pallone telecomandato da un drone. 

To be continued…