Lo stupro è l'azione più bestiale che un essere umano possa compiere e va perseguito e condannato, con durezza e prontezza.  Senza se e senza ma!  

Reggiana - Cremonese: quinta giornata del campionato di serie B. Al 23’ Manolo Portanova raddoppia per i padroni di casa. 

Un gol davvero meraviglioso che mette a tacere le polemiche, anche se poi ricordiamo che tra qualche mese ci sarà l’appello del processo a Firenze, per stupro di gruppo … Non lo volevano in tanti, soprattutto le tifose della Reggiana e invece gli ultrà lo volevano eccome, ed è andato a festeggiare proprio sotto la curva granata il suo primo gol in campionato”.

Certo, il radiocronista ha sbagliato, è stato capace di commettere una serie infinita di gaffe (voglio definirle tali), tutte contenute in poche frasi. Ma qui il problema di fondo è un altro: è il rapportarsi della società col fatto che un condannato non in via definitiva per stupro sia libero di giocare, esultare, guadagnare, magari stuprare ancora ...

Deve esserlo! È la legge, è il nostro ordinamento, é la nostra democrazia.

Ma evidentemente Portanova è già stato condannato, con sentenza dell’opinione pubblica passata in giudicato, prima d’ogni grado di giudizio e di giustizia. E questa è la morte della civiltà! È dove finisce un Paese civile e comincia la dittatura della pancia. 
E vi prego, non ditemi che conta solo ciò che ha passato quella povera ragazza, perché sarebbe qualunquismo puro. Fatti così esecrabili vanno perseguiti e puniti, su questo non ci piove. Ma va fatto nei modi, nelle forme e secondo le regole stabilite dal nostro ordinamento. Non è più tempo di giustizieri e cavalieri senza macchia che si sostituiscono alla legge e ai suoi giudici. E delle gogne, più o meno mediatiche, ne abbiamo fin sopra le teste. È tempo di un sistema giudiziario equo, garantista e che funzioni. 

Fatti gravissimi, certo, a cui sarebbe altresì grave, tuttavia, rispondere con improntitudine, d’istinto. 

Il fatto in questione avvenne nella notte fra il 30 e il 31 maggio del 2021, a Siena.  Secondo la ricostruzione effettuata durante le indagini, la studentessa, presunta vittima, si sarebbe appartata con Portanova, trovandosi, però, poco dopo di fronte ad altri tre soggetti (lo zio del calciatore, il fratello diciassettenne del calciatore e un amico del calciatore). Il giocatore si è difeso sostenendo che il rapporto era stato consenziente, ma la ragazza, successivamente al fatto refertata in ospedale, aveva avuto una prognosi di un mese, oltre a problemi psicologici dovuti al trauma. 
Ha detto: “Quando mi sono vista quei ragazzi in camera, che volevano avere un rapporto sessuale con me, ho detto chiaramente loro che dovevano andare fuori dai c…".  Subito dopo la denuncia, intorno ai primi di giugno 2021, Portanova era stato messo agli arresti domiciliari. Un provvedimento restrittivo che era stato poi revocato all’inizio del luglio scorso, allo scopo di permettere a Portanova di effettuare le visite mediche a Genova (allora giocava per i rossoblu), in vista della partenza per il ritiro estivo.
L’indagine è andata avanti, nel marzo scorso è stato chiesto il processo. Il 25 luglio scorso la giovane era stata sentita per oltre sette ore con la formula dell’incidente probatorio, confermando tutte le accuse mosse al giocatore e agli altri soggetti presenti quella notte. Nel frattempo, Portanova, in accordo col suo legale, aveva scelto di essere giudicato con il rito abbreviato, sino ad arrivare alla prima sentenza.

A Manolo Portanova auguro anni di dura galera, se ha commesso ciò che gli viene addossato e riconosciuto da quella prima sentenza. Ma è una prima sentenza, non è la verità processuale, cioè l’unica che un Sistema compiuto, come il nostro, può e deve perseguire (alla verità di Dio ci pensa Dio e la coscienza). Ed è una verità che può cristallizzarsi solo ed esclusivamente al terzo grado di giudizio, cioè in Cassazione (a meno che nei gradi precedenti non si rinunci ad appellarsi alle sentenze ivi emesse).

Piaccia o no, dispiaccia o meno, è così. Ed è giusto che sia così! 

La presunzione d’innocenza è uno dei capisaldi del nostro ordinamento, è l’altare necessario del garantismo sui cui sacrificare legittima rabbia e inevitabile desiderio di giustizia immediata, è l’antidoto al veleno del giustizialismo e della sommarietà che altrimenti ammorberebbe i pozzi d’una democrazia compiuta. Piaccia o no, la presunzione d’innocenza è libertà e garanzia. Perciò va difesa, senza se e senza ma. Va difesa contro i giudizi sommari, le condanne mediatiche, i processi di piazza, i patiboli del colpevolismo, contro le allusioni, le facili conclusioni, le etichette aprioristiche. Va difesa contro una radiocronaca, che è stata aberrante e che non può, non deve rimanere impunita.

Portanova ne è stato vittima e perciò va difeso, anche lui; non perché non sia riprovevole, per non dire schifoso, ciò che ha fatto, ma semplicemente perché non è ancora detto che l’abbia fatto o che l’abbia fatto nei termini ipotizzati dall’accusa.

E comunque non va difeso Portanova (a quello pensa il suo avvocato), va difeso il principio; un principio che è solido, e tale rimane, solo se vale per tutti indistintamente, anche per i tanti che (probabilmente a differenza del calciatore) innocenti lo sono per davvero, nonostante subiscano sentenze di condanna. Magari non sarà questo il caso (non voglio e non m’interessa entrare nel merito), ma la storia del nostro Paese, e del mondo intero, è piena zeppa, non solo di errori giudiziari, ma anche di condannati da opinione pubblica e prime sentenze, poi infine assolti. A questo servono i 3 gradi di giudizio: a condannare o assolvere un individuo oltre ogni ragionevole dubbio e solo alla fine di un iter  (però troppo lungo) che garantisca il massimo dell'equità e trasparenza; un impianto processuale che non avrebbe alcun senso senza la presunzione di innocenza. 

Per questo, anche Portanova ha il diritto di godere di detto principio. Lo so, è un principio difficile da digerire, ma rappresenta un valore assoluto di equità del giudizio. 

Un giudizio che, in modo del tutto iniquo, ha già formulato il radiocronista di Tutto il calcio minuto per minuto, Nicola Zanarini, proferendo parole scomposte, per di più dai microfoni della Radio che fa servizio pubblico; parole di cui lo stesso si è scusato, quanto basta per non mettergli la croce addosso, ma bene ha fatto la Rai ad avviare una procedura disciplinare, perché quel microfono “pubblico” comporta comunque delle enormi responsabilità.
Chi fa servizio pubblico ha il dovere di non oltrepassare, neppure di un millimetro, il recinto della compostezza e della misura; chi fa servizio pubblico deve camminare sul sentiero, valoriale e concettuale, segnato dallo Stato e le sue leggi; chi fa servizio pubblico deve spersonalizzarsi, rendersi neutro, spogliarsi completamente delle proprie idee, pulsioni, concezioni o sensazioni ed essere, sic et sempliciter, strumento appannaggio della collettività.

Il cronista qui compie una specie di miracolo al contrario, sottolineando un fatto gravissimo e quasi giustificandolo banalmente un attimo dopo. Parafrasandolo: “ll calciatore sotto processo per stupro fa gol e, femmine reggiane a parte, mette le cose a posto”. Ora, sono consapevole che è forse una parafrasi parossistica e voglio pensare che il giornalista non avesse alcuna intenzione di elaborare pensieri simili. Ma le parole sono pietre, specie se fiondate da postazioni radiofoniche Rai. 

Chi ha simili responsabilità non può mescolare il calcio a una vicenda dai tratti così eticamente e socialmente delicati e dai possibili, gravi risvolti penali. Non può giudicare Portanova mentre commenta un gol, e lui lo ha fatto perché il solo sottolineare la vicenda equivale all’emissione di un giudizio; è come appiccicargli addosso un’etichetta, che comunque lui ha già, ma che non spetta al servizio pubblico cementificare, imprimerla a vita come una lettera scarlatta sul petto. E, peggio ancora, non può neanche lontanamente immaginare, (figuriamoci, dirlo) che un gol metta a tacere le polemiche. Un gol non può mai cancellare quello che è successo. Rectius, quello che sarebbe successo.

Insomma, pur volendo credere nella buona fede del commentatore, non si può perdonare il commento. Non si può accettare il giudizio, prima che venga emesso l’unico deputato a stabilire la verità, perché, quale che sarà questa verità, quello è un pre-giudizio ed è per ciò stesso, infamante.

Un giudizio lo hanno ormai definitivamente emesso le donne di Reggio Emilia, che hanno fermamente contestato la scelta d’ingaggiare il giocatore (che rimane di proprietà del Genoa) e che, a detta del radiocronista, non hanno esultato al gol di Portanova. Comprensibile da parte loro, ci mancherebbe. Il sentimento delle donne, specie in un momento storico come questo, di altissima attenzione verso il problema delle violenze ch’esse subiscono, non può che essere d’integrale fermezza e cieca avversione. Ma è, appunto, un atteggiamento integralista e cieco, per quanto comprensibile, financo ammissibile da parte di chi è vittima. E integralismo e cecità non possono, in alcun modo e per nessuna ragione al mondo, fare rima con giustizia, un ordinamento democratico non può improntarsi né all’uno né all’altra.

In mezzo, poi, ci stanno le società, il Genoa, la Reggiana: a cui invece va il mio plauso, perché ci vuole coraggio ad ingaggiare e far giocare Portanova, in una situazione ambientale difficile ed eticamente disagevole, come questa; ma lo fanno, perché secondo le nostre leggi (ripeto e lo ripeto, piaccia o non piaccia), Manolo Portanova è un cittadino libero e innocente, come tutti gli altri. E perciò, va ingaggiato e va schierato.

E non va sommariamente giudicato, per quanto ciò metta tutti noi - me compreso - davanti alla nostra coscienza, per quanto ciò c’inchiodi al muro della nostra legittima rabbia e bramosia di giustizia, per quanto tutti noi siamo costretti a rassegnarci, ancora una volta, al fatto che un presunto stupratore sia libero di giocare, esultare, guadagnare, magari stuprare ancora … Sì, perché ci vogliono anni prima che quella presunzione diventi verità processuale.

Ecco qual è, a mio sommesso avviso, il vero nocciolo della questione: il nostro sistema processuale.

Io non ce l’ho con Portanova (non ancora), non c’è l’ho col radiocronista, non ce l’ho con la Reggiana.  Ce l’ho col nostro sistema processuale, che sull’altare del sacrosanto garantismo sacrifica la giustizia, costringendola a tempi lunghi.  Tempi biblici, che condannano a una condizione di sospensione angosciosa gli imputati, le vittime e tutto ciò che gira intorno a loro. Il processo dev'essere finito nel più breve tempo possibile - scriveva Beccaria -  Qual più crudele contrasto che l’indolenza di un giudice e le angosce d’un reo?”. Presunto reo! E Portanova (che ha scelto il rito abbreviato) presunto lo sarà almeno per un altro paio d’anni, tempo durante il quale, ripeto, per la giustizia ordinaria e anche per quella sportiva, lui potrà giocare, esultare, guadagnare, magari stuprare ancora. Un’eternità!

Non c’è reato più indegno dello stupro e pensare a quella ragazza soggiogata dai suoi aguzzini mi fa ribrezzo. Ma che esso sia stato commesso e che sia stato qualcuno a commetterlo deve stabilirlo - però in tempi brevi - un giudice, non la nostra rabbia, non il nostro ribrezzo, non la nostra pancia (e nemmeno un giudice in primo grado, se alla sua decisione ci si appella).  

Quello era il medioevo, quando presunte streghe venivano arse vive; era la lapidazione di una prostituita su cui il popolo inferocito scagliava la propria indignazione; era la santa inquisizione; è la repressione perpetrata degli autoritarismi d’ogni epoca.

Non è, non può essere la giustizia di un Paese democratico, evoluto e civile come il nostro. Anche se questo vuol dire pagare l’altissimo prezzo di assistere ai gol e alle esultanze di un condannato in primo grado per stupro di gruppo. 

È il prezzo della democrazia, che non è perfetta, tutt’altro, ma, come diceva Sandro Pertini, “è meglio la peggiore delle democrazie della migliore di tutte le dittature.” E, aggiungo io, non c'è dittatura peggiore di quella della pancia; lo aggiungo io, ce lo insegna la storia.

È la democrazia ad imporci che il buon senso prevalga sull’istinto, che le regole prevalgano sugli individualismi, che la giustizia fornisca a chi ne sia sottoposto tutte le guarentigie perché egli possa difendersi nel contesto di un processo equo. 

La democrazia! 

La democrazia è un male necessario. Imperfetta, talvolta abusata, bistrattata dai nostalgici, per molti soltanto apparente, ladra come i governi che da essa generano, benedetta dalla libertà e maledetta da un dilagante “libertarismo ringhioso”, confusionaria e burocratica, sempre in bilico, parolaia e chiacchierata, perennemente sospesa a mezz’aria tra il caos e i diritti. Legiferata, legislativa, legale. La democrazia è dura come la legge, sed lex.

Ma preziosa, come il pane che non sappia di sale, come un popolo che non debba più mettersi in fila con la tessera per il pane, come il pane di domeniche a messa o in gita al mare o dove cavolo ci pare e piace perché lo decidiamo noi. Preziosa come il diritto di un imputato (quale che sia il resto in questione) ad avere un processo equo e a non essere processato dai microfoni di una Radio.

E va difesa, prima che dagli altri, da noi stessi e dalle tentazioni della nostra pancia.

È la nostra democrazia! 

È la democrazia di Portanova, uguale agli altri di fronte alle legge. Che deve essere giudicato e, se del caso, condannato. Oppure assolto. Purché succeda presto. Perché c’è una libertà che non è sindacabile, almeno quanto quella di Portanova: la libertà della ragazza che avrebbe subito lo stupro ad ottenere giustizia; la libertà di tutti i consociati (cioè noi) ad ottenere che simili accadimenti vengano accertati e che le pene vengono emesse. Per reprimere, sì, per rieducare, sì, ma sopratutto per, eventualmente, avere tra i piedi uno stupratore in meno. 

È la democrazia di Nicola Zanarini, che ha sbagliato e per questo deve pagarne le conseguenze, secondo procedure disciplinari che sinceramente sconosco, ma che sono sicuro siano improntate a criteri di equità, trasparenza e garanzia.