A me egli ascolti non me ne frega più niente, tutto quello che dovevo fare l’ho fatto. Ho condotto Stop And Go il sabato pomeriggio su Rai2, con ascolti bassi, perché mi piaceva raccontare la mobilità sostenibile. Poi cambiano le direzioni, cambiano le linee editoriali e va rispettato. L’ho fatto a RaiSport, l’ho fatto per la rete. Certo, la differenza è che con i dirigenti Rai attuali si può parlare, mentre con i precedenti non ho mai avuto la fortuna di farlo. Mi hanno tolto le trasmissioni e l’ho scoperto dai giornali
Marco Mazzocchi.

No, non sono l’avvocato difensore di Marco Mazzocchi e non ho in programma di fondare un Mazzocchi fan club. 

Ho solo voglia di dare il bentornato a un volto della televisione sportiva a cui c’eravamo abituati con quella affezione ch’è figlia della quotidianità; e di sottolineare come la Rai lo abbia “inspiegabilmente” tenuto lontano dalle telecamere per un bel po’.

La Rai, sì. La Radio Audizioni Italiane, poi diventata Radio Televisione Italiana. Italiana, pubblica, nostra. 

Viva la Rai, cantava Renato Zero, ma forse è lontano il tempo in cui il Maestro tesseva le lodi della nostra Televisione. Forse non ci sono più tanti “geni che lavorano solo per noi”, se è vero, com’è vero, che un professionista serio e competente come Marco Mazzocchi sia stato tenuto per anni in naftalina. E non se ne comprende il motivo o forse sì. Forse il motivo è talmente evidente e a portata di mano che neanche ci facciamo più caso, appartiene alle cose della normalità del nostro anormale Paese. 

Un Paese che per anni ha fatto la morale a un imprenditore - pace all’anima sua - che possedeva tre televisioni e faceva politica, mentre nulla mai dice su un’azienda pubblica, non solo stra-politicizzata e troppo spesso a tali fini utilizzata, ma anche monopolizzata da chi, nei diversi momenti, ne tiene le redini e ne detiene il potere.

Qualcuno dirà: ma che c’entra Mazzocchi con tutto questo? C’entra, eccome.  Zero in questo era stato piuttosto profetico: “dipende dal funzionario Rai”; e non solo.

Mazzocchi torna in tv e ne siamo tutti felici, ma la ferita di un esilio forzato, apparentemente (solo apparentemente) immotivato, resta aperta e la consapevolezza, o anche solo il sospetto, che tutto ciò sia stato generato da un intento proscrivente ci lascia dell’amaro in bocca e ci fa riflettere su quanto quella Televisione, in realtà, poco ci appartenga. 
Il fatto è proprio questo: che la Rai non ci appartiene veramente. Fa servizio pubblico solo quando quest’espressione Le fa comodo, piuttosto fa e disfa ciò che fa comodo “ai capoccioni” di Viale Mazzini e della politica.

Basta un dirigente ostile o una ventata politica che soffi da tutt’altra direzione e il Marco Mazzocchi di turno resta a casa. 
Lui che per anni aveva calcato dignitosamente gli studi di Rai sport, senza mai indugiare in sbavature, senza mai arroccarsi su prese di posizioni, senza mai farsi prendere la mano dai litigiosi moti del teleschermo, senza mai farsi trascinare dalle urla e senza mai, bisogna dirlo, incappare in trasmissioni flop, di quelle in cui spesso ci s’imbatte quando il dito pigia sui primi numeri del telecomando. Sempre attento, sempre professionale, sempre lucido e imparziale, sempre al servizio della “verità sportiva”, un comunicatore sempre responsabile. E sempre tra le braccia di “mamma Rai,” quella che non ci dovrebbe “abbandonare mai, sennò guai”, ma che ha abbandonato uno dei suoi figli migliori, nati e cresciuti tra quei microfoni, quelle telecamere, quegli studi.

Figlio d’arte - papà Giacomo per molti anni è stato il telecronista di atletica per TMC - è in Rai dal 1988, prima come collaboratore poi, a partire dal 1993, come dipendente. Novantesimo minuto, la Domestica sportiva, Il processo del Lunedì, Quelli che il calcio, i programmi sui Mondiali di calcio, sugli Europei, sulle Olimpiadi; e ancora, documentari, come “Yukon Quest: sulle tracce di Zanna Bianca” o come quello sul K2, dedicato all'alpinista Stefano Zavka deceduto durante quella stessa spedizione, oppure quelli dedicati a Johan Crujiff e a Paolo Rossi; poi, i Giri d’Italia e il Tour de France, il rugby, i campionati del mondo di nuoto, gli ATP Finals di tennis; per non parlare delle sue partecipazioni a trasmissioni di intrattenimento, come Pechino Express o l’Isola dei famosi. Insomma, un professionista a tutto tondo, ma evidentemente dalla schiena troppo verticale per i gusti di qualcuno. 
Un narratore di storie, senza eccessivi personalismi e con un linguaggio mai piegato ai like, semmai al rigore del racconto e al “peso semantico” d’ogni singola parola. Un raccoglitore didascalico di immagini, col sorriso ironico di chi è consapevole che lo sport è, deve essere, leggerezza. 

E allora, Perché? Perché, mamma Rai? Perché lo hai messo in castigo? Di quale marmellata si sono sporcate le sue dita? Era marmellata? Non sarà che ha leccato solo le sue dita? Sarà mica questa la colpa? 
Ma per fortuna a volte ritornano. 

Mazzocchi ritorna, su Rai 2, il venerdì sera, in seconda serata, a parlare di calcio e di sport a modo suo. A suo piacimento, sì, ma onestamente, con la sobrietà di chi non sente il bisogno di sgomitare (parole sue), con la disinvoltura di chi non ha memoria delle ingiurie (parole di Seneca), con la solarità di chi è sempre stato sicuro Rossella non si sbagliasse, che prima o poi ci sarebbe stato un altro domani, un altro giorno.

Tuttavia, l’ombra rimane, non solo su quanto sia successo col giornalista romano (che comunque non è il primo e probabilmente non sarà neanche l'ultimo), ma sulla stessa azienda di Stato, che ogni giorno entra nelle nostre case, c’intrattiene, c’informa, approfondisce, fa compagnia ai nostri anziani, educa i nostri figli.
Ma se sono queste le dinamiche, se oggi un giornalista sportivo, ieri un comico “fazioso”, domani magari un opinionista scomodo, vengono ostracizzati perché “non allineati” … non siamo tanto lontani dai tempi dell’Istituto Luce. 

E sì, Renato, sì che lo “paghiamo questo abbonamento”, del resto noi italiani ci abbiam fatto il callo con le tasse che non producono servizi o non li producono come dovrebbero.
Anche quando racconta lo Sport, la Radio Televisione italiana avrebbe il dovere di rendere un servizio e fare solo quello. 
Lo sport è passione, è socialità anche per chi lo guarda, per molti è fede, per molti altri è mera informazione, per alcuni è lavoro, per altri ancora è solo svago. Perciò, coloro che ne sono deputati alla rappresentazione (telecronisti, commentatori, giornalisti, opinionisti, eccetera), se lo fanno da un qualsiasi “canale Rai” devono farlo secondo i soli principi di professionalità, competenza, onestà intellettuale, moralità, ed imparzialità. 

Quel microfono “pubblico” è un privilegio, certo, ma comporta delle enormi responsabilità. Chi fa servizio pubblico ha il dovere di non oltrepassare, neppure di un millimetro, il recinto della compostezza e della misura; chi fa servizio pubblico deve camminare sul sentiero, valoriale e concettuale, segnato dallo Stato; chi fa servizio pubblico deve spersonalizzarsi, rendersi neutro, spogliarsi completamente delle proprie idee, pulsioni, concezioni o sensazioni ed essere, sic et sempliciter, strumento appannaggio della collettività.

Tutti principi e fondamenti che non sono mai venuti meno nel lavoro di Marco Mazzocchi (smentitemi pure, se mi sono perso qualcosa). 
La sua nuova trasmissione si chiama “A tutto campo”: certo, un titolo più originale potevano sceglierlo, ma ci accontentiamo lo stesso, basta che ci sia lui, basta che Mazzocchi torni e faccia il Mazzocchi. Basta che la Rai faccia servizio pubblico e non faccia “capricci”.

Lui non deve piacere a tutti i costi e non può piacere a tutti. Lui non deve fare audience a tutti i costi e non può farlo sempre. Lui non deve stare simpatico al “direttore” a tutti i così e non può stare simpatico a tutti. Lui non deve essere politicamente schierato a tutti i costi e non può esserlo per tutti i “gusti”. Lui deve fare servizio pubblico, lo deve fare a tutti i costi. Se lo fa e viene messo in panchina per anni… “ahi ahi ahi, non me gusta”.

Viva la Rai. E viva l’Italia!

Ho cominciato questo articolo con un virgolettato, voglio finirlo con un altro, del compianto Franco Battiato, altro grande cantautore: “Non voglio sentirmi intelligente guardando dei cretini, voglio sentirmi cretino guardando persone intelligenti”. Cretino o no, venerdì sera guarderò la tv e avrò la certezza che dall’altra parte dello schermo ci sarà una persona intelligente, a parlarmi di calcio e di sport. 

Bentornato, Marco Mazzocchi.